Un caso clinico
L’obiettivo di questo breve articolo è di esporre un modello esplicativo del panico chiaro, semplice e molto utile per dare un significato e un senso a quello che apparentemente sembra inspiegabile e incomprensibile per chi lo vive: l’Attacco di Panico (AP).
Tale modello, proposto dalla prospettiva cognitiva, è inoltre il primo passo per capire e poi trattare e superare gli AP. Non mi soffermerò sulle cause e sul trattamento del panico (dedicherò a queste importanti tematiche spazio in altri articoli) ma cercherò di spiegare “solamente” il “meccanismo” che lo innesca e, brevemente, le condizioni che lo mantengono. Seguirà poi un esempio di caso clinico.
Iniziamo con il descrivere cosa sono gli attacchi di panico e come vengono descritti e diagnosticati dalla comunità scientifica internazionale attraverso il DSM1 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).
Gli AP sono un’esperienza relativamente comune nella popolazione generale e di per sé non costituiscono una patologia vera e propria. Possono essere considerati dei “sintomi” che sono presenti in molti disturbi mentali (in tutti i disturbi d’ansia, nei disturbi dell’umore, nei disturbi del comportamento alimentare, nelle disfunzioni sessuali, ecc).
Sono descritti come un’improvvisa manifestazione di ansia o una rapida escalation di quella solitamente presente. Si formula una diagnosi di AP quando si manifestano almeno 4 dei seguenti sintomi:
1) palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia,
2) sudorazione profusa,
3) tremori fini o a grandi scosse,
4) dispnea o sensazioni di soffocamento,
5) sensazioni di asfissia,
6) dolore o fastidio al petto,
7) nausea o disturbi addominali,
8) sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento,
9) derealizzazione -sensazione di irrealtà- e/o depersonalizzazione -essere distaccati da se stessi-,
10) paura di perdere il controllo o impazzire,
11) paura di morire,
12) parestesie -sensazioni di torpore o formicolio,
13) brividi e vampate di calore.
Questi non sono altro che sintomi attraverso cui universalmente si manifesta l’emozione della paura o dell’ansia. C’è una sottile differenza tra le due ma non sto qui a dilungarmi sulla loro definizione (lo farò altrove); quello che è importante è sapere che entrambe sono emozioni e come tali sono sperimentate da ogni singola persona.
La questione più complicata, e spesso quella che da avvio allo sviluppo e mantenimento del panico, è che l’AP ha un inizio improvviso, inaspettato spesso definito dai pazienti come “fulmine a ciel sereno”. Frequentemente i pazienti riportano frasi del tipo “Me ne stavo tranquillo alla tv e poi improvvisamente… “Viaggiavo come tutti i giorni in auto e ad un certo punto senza motivo ….”. I motivi, anche se apparentemente non si comprendono, esistono e possono essere individuati. Tuttavia è proprio questa apparente assenza di cause ragionevoli che dà inizio al meccanismo del panico. Una volta innescato l’attacco raggiunge rapidamente l’apice (di solito in 10 minuti o meno) ed è spesso accompagnato da un senso di pericolo o di catastrofe imminente e da urgenza ad allontanarsi o fuggire.
Si parla invece di Disturbo da Attacchi di Panico1 quando si manifestano attacchi di panico inaspettati di cui almeno uno, è seguito da almeno un mese di preoccupazione persistente di avere altri attacchi che possono avere delle conseguenze infauste (per es. perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”, ecc). Questa condizione in termini clinici viene definita ansia anticipatoria. Parallelamente all’ansia anticipatoria inizia a emergere una significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi (per esempio evitare luoghi o situazioni collegate in qualche modo al panico).
Se, infine, il soggetto inizia a sviluppare il timore di avere AP in situazioni in cui è difficile o impossibile ricevere aiuto o mettersi in salvo (es. code, autostrade, ponti, treno, ecc) e/o inizia ad evitare o sopportare con estrema fatica e disagio tali (o altre) situazioni allora si può parlare di Disturbo da attacchi di panico con Agorafobia1.
