UN’INTERPRETAZIONE COGNITIVA DELL’ATTACCO DI PANICO
Tutti noi proviamo una serie infinitamente sfumata di emozioni, tra cui emozioni fondamentali quali paura, rabbia, gioia, tristezza, disgusto e ansia.
L’ansia è una emozione avvertita dalla persona come sensazione di attesa di qualcosa di indefinito e spiacevole, una sorta di incombenza minacciosa: una percezione apprensiva di pericolo accompagnata da un sentimento di alterazione dell’umore e da sintomi somatici di tensione. Entro certi limiti l’ansia è utile e necessaria: basti pensare al fatto che se stiamo attraversando la strada, la paura di essere investiti ci consente di guardare e fare attenzione alle automobili che stanno in quel momento transitando; quando l’ansia è troppa diviene, però, negativa per il soggetto.
Gli stati di ansia possono avere intensità variabile: da un lieve senso di irrequietezza e di malessere generale ad uno stato di tensione interno, fino a forme acute di panico. Nella paura ciò che spaventa e minaccia è esterno e reale, identificabile: si ha paura di volare, dei serpenti, della malattia, ecc. lo stato emotivo correlato è attribuibile all’entità della minaccia esterna. Nell’ansia, al contrario che nella paura, non c’è il riconoscimento di ciò che ci minaccia: si prova paura davanti ad uno stimolo reale, mentre l’ansia è una paura senza contenuto.
L’attacco di panico è la forma più acuta e intensa dell’ansia ed ha carattere di una crisi che si consuma in circa dieci minuti. L’età in cui tale disturbo si manifesta per la prima volta varia da soggetto a soggetto, ma solitamente si colloca tra la tarda adolescenza e i trentacinque anni. Il primo attacco di panico si manifesta quasi sempre durante un periodo in cui stress o tensione sono elevati: si possono avere fattori stressanti psicologici o fattori stressanti fisici. Risultano essere, dunque, fattori di rischio situazioni stressanti fisiche, quali malattie, mancanza di sonno, etc., e psicologiche, quali stress lavorativo, problemi finanziari, lutti, etc.
Durante l’attacco si possono avere uno o più dei seguenti sintomi:
-Respiro affannoso;
-Palpitazioni;
-Vertigini o giramenti di testa;
-Formicolii ai piedi o alle mani;
-Senso di costrizione o dolore al torace;
-Sensazione di soffocamento o mancanza d’aria;
-Sentirsi svenire;
-Sudorazione;
-Tremori;
-Vampate di caldo o di freddo;
-Bocca secca;
-Nausea o nodo allo stomaco;
-Debolezza delle gambe;
-Visione annebbiata;
-Tensione muscolare;
-Impressione di non riuscire a pensare chiaramente o di non riuscire a parlare;
-Impressione che le cose intorno non siano reali;
-Paura di morire, di perdere il controllo, o di comportarsi in modo bizzarro.
Gli attacchi di panico sono comuni e in alcune persone sono così frequenti da compromettere gravemente la qualità della loro vita quotidiana. Quasi tutti coloro che soffrono per lungo tempo di attacchi di panico prima o poi iniziano a evitare una o più situazioni per la paura di avere un attacco: si parla di “evitamento”. Le situazioni più frequentemente evitate sono: luoghi affollati, spazi aperti, autobus, treni, spazi chiusi e posti lontani da casa o dove comunque è difficile ottenere aiuto. L’evitamento è dovuto principalmente al fatto che la persona evita la situazione perché crede che causi i suoi attacchi di panico e teme, inoltre, le conseguenze sociali che ciò comporterebbe. Inoltre la persona evita le situazione dove potrebbe avere un attacco di panico, perché potrebbe essere, secondo il suo pensiero, pericoloso (es.: avere un incidente in auto durante un attacco di panico).
La maggior parte dei soggetti che soffre di attacchi di panico tende ad imparare velocemente a “riconoscere” le situazioni in cui è più probabile avere un attacco, o in cui è più pericoloso o fastidioso.
La persona attribuisce erroneamente l’attacco alla situazione nella quale è iniziato: per un concetto di “condizionamento” si passa da un rapporto di associazione ad uno di causa-effetto, per cui si ritiene che se è successo in quella data situazione, è colpa della situazione stessa. Tale convinzione porta allo sviluppo di paure situazionali e, spesso, all’evitamento. Per un processo di “generalizzazione”, la paura e l’evitamento si diffondono fino a temere ed evitare anche altre situazioni.
