Salve a tutti Mi chiamo Anna e ho 24 anni. Sono 3 anni che assumo Daparox in gocce (10 al dì). Avevo iniziato a scalare (sotto consulto del mio analista) il dosaggio da 10 a 5 gocce. Ma quasi 4 mesi fa ho perso la mia mamma, e d'allora ho ricominciato a prenderne 10. Quando le prendo, percepisco una profonda voglia di smettere. A volte le prendo nel pomeriggio, perché mi dimentico o sono troppo occupata. E' difficile. Molto. Troppo. Insostenibile. Il dolore è pur sempre dolore, ed ha bisogno del suo tempo. Forse sembrerò forte e piena di umorismo, forse è il daparox che calma la mia paura e mi fa riscoprire forte, o forse sottovaluto la mia forza interiore. E' un pensiero fisso: voglio smettere di prendere daparax! Ma poi penso: “E se ritorna l'ansia e il panico? Ce la farò?“ Sinceramente, non lo so. Questa è la mia domanda per voi: Si può smettere di assumere uno psicofarmaco anche se si assume da anni? Questo tipo di farmaco (Daparox) è cardiotossico?
Salve Anna,
I tuoi dubbi sul Daparox, o meglio la tua paura di dipendere da psicofarmaci è una paura umana e normale. Ognuno di noi vorebbe farcela con le proprie forze ma allo stesso tempo non sentire troppo il dolore che la vita talvolta ci riserva.Mi colpisce molto che tu ponga i tuoi dubbi qui considerando che sei seguita dal tuo "analista".Credo che bisogna chiarire che solo lo psichiatra o il neurologo può darti indicazioni su come ridurre i dosaggi di questo psicofarmaco, ma lo dovrai fare da vicino, prendendo un appuntamento, poichè le modalità di somministrazione e reazione sono individuali e personalizzate a meno che il tuo psichiatra e analista coincidino, ti consiglio di approfondire nella tua psicoterapia individuale questo desiderio di "crescere con le tue gambe" nel kairos, cioè nel tempo oportuno .La psicoterapia individuale ti dovrà aiutare in questo, a stare in un dolore senza perdersi dentro, e facendo pian piano a meno del farmaco. Buona crescita!
Gentile Anna, non è possibile che il suo analista le abbi aprescritto un farmaco a meno che non sia anche medico psichiatra, ma in tal caso non starebbe trattandola come un paziente in analisi ma starebbe agendo da psichiatra.
Ad ogni modo, circa la tossicità del farmaco deve rivolgersi a chi glielo ha prescritto oppure al suo curante.
Per quanto riguarda invece il sintomo che riferisce, farebbe bene ad abbinare alla terapia farmacologica una psicoterapia. Farmaco più terapia psicologica, abbinati aassieme si sono rivelati la migliore combinazione per il trattamento dei disturbi d'ansia.
Se la persona che la sta seguendo le sta somministrando dei farmaci difficilmente potrà aiutarla dal punto di vista psicoterapico, ma potrà continuare a seguirla farmacologicamente.
Cordiali saluti
Carissima Anna, sicuramente la paroxetina ha un protocollo terapeutico definito per un dosaggio a scalare.
Naturalmente i tuoi timori fanno pensare che sia opportuno associare al protocollo farmacologgico una psicoterapia. L'ansia e gli attacchi di panico hanno molte connotazioni relazionali e familiari, quindi potrebbe essere il momento giusto per iniziare questo percorso, soprattutto in correlazione al triste evento che ti ha colpito.
Cerchi sul mio blog l'articolo relativo agli attacchi di panico e capirà!
