Dott.ssa Simona Guglielmucci

Dott.ssa Simona Guglielmucci

psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale

Curare l'insonnia

Chi soffre di insonnia lo sa benissimo: contare le pecore non serve a nulla, ne tanto meno andare a letto sempre alla stessa ora per regolarizzare il sonno, con il terrore che sta per iniziare un’altra nottata in bianco.
L’insonnia è sicuramente il disturbo del sonno più diffuso ma molte delle persone che ne soffrono, pur conducendo una vita qualitativamente scadente, rinunciano all’idea di prendere in considerazione un trattamento specialistico e magari si accontentano dell’uso cronico e talvolta inefficace di farmaci ipnoidi.

Ma quali sono le cause dell’insonnia?
L’insonnia può essere attribuita a diversi fattori, alcuni dei quali di tipo fisiologico, come la sindrome delle gambe senza riposo, il disturbo del movimento nel sonno o ancora le apnee notturne. Tuttavia nella maggior parte dei casi l’insorgere dell’insonnia è dovuto ad un’iperattivazione fisiologica che l’organismo mette in atto per far fronte a periodi di stress.

Passare qualche notte insonne può essere del tutto normale quando si è in tensione per qualcosa o si sta attraversando un periodo di intensa attività, in questi casi possono insorgere degli episodi di insonnia transitori, che non assumono le caratteristiche di un disturbo ma di un adattamento alle sollecitazioni e alle circostanze ambientali e che si risolvono spontaneamente.
Altre volte però l’insonnia si insinua nella vita delle persone divenendo un vero e proprio disturbo a cui non si riesce a dare una spiegazione razionale perché insorgono dei meccanismi psicologici e comportamentali che tendono ad autogenerare l’incapacità di riposare in maniera adeguata.


Quali sono i sintomi dell’insonnia?
L’insonnia è caratterizzata sia da sintomi notturni, quali: difficoltà ad addormentarsi e/o a mantenere un sonno ristoratore, che da sintomi giornalieri quali: stress, stanchezza, difficoltà di concentrazione, di memoria e sbalzi di umore.

In chi soffre di insonnia tutti questi sintomi persistono perché diventano a loro volta fonte di preoccupazione: preoccupazione di non riuscire a dormire sufficientemente, preoccupazione per le conseguenze che la carenza di sonno avrà sulle attività diurne, di commettere gravi errori a lavoro, di non riuscire ad avere la giusta concentrazione per un esame o ancora di perdere il controllo, di un deterioramento del proprio corpo o di impazzire.

Tutte queste preoccupazioni finiscono per acuirsi proprio nelle ore finali della giornata, quando l’ora di andare a dormire si avvicina, generando uno stato di ulteriore attivazione psicofisiologica che di certo non concilia il sonno.

Insomma si è intrappolati nel circolo dell’insonnia in cui paradossalmente proprio la preoccupazione di non riuscire a dormire induce a rimanere svegli.
Lo stesso uso dei farmaci, anche se a volte di indubbia utilità, quando tende a cronicizzarsi può contribuire ad instaurare la convinzione di non essere soggetti capaci di addormentarsi; convinzione che a sua volta sostiene tutte le preoccupazioni tipiche dell’insonnia.

Sempre più studi stanno dimostrando l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale quale trattamento d’elezione per la cura dell’insonnia, i cui esiti sono apprezzabili anche a lungo termine.

La terapia cognitivo comportamentale, infatti, mira proprio a rompere il circolo dell’insonnia affrontando parallelamente:

 

  • aspetti comportamentali: volti a ristabilire un’associazione positiva tra il sonno e tutti gli stimoli ad esso legati (come la camera da letto, il letto, il pigiama) dando delle precise e personali regole di gestione e registrazione del sonno
  • aspetti cognitivi: per individuare e articolare quelle credenze personali che contribuiscono a mantenere il circolo vizioso dell’insonnia
  • aspetti emotivi: attraverso i quali rompere la condizione di ansia e la relativa iperattivazione fisiologica legata al sonno ed esplorare una dimensione maggiormente adattiva del proprio modo di sentire.

 

Infine, l’insonnia è un disturbo che si ripercuote sulla vita emotiva, sociale e relazionale di chi ne soffre e come se non bastasse determina una riduzione delle difese immunitarie e una maggiore predisposizione a sviluppare malattie psichiatriche, cardio vascolari, diabete e obesità. Trattare questo disturbo senza sottovalutarlo dovrebbe essere prioritario ai fini di un generale e sostanziale miglioramento della qualità di vita.

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