Dal momento che sia l’ansia che il panico sono l’accentuazione della sensazione di paura, essi indicano il timore di pericolo o minaccia al proprio benessere. In genere le reazioni di paura sono intense, il livello di attivazione si innalza improvvisamente, c’è un carattere di emergenza di fronte ad un oggetto specifico e l’attivazione cessa quando il pericolo si allontana. Nel caso dell’ansia la minaccia è meno evidente, il disagio è prolungato e l’esordio e la fine sono meno netti; inoltre l’ansia è meno intensa e si configura come una sensazione di tensione da aumentata vigilanza. Una differenza, dunque, sta nella consistenza della minaccia: quanto più la minaccia è definita, tanto più si parla di paura; quanto più è indefinita, tanto più si parla di ansia. Questo senso di minaccia si esprime con molte sensazioni fisiche che possono diventare, a loro volta, motivo di preoccupazione: quando lo stato d’ansia è prolungato questi sintomi possono sembrare una malattia, e la persona si convince della loro “pericolosità”, mentre, invece, si tratta solo di sensazioni spiacevoli e fastidiose che possono comunque essere tollerate e che andranno via.
I sintomi del panico sono simili ad una risposta di paura rispetto a situazioni di pericolo: provengono da una scarica di adrenalina, che, oltre a dare sintomi vissuti negativamente (palpitazioni, vertigini, soffocamento, etc.), stimola una maggiore efficienza e concentrazione per affrontare lo stimolo. In condizioni di quiete e di riposo il sangue contiene pochissima adrenalina; durante l’eccitazione, o in circostanze che richiedono speciale impegno si produce una scarica di adrenalina nel torrente circolatorio, cui sono dovuti effetti che, nel loro insieme, costituiscono la reazione di attacco o di fuga.
Quando si ha un attacco di panico si ha come la sensazione che non si stia respirando, invece si sta respirando troppo e siamo in iperventilazione. l'iperventilazione è una componente della reazione di attacco o di fuga: quindi è parte di una normale risposta fisiologica e non è pericolosa, anche se i sintomi indotti dall’iperventilazione sono spiacevoli, fastidiosi e possono spaventare, ma non sono dannosi e scompaiono quando si smette di iperventilare. L’iperventilazione, cioè il respirare con una frequenza e/o con una profondità eccessive rispetto alle esigenze dell’organismo, produce uno squilibrio nei rapporti tra ossigeno e anidride carbonica, e questo produce un restringimento dei vasi sanguigni, in particolare quelli di alcune aree del cervello, che produce un minore rilascio di ossigeno.
Sintomi dell’iperventilazione sono:
· Sensazione di testa leggera
· Sensazione di stordimento
· Sensazione di irrealtà e di stranezza del proprio corpo
· Sensazione di confusione
· Sensazione di formicolio alle mani, piedi, viso
· Tachicardia
· Rigidità muscolare
· Mani sudate
· Bocca e/o gola secche
· Sensazione di mancanza d’aria
Se l’iperventilazione dura a lungo si avrà:
-Vertigini
-Nausea
-Sensazione di testa leggera
-Sensazione di fatica a respirare
-Sensazione di costrizione, di dolore al petto
-Paralisi muscolare
-Aumento dell’apprensione e del senso di allarme
Iperventilando si aumenta anche il metabolismo e si avrà:
-Sensazione di accaldamento e arrossamento
-Sudorazione abbondante
-Stanchezza
-Sensazione dei muscoli affaticati, specie quelli del torace
Durante un attacco di panico molte persone hanno pensieri quali: “sto per morire”, “avrò un infarto”, “impazzirò”, e si è portati ad immaginare di avere un collasso per la strada ignorati dai passanti. Tali pensieri vengono definiti automatici, come automatiche sono le immagini, in quanto sono rapidi e spontanei ed accadono senza una logica. Tali pensieri ed immagini sembrano plausibili alla persona quando accadono, ma spesso sono meno credibili visti in retrospettiva: chiaramente irreali, esagerati o sbagliati. I pensieri automatici in situazioni di panico fanno quasi sempre parte di un circolo vizioso di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.
Il modello del disturbo da panico proposto da Clark (1986), è uno dei più utili per la concettualizzazione cognitiva e il trattamento del disturbo. Il modello di Clark propone che una determinata sequenza di eventi in una successione circolare conduca all’attacco di panico, ed è attualmente conosciuto come “il modello del circolo vizioso” del panico.Nel modello di Clark, gli attacchi di panico sono il risultato di “catastrofiche interpretazioni” di eventi fisici e mentali, erroneamente considerati segni di un imminente disastro, quale avere un attacco cardiaco, svenire, soffocare o diventare pazzo. Ad esempio, la sensazione fisica del capogiro può venire interpretata come un indicatore di un imminente svenimento, mentre quella dell’aumento del battito cardiaco come attacco di cuore. Anche eventi mentali, quali una difficoltà di concentrazione o la sensazione di avere pensieri che si accavallano confusamente, possono essere interpretati erroneamente come catastrofi mentali o sociali, quale perdere il controllo della propria mente o dei