Gentile signora Anna
Prima di parlare del farmaco direi che tutte queste domande che pone dovrebbe approfondirle con il suo analista, ma questo può apparire ovvio; lo dico perchè considero la sua richiesta esondante la stanza del terapeuta, quindi in qualche modo bisognerebbe rientrare negli argini e lavorare su questo. Immagino inoltre che di fondo Lei tema di non riuscire ad autocontrollarsi, e la mancanza di autocontrollo è legata ad uno scarso contenimento o autocontenimento; forse (dico forse perchè non conosco niente di lei) sua mamma, quando era ancora in vita, riusciva a contenerla in qualche modo, oppure no e questo la obbligava comunque a focalizzarsi sull'autocontenimento, ed ora riappropriarsi di gocce di daparox potrebbe significare colmare questo vuoto. L'idea comunque è che Lei sente di non riuscire a controllarsi e che nessuno ci riesca, altrimenti si affiderebbe pienamente al suo analista (se è lui a prescrivere il daparox) o allo psichiatra. Affidarsi significa anche fare domande forse scomode all'analista (mettere in dubbio quello che prescrive); il rapporto si deve fondare sulla fiducia e affidarsi significa anche sentire che lui ci sarà e le darà risposte di senso. Il farmaco daparox non è solo un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, ma anche qualcosa che si insinua tra lei e l'analista, tra lei e il mondo, tra l'io e l'ideale dell'Io, tra ciò che è ciò che vorrebbe essere (entrare in contatto con la sua forza interiore), un pò come la molecola di serotonina che non viene ricaptata e si trova tra un terminale sinaptico e uno postsinaptico; insomma è un terzo con cui bisogna fare i conti; è qualcosa che la mette in connessione con l'altro da sè. Il daparox se non crea effetti collaterali che mettono a rischio la sua salute fisica, da psicoterapeuta, le consiglio fare un lavoro sul terzo, su quella dimensione che integra, in cui abitano parti di sè che la rendono insicura e spaventata. Proprio affronatre questo problema può essere un inizio per integrare e creare una base sicura che la faccia stare meglio.
resto a sua disposizione
Cordiali saluti
Cara Anna,
mi dispiace per la tua perdita. Sai, hai proprio ragione: il dolore ha bisogno di tempo per essere vissuto!!! Sembra che tu abbia una grande capacità di introspezione che ti aiuta a riconoscere che la perdita di tua madre ha riattivato le tue aree di vulnerabilità. Se può esserti di aiuto, ricordati però che si tratta sicuramente di aree, che tu puoi circoscrivere, senza lasciartene travolgere. Se in questo momento senti di aver bisogno dinuovo di un aiuto farmacologico non sentirti in colpa: più provi a combattere contro l'uso di questo farmaco, come se fosse un'ossessione, più non te ne libererai. Soprattutto, se senti di averne dinuovo bisogno, rivolgiti dinuovo al tuo psichiatria che te l'ha prescritto e non aver timore di chiedere a lui/lei tutte le informazioni che desideri avere. Buona giornata.
Buongiorno Anna,
a mio parere gli psicofarmaci non dovrebbero essere assunti per sempre, a meno che non sussista una grave patologia di base! Soprattutto alla sua età, forse, trovare un'alternativa sarebbe auspicabile, anche se il tutto va sempre e comunque discusso con il proprio medico.
Lei non ci ha spiegato i motivi e le circostanze nelle quali inizirò ad assumere daparox, però ci ha messo a parte di una perdita importante occorsa purtroppo non molto tempo fa (la morte di sua madre).
Detto ciò le consiglio di darsi tempo, di discutere di questo suo desiderio di smettere di assumere il farmaco con il medico che la segue, magari di non apportare cambiamenti improvvisi ed importanti in un periodo della sua vita così delicato, e poi di intraprendere questo percorso.
Utilizzo il termine percorso, proprio perchè credo che lei non possa semplicemente smettere da un momento all'altro, ma forse vale la pena di cercare anche un'alternativa (come una psicoterapia), di stabilire un tempo per poter scalare la dose assunta, etc etc
Buona fortuna,
Cara Anna, sei giovanissima e sicuramente non sarai costretta ad assumere per sempre psicofarmaci, ma ad un percorso farmacologico va assolutamente associato un periodo di psicoterapia.
Ti aiuterà a capire da dove nasce il sintomo, la storia trigenerazionale, l’analisi del mito familiare e la lettura del contesto di riferimento ti daranno la possibilità di vedere altri punti di vista.
Cerca un terapeuta nella tua zona, fai in modo che ci sia una collaborazione tra chi ti ha prescritto il farmaco e lo psicologo che sceglierai.
In qualsiasi caso né il farmaco, né la terapia devono essere per sempre….
L’obiettivo è “ camminare con le proprie gambe”, ma ricordati che non è vietato farsi aiutare.
Buongiorno gentile Signorina,
si, si può smettere di assumere uno psicofarmaco che si assume da anni ma solo se il suo curante controlla e dosa la dismissione. Per quanto riguarda le informazioni sui possibili effetti a lungo termine come quelli collaterali, deve consultare il suo curante. Leggo che è seguita anche da uno psicoterapeuta, si affidi a lui per qualsiasi dubbio, questo rafforzerà la relazione terapeutica e il lavoro di ricerca di ulteriori aspetti del suo disturbo.
Cordialmente