Salve a tutti, sono Cris un ragazzo di 29 anni. Partendo dal principio la mia situazione emozionale è cambiata circa un anno fa, quando ho avuto l'esperienza, mio malgrado, del mio primo attacco di panico. Ho sempre pensato che mi sia capitato perché ero in una situazione che chiamo "da topo in gabbia" in quanto a causa della pandemia sono dovuto rientrare nel mio paesino, in cui ho sempre sofferto starci, e riniziare una convivenza forzata con i miei genitori, io che credo fortemente nell'autonomia e nell'indipendenza e che ho sempre cercato di stare fuori. Fatto sta che in quel momento ero anche senza lavoro, in quanto mi ero laureato durante il lockdown, il forte stress, il continuo rimuginare in maniera pessimista durante il giorno, una notte, anche per un colloquio lavorativo non andato come volevo, mi ha portato ad accumulare i pensieri così tanto da sembrare di impazzire e ad un forte senso di oppressione. I miei genitori allarmati mi hanno portato al pronto soccorso in cui mi sono stati prescritti degli antidepressivi. Ho iniziato la cura, e nonostante i primi tempi in cui provavo forti attacchi di panico, causati da pensieri ossessivi di tipo violento e caratterizzati da nausea, sono riuscito piano piano ad uscirne tant'e' che, di comune accordo con lo psichiatra, ho prima diminuito il dosaggio dei farmaci per poi interromperli completamente a fine maggio di quest'anno. Nel frattempo ho anche trovato lavoro, non il lavoro che preferivo ma vabbè, che svolgevo in smartworking da casa. A fine giugno ho deciso di trasferirmi a Milano, perché stavo di nuovo iniziando a risoffrire la situazione di chiusura e la routine stantia del mio paesino, al che appena trasferito, ho avuto il riaccutizzarsi del problema, ma stavolta in forma più lieve, caratterizzata da ansia latente, vuoto interno, pensieri negativi sul futuro. Ho deciso di intraprendere allora subito un percorso terapeutico cognitivo comportamentale per risolvere il problema alla radice (mi è stato diagnosticato un disturbo d'ansia) ma fino ad adesso non sta dando i frutti sperati. Mi è stato consigliato dalla stessa psicologa di provare a riprendere la terapia farmacologica, ma non mi fido più a riprenderli visto che nonostante una terapia di 8 mesi sono di nuovo quasi punto e a capo. Io pensavo che il trovare lavoro, ritrasferirmi in una città nuova, avere di nuovo la mia autonomia e indipendenza avrebbe risolto il problema da sé, invece mi ritrovo a soffrire. Non capisco perché. Ho paura che quella vocina che mi rimbalza in testa è che mi dice che sarò sempre in questa situazione, che non migliorerò mai l'abbia prima o poi vinta. Certe volte ho delle proprie crisi in cui vedo tutto nero e le mie paure si accumulano una sopra l'altra. La cosa che mi preoccupa di più è questo senso di vuoto che provo, non so se è compreso nel disturbo d'ansia, quasi come mi senta senza speranza, mi manca quella chiave di volta di pensiero positivo per svoltare. Mi potete dare una mano per comprendere meglio la mia situazione? Grazie.