Buongiorno, mi chiamo Tommaso e ho 25 anni (a breve 26), vi contatto, in quanto, da circa un anno e mezzo convivo con l'ansia.
Mi spiego nel dettaglio, un anno e mezzo fa, mi trovavo in un momento molto difficile della mia vita, a seguito dell'improvvisa scomparsa di mio nonno e della successiva malattia di mio padre (tumore), io e la mia famiglia ci siamo trovati a vivere un periodo di grandi difficoltà economiche, ed a vivere, addirittura per 8 mesi, senza casa in attesa di una casa comunale, alloggiando nell'appartamento di mio fratello, che in quel periodo, fortunatamente, conviveva con la sua ragazza.
Ad agosto 2015, mi è arrivata la notizia spiacevole del suicidio di un ragazzo che conoscevo, inizialmente senza apparenti motivazioni di rilievo. Ho vissuto un periodo di circa tre settimane ad interrogarmi sul suicidio e sul perché un ragazzo di 23 anni, in una situazione apparentemente più semplice della mia, potesse arrivare a commettere un gesto del genere, fino a quando poi è arrivata la risposta: era schizofrenico ed aveva smesso di curarsi. Purtroppo però questa cosa mi ha rassicurato solo parzialmente, ero caduto inevitabilmente nella paura di poter commettere il gesto in preda allo sconforto, e alla difficoltà della mia situazione, ma sapevo con tutte le mie forze di non volerlo.
Allora ho deciso di rivolgermi ad un amico di famiglia, che fa lo psichiatra da moltissimi anni, che però non avevo mai visto, e sono andato da lui. Calcolando che anche un mio carissimo amico soffre di disturbo bipolare, avevo ormai sviluppato una sorta di ipocondria verso le malattie mentali e ciò che ne consegue.
Nella prima visita lo psichiatra mi ha rassicurato sul fatto di essere sano e di essere solamente vittima di un grande stress, che causa ansia e di conseguenza pensieri negativi. Mi chiese di vederci dopo circa un mesetto, per sapere come andasse e nel frattempo ho passato la teoria della patente, e ci è stata assegnata la casa del comune, cose che mi impegnano mentalmente e mi distraggono temporaneamente dai pensieri.
Sono tornato dopo circa un mesetto e mezzo e il secondo colloquio, effettivamente, mi fa uscire molto più confortato, in quanto anche lui ha interagito molto di più, spiegandomi quello che ho anche letto da molte parti, ovvero che i pensieri sono solamente pensieri e non vanno presi per reali e mi ha consigliato, eventualmente, di cercare un supporto psicologico. Rassicurato da questo incontro e coinvolto dai primi cambiamenti positivi, è iniziata una nuova fase della mia vita, che definirei di totale costruzione, è iniziata per me una spinta nuova, ho preso la patente in tre settimane e ho colto l'opportunità di un lavoro presso una multinazionale, dove ho superato una selezione con 10 candidati, pur essendo il più giovane e l'unico a non provenire dal settore, sono partito per i corsi di formazione e ho iniziato a giugno 2016 a lavorare effettivamente, e la mia vita si è capovolta, mio padre fortunatamente è sopravvissuto al male, ora ho una casa mia e piacevole, guadagno molto bene e ho grandi prospettive di carriera, e ho iniziato a permettermi coi soldi, frutto del mio lavoro, tante cose che prima potevo solo sognare. Tutto questo è accaduto in pochi mesi, pochi mesi dove mi sono ritrovato da vittima di mille vicisittudini, a totale artefice della mia vita in positivo, ho iniziato a fare progetti, a decidere di riprendere le cose sospese, di iscrivermi in palestra, e in generale di agire, di fare tante cose, che magari prima ho sempre rimandato, eppure, non sono riuscito a debellare l'ansia del tutto, in certi momenti, sopratutto quando sono da solo, l'ansia ed i pensieri ritornano, e dopo tutto questo tempo e questi cambiamenti positivi mi chiedo come mai.
È vero ho avuto una vita non semplice, culminata col periodo che ho descritto, ma è anche vero che la mia vita ora è diversa, e sono in un momento, direi assolutamente positivo, quindi perché dovrei avere paura di suicidarmi? Un anno e mezzo fa questa paura poteva essere logica, perché mi trovavo in grande difficoltà, ma ora? Premetto che ho già avuto un colloquio con uno psicoterapeuta, che sicuramente incontrerò di nuovo, che sostiene che il mio problema sia il controllo. L'eccessiva volontà di controllare la mia vita, dovuta a lunghi periodi vissuti nell'incertezza. Però ho un po' paura di aver innescato un meccanismo contorto, di non aver più paura del contenuto dei pensieri, ma dei pensieri stessi, anche perché paradossalmente in altri momenti, soffro di ipocondria, ovvero paura di ammalarmi, paura di ammalarsi e paura di suicidarsi hanno come tema comune la paura della morte, ma non capisco perchè questa paura, sono in rampa di lancio, ho superato prove difficilissime, che logicamente hanno lasciato strascichi, ma io vorrei solo togliermi di dosso queste zavorre emotive che, secondo me, hanno a che fare col mio passato.
Perché se è vero che i pensieri non sono reali, è anche vero che il passato è immodificabile e non esiste più, non si può dimenticare, ma penso si possa archiviare. Mi piacerebbe un vostro parere su questa vicenda, facendo premessa che ho già scelto di fare una psicoterapia.
Vi ringrazio in anticipo,
Tommaso