Il Circolo Viziozo del panico
Il modello del disturbo da attacchi di panico proposto da Clark2,3 è uno dei più utili per la comprensione ed il trattamento del disturbo ed ha molte caratteristiche in comune con la teoria cognitiva generale dell’ansia proposta da Beck e coll.4. Tale modello si occupa in particolar modo dei fattori psicologici coinvolti nell’origine e nel mantenimento del disturbo. Nello specifico si ipotizza che una determinata sequenza di eventi, in una successione circolare, conduca all’attacco di panico. Seguendo questa ipotesi, gli AP sono il risultato di interpretazioni catastrofiche di eventi fisici o mentali, erroneamente considerati come segni di un’imminente disastro (per es. avere un ictus, un infarto, uno svenimento, soffocare, diventare pazzo, ecc).
In altre parole uno “stimolo” interno (sensazione fisica sconosciuta o ritenuta inappropriata a quel contesto, un’emozione, un pensiero, un’immagine, un ricordo, ecc.) o esterno (vista di un film, di una persona, di un evento particolare, ecc) viene percepito come minaccioso (a causa di una certa predisposizione a catastrofizzare le esperienze di vita). La percezione di pericolo inevitabilmente produce una reazione (programmata evoluzionisticamente in ogni essere umano per attivare un meccanismo di difesa detto “attacco-fuga”) di ansia/paura con i relativi e inevitabili sintomi. Questi sintomi, naturalmente possono essere solo alcuni di quelli sopraelencati e con intensità variabile da soggetto a soggetto. Tuttavia sono il prodotto di scariche di adrenalina derivanti dall’attivazione del Sistema Nervoso Autonomo e quindi indicativamente sono per loro natura simili in tutti gli individui e assolutamente non nocivi.
La differenza sostanziale (oltre che alla suddetta sensazione di minaccia iniziale) che trasforma questi sintomi “normali” di ansia in un AP risiede nella tendenza a viverli come qualcosa di insolito, incomprensibile, esagerato e sicuramente non collegato all’ansia stessa. Tale vissuto spaventa ulterioriormente il soggetto con il risultato che i sintomi già in essere aumentno di intensità e spesso nè innescano altri. A questo punto il soggetto si trova a vivere un’esperienza terrificante poiché i sintomi che aumentano di intensità diventano essi stessi l’oggetto della paura. A tal proposito si parla infatti di “paura della paura”. La paura di quello che sta succedendo, che richiama spesso erroneamente una fine psicologica (perdita di controllo su di sé e paura di impazzire) o fisica (l’esperienza panicosa richiama una imminente morte per infaro o ictus o soffocamento o nella migliore delle ipotesi di svenimento) produce un ulteriore livello di ansia innescando un circolo vizioso culminante con un Ap.
L’AP, come accennato, inizia e si sviluppa velocemente e mediamente può durare circa 30 minuti. Successivamente l’organismo viene a trovarsi in una condizione detta “periodo refrattario”, cioè uno stato in cui fisiologicamente è impossibile provare un nuovo AP.
E’ molto frequente che dopo una crisi d’ansia acuta il soggetto viva sensazioni di affaticamento, disorientamento, stanchezza, dolori muscolari, ecc (come avesse corso una maratona). Questo perché il corpo si è preparato a compiere delle azioni importanti che avrebbero dovuto metterlo in salvo (scappando o attaccando) da un pericolo. Tuttavia la fuga non è avvenuta perché il pericolo è stata la paura stessa.
L’Ap è un’esperienza terrificante in cui c’è la sensazione di catastrofe imminente. Molte persone lo hanno vissuto (con intensità variabile) almeno una volta nella vita. Spesso rimane un evento isolato e non si ripresenta più. Tuttavia l’intervento di altri fattori, detti “fattori di mantenimento” possono cronicizzare il problema e condurre allo sviluppo di un Disturbo da attacchi di panico, con o senza Agorafobia. Tali fattori sono:
- l’emergere di un’attenzione selettiva per le sensazioni corporee
- comportamenti protettivi associati alla situazione panicogena
- evitamento agorafobico.
Non mi dilungherò su questi tre fenomeni; in questa sede, né farò solamente una brevissima descrizione.
Prestare attenzione selettiva agli stimoli corporei può abbassare la soglia di percezione delle sensazioni fisiche (è più facile sentirle e/o percepirlle soggettivamente più intense di quello che sono), favorendo l’innesco del circolo vizioso.
Inoltre alcuni pazienti sviluppano dei comportamenti protettivi legati al contesto o alla situazione nel tentativo di evitare le conseguenze temute. Tali comportamenti, pur essendo altamente ansiolitici nel breve, non permettono la disconferma delle proprie convinzioni errate sulle conseguenze del panico. Questo perché portano il soggetto a pensare che il mancato verificarsi della conseguenza temuta è frutto dell’attuazione dei comportamenti protettivi (es: sedersi, aggrapparsi, sdraiarsi in terra, irrigidire le gambe se si ha un capogiro per paura di un collasso e di finire svenuti a terra) e non del semplice fatto che l’ansia non può causare un collasso, uno svenimento, un ictus o un infarto.
