Ansia e depressione sono condizioni comuni, anche nella fascia dei soggetti in età avanzata; ma quando si tratta realmente di patologia?
La grande diffusione dell’uso del termine “depressione” nel linguaggio comune sfocia talora in un vero e proprio abuso che finisce per includere anche forme più contenute di disagio legate spesso allo scarto tra come si è e come si vorrebbe essere.
Per discriminare ed eseguire un’accurata analisi della domanda si rende allora fondamentale un approfondito esame dello stato mentale del paziente anziano, che prenda in considerazione stato emotivo (calma, agitazione, labilità emotiva), umore (deflessione o sue forme alternative come scarsa energia, tendenza al ritiro sociale, riduzione della vitalità) e presenza di eventuali somatizzazioni. Anche l’ansia non sempre è uno stato disfunzionale, problematico, da curare: si tratta di un senso d’apprensione a volte scatenato dalla preoccupazione per un evento imminente, come un esame medico.
Questo tipo di ansia è una reazione normale a una circostanza specifica. L’ansia patologica scatena invece un senso di pericolo incombente che si associa praticamente a qualsiasi situazione di incertezza o addirittura non ha una causa apparente: si tratta di un intenso disagio psichico, generato dalla sensazione di non essere in grado di fronteggiare gli eventi futuri. Comunemente, elevati livelli di ansia si manifestano attraverso sintomi fisici, quali tensione muscolare, sudore alle mani, pesantezza di stomaco, difficoltà respiratorie, tremori, debolezza, tachicardia, ecc.
Tra i principali disturbi d’ansia troviamo:
- il DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO,
- il DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO,
- le FOBIE,
- il DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS.
Nell’anziano tali manifestazioni si presentano con alcune peculiarità: il disturbo da attacchi di panico ad esempio, si presenta generalmente in forme meno gravi, comportando minori condotte di evitamento e minore disabilità funzionale. Riguardo alle fobie esistono dati preliminari sulla specificità della paura ( spesso riguarda il crimine, la possibilità di subire furti o aggressioni). Vi sono evidenze di una relazione fra sindromi ansiose e alcune malattie mediche/uso di alcuni farmaci: malattie cardiovascolari e respiratorie, malattie neurologiche (demenza, Parkinson), uso di farmaci da banco.
A loro volta poi, i sintomi ansiosi peggiorano la prognosi delle malattie mediche e possono provocare abuso di tranquillanti. Nella gestione di simili casi rientrano interventi non farmacologici, brevi cicli di sedativi e/o ipnoinducenti a basse dosi, uso di antidepressivi in casi selezionati. Per il trattamento dell’ansia vengono impiegati specifici farmaci, gli ansiolitici, e/o la psicoterapia, e tecniche di modificazione del comportamento (rilassamento); esercizi di respirazione previsti dai metodi di rilassamento si rivelano particolarmente utili per prevenire o arrestare l’iperventilazione.
Lo psicoterapeuta aiuta il paziente a correggere la visione distorta che ha di sé stesso e delle sue paure. Nella terapia di gruppo, i pazienti possono confrontarsi sulle rispettive paure e trovano modi per gestirle. La gestione dell’ansia consiste fondamentalmente in tecniche finalizzate a dominare tale spiacevole sensazione: si tratta di potenziare l’autoaffermazione, apprendere modi per distrarsi e liberare la mente, esercizi di "immaginazione“ e così via.
La depressione, da non confondersi con la distimia - condizione meno grave e più breve nel tempo - è un disturbo dell’umore caratterizzato da sentimenti di malinconia, e abbattimento, a cui si accompagna spesso, sul piano fisico, l’astenia, cioè una condizione più o meno accentuata di fiacchezza e prostrazione. Tale sindrome che si associa al venir meno delle energie psico-fisiche si manifesta con sintomi fondamentali, quali calo dell'interesse e del piacere nelle attività giornaliere, abbassamento del tono dell'umore, sentimenti di colpa e di disistima, pensieri di morte e di suicidio, agitazione e rallentamento psicomotorio, disturbi del sonno, disturbi dell'alimentazione, stanchezza e mancanza di energia, difficoltà di concentrazione, persistente insicurezza.
Anche in questo caso, come per l’ansia, esistono alcune peculiarità del quadro sintomatologico depressivo nell’anziano, che consistono per lo più in una possibile mancata espressione di sentimenti di tristezza; presenza di irritabilità, tendenza al ritiro sociale; prevalenza di sintomi somatici (astenia, dolore); preoccupazioni per lo stato di salute (ipocondria), altre paure. Riguardo agli aspetti eziopatogenetici, ovvero alle possibili cause, troviamo forme ad esordio giovanile “ri-emergenti” o forme ad esordio tardivo in cui vi è spesso una relazione con patologie fisiche (soprattutto neurologiche: demenza, malattia di Parkinson).
La depressione nella terza età è un’affezione sottovalutata forse a causa di un pregiudizio che porta a ritenere che tristezza, inibizione, preoccupazione, bassa autostima, ecc. siano caratteristiche proprie degli anziani, che di solito hanno acquistato una peggiore visione di sé, del loro contesto sociale, del loro futuro. L’epidemiologia indica che proprio la depressione è collocata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità al quarto posto tra i maggiori problemi sanitari. È la malattia psichiatrica più spesso diagnosticata.
Sempre secondo l'OMS, negli Stati Uniti e in Europa, se la prima causa di invalidità sono le malattie cardiovascolari, subito dopo si colloca la depressione. Nella popolazione generale il rischio di andare incontro a un episodio depressivo è del 17%; il 50-70% di chi ha fatto questa “esperienza” è destinato a ripeterla. Essa colpisce più frequentemente le donne. Indagini statunitensi ritengono che il 15% degli anziani presenta sintomi depressivi, ma tale percentuale sale al 25% tra gli anziani ricoverati in ospizi. Anche alcuni portatori di malattie croniche sono più spesso soggetti a questo disturbo, ad esempio i diabetici, soprattutto se già accusano la retinopatia e, quindi, una diminuzione della vista. Tale dato cresce inevitabilmente poichè gli anziani rappresentano il segmento di popolazione che cresce più rapidamente. Poiché il numero di persone che entreranno nella fascia d’età a maggior rischio sta aumentando, gli studiosi prevedono che in termini assoluti il numero di anziani depressi sia destinato a crescere.
Diviene allora di primaria importanza riflettere sui fattori di rischio per la depressione nell’anziano, fattori su cui è stato trovato consenso dopo revisione della letteratura e meta-analisi: essi sono condizione di lutto, presenza di disturbi del sonno, disabilità, precedente depressione e genere femminile (Cole & Dendukuri, Am J Psychiatry 2003). Il trattamento della depressione dipende dalla tipologia e dalla gravità di tale condizione patologica; è importante distinguere ad esempio se si tratta di depressione endogena o reattiva. I farmaci d’elezione, quando necessari, sono gli antidepressivi; lo psicoterapeuta agisce invece fornendo un sostegno al paziente a vari livelli e portandolo gradualmente a modificare il modo di interpretare e valutare gli eventi quoti.