Cara Sara, da ciò che racconti sembrerebbe che la tua sofferenza rientri nella categoria delle crisi d’ansia, i cui sintomi, sia di tipo somatico(corporeo) che di tipo cognitivo (mentale), sono simili a quelli dell’attacco di panico, ma più lievi. Come racconti, a livello fisico hai provato senso d’ansia (suppongo abbia riscontrato tachicardia, sudorazione, tremore, vertigini, asfissia, dolori al petto, nausea o brividi), ma non hai mai perso il contatto con la realtà né hai sentito un senso di spersonalizzazione che sono invece tipici dell’attacco di panico. Nonostante il diverso grado di intensità, entrambi i problemi presentano la caratteristica della perduranza e della difficoltà ad essere superati. Sia in un caso che nell’altro stiamo comunque parlando di emozioni molto complesse, nel senso che sono innescate da un senso generale di paura che attiva il nostro sistema automatico di protezione. Mi spiego: che ci piaccia o meno le emozioni nascono in primo luogo come risposta ad un cambiamento interno (modo di interpretare la realtà) o esterno (modificazione dell’ambiente a cui ci rapportiamo) che richiedono comunque un adattamento a nostra salvaguardia. Se per un attimo andiamo a vedere come funziona il percorso delle informazioni che passano attraverso i nostri sensi e arrivano al cervello, capiamo che gli stimoli che raccogliamo dall’esterno arrivano direttamente al talamo sensoriale e da qui smistati a un raggruppamento di centri nervosi detti amigdala posti nella profondità del cervello. In tempi rapidissimi, in collaborazione con l’ippocampo e altri circuiti complessi, il nostro cervello decide se lo stimolo raccolto vada classificato come spiacevole, piacevole o allarmante e subito manda il comando al nostro sistema nervoso vegetativo, alle ghiandole endocrine e ai muscoli che preparano il corpo ad una risposta. Questo velocissimo processo è frutto di migliaia di anni d’evoluzione perché il primo imperativo che il nostro sistema nervoso conosce è “restare vivi”, proteggerci nell’immediato da pericoli pur non razionalmente identificati. Questo rapidissimo processo non passa per la corteccia cerebrale dove, fra l’altro, vengono prese le decisioni volontarie e dove si può, tra le altre cose, scegliere e programmare il proprio benessere. E’ dalla corteccia che normalmente parte un segnale di ritorno all’ amigdala con cui si può modulare, interpretare e ristrutturare il segnale di pericolo: confronta e soppesa gli stimoli, li paragona con ciò che l’esperienza ci ha fatto imparare e poi decide che risposta dare. Per fare questo, come è evidente, impiega un po’ di tempo. Di fatto è come se una parte di noi gridasse “allarme!” mentre un’altra dicesse “calma, non è come sembra …” ma spesso i sistemi d’allarme collaudati da migliaia di anni hanno la prevalenza su quelli della coscienza ed ecco perché capita di dire “è più forte di me …” e compiamo atti che, guardati a distanza, ci paiono irragionevoli: lo sono! Cara Sara tutto ciò per dire che la tua sofferenza è comune a tutti gli esseri umani solo che tu lasci che la risposta immediata sia sempre vincente su quella soppesata. Certo, dirai tu, ma fra il dire e il fare … infatti non è semplice. Non so se tu abbia mai visto il film “War Games”: è la storia di un ragazzino che riesce a inserirsi dentro la memoria del calcolatore del Ministero della difesa americana e a simulare con il suo computer una guerra nucleare totale con l’allora Urss … il film è avvincente e proprio quando il computer sta per dare il comando (reale, non immaginario) di partenza dei missili intercontinentali che avrebbero distrutto tutto il pianeta e avrebbe scatenato la risposta dell’allora blocco sovietico uguale e contraria, al ragazzo viene in mente di far giocare il computer ad un gioco senza soluzione come” tris”, sai quello in cui in uno schema di nove quadrati si alternano la x o lo 0 e vince chi fa tris … due buoni giocatori sanno che, volendo, nessuno mai riesce a vincere. Con tale gioco il mega computer della Nasa comincia un gioco infinito e magicamente depotenzia l’altro, quello del lancio dei missili, fino a bloccarne il lancio. Ti racconto questa breve storia perché così come con il computer della Nasa anche con l’ansia è necessario trovare qualcosa che depotenzi l’attenzione sul problema, e lo faccia sfruttando i “circuiti” della corteccia cerebrale e non quelli dell’amigdala. Quando ci si accorge che si avvicina uno stato d’ansia (e so bene che questi avvertimenti arrivano da prima soffusi poi chiari e distinti e che si concretizzano spesso con risposte fisiche come dolori addominali, tachicardia etc.) è necessario operare uno spostamento del focus dell’attenzione a qualcosa che “impegni” la corteccia cerebrale. Nel nostro corpo le mani, le labbra e i piedi sono gli organi che immediatamente riescono a fare questo e, come il ragazzino con il gioco del tris, a depotenziare l’ansia. Questo, naturalmente, non risolve il tuo problema che molto probabilmente va affrontato con una terapia, ma contingentemente ti aiuta a depotenziare l’ansia e semmai a farla diventare in un certo qual modo “comprensibile”. Prova a farlo anche come semplice esperimento, quando senti che arriva l’ansia concentra la tua attenzione sulle mani, sui piedi o sulle labbra e “ragionaci sopra” (come sono fatte, che colore hanno che calore emanano, quante rughe si vedono etc.) … naturalmente poi devi cercare un buon terapeuta che ti aiuti ad affrontare questo problema su un piano più profondo. Vedo che vivi nella provincia di Cagliari, io esercito a Quartu S. Elena. Tramite l’Ordine Regionale puoi avere il mio numero.
Antonello Soriga