Infine l’evitamento è il principle fattore di mantenimento perché non permette di sperimentare l’ansia nella sua totalità e scoprire che questa arriva, cresce velocemnte, culmina e poi diminuisce e non porta a catastrofe.
Se gli evitamenti iniziano ad espandersi a macchia d’olio e riguardare molte aree o contesti della vita del paziente, egli si ritrova a vivere una vita spesso confinata in una zona detta “zona di sicurezza” che limita e invalida drasticamente la qualità della vita. E’ frequente che a tale stadio possa subentrare una forma di demoralizzazione secondaria, molto simile ad un episodio depressivo.
Caso Clinico
Di seguito esporrò brevemente un caso clinico per evidenziare come il suddetto circolo vizioso del panico è rilevabile a una corretta osservazione clinica. Ometterò volontariamente, tutte le informazioni riguardanti le cause e le condizioni che hanno predisposto il paziente all’AP. Questo, come già detto, non perché non siano importanti o non rintracciabili, ma necessitano di un ampio spazio espositivo.
Il signor P. richiede un appuntamento urgente il giorno seguente aver trascorso la notte al Pronto Soccorso. La sera precedente il Sig, P., come ogni sera, alla fine di una lunga giornata di lavoro, dopo cena, si stava godendo un film alla tv sdraiato sul divano, mentre la moglie stava addormentando la loro figlia di pochi mesi in un’altra stanza. Apparentemente tutto uguale alle volte precedenti (anche se in realtà non era così). Ad un certo punto avverte un lieve fastidio/dolore alla schiena molto vicino alle reni. Immediatamente dice a se stesso : “Perché questo? Mai sentito questo fastidio… oh cosa sarà?”. Nello stesso momento avverte una vampata di calore, e il cuore che inizia ad accellelre la sua normale frequenza. Compie un balzo improviso e da sdraiato si alza in piedi allarmato iniziando a tastarsi e a premersi sulla parte interessata. Tale brusco movimento probabilmente gli causa una variazione di pressione ortostatica e inizia ad avere anche un forte giramento di testa. Premendosi sulla parte dolorante nel tentativo di lenire il fastidio, non fa altro che irritare la zona che inizia a dolere con molta più intensità. Nel far questo probabilemente assume una postura che impone al diaframma di rimanere in una condizione di contrazione con il risultato di una spiacevolissima sensazione di difficoltà a respirare. Intanto il Signor P. è sempre più spaventato tanto che inizia a sudare e soprattutto l’accellerazione della frequenza cardiaca diventa tale da manifestarsi come tachicardia. Terrorizzato e rapito dall’anomalo andamento del cuore il Sig. P. inizia a pensare “Ecco, ci siamo, un infarto”. La paura cresce, iniziano a tremare le gambe il cuore va sempre più veloce. La tachicardia e i tentativi di respirare con un diaframma contratto affaticano i muscoli toracici e ben presto compare una fitta di dolore al petto. Il signor P. pensa: “Eco ci siamo, arriva l’infarto!!! Morirò!” A questo punto terrorizzato avverte la moglie, che comprensibilmente spaventata contatta il 118. Il signor P. viene trasportato al Protnto Soccorso più vicino e dopo gli esami di routin viene dimesso con la diagnosi di Attacco di Panico.
Cosa ha avuto il Signor P. in realtà? Bhè con tutto il rispetto per la sua terribile esperienza direi che la diagnosi corretta sarebbe dolore alla schiena da postura inadeguata!
Riferimenti Bibliografici
Gionata Martini, 2014. Il Disturbo da attacchi di panico. Cause sintomi e trattamento. Prospettiva Editrice.
1 APA, 1994. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, Revised 4 th (DSM IV TR). Washinghton, DC; American Psychiatric Association.
2 Clark, DM. 1988. A cognitive model of panic attacks. Behaviour research and therapy, 24, 461-470.
3 Clark, DM. 1996. In Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. A. Wells. McGrow-Hil, 1999.
4 Beck, A.T. Emery, C. e Greenberg, R.L. 1985. Anxiety disorders and phobias: a cognitive perspective. New York: basic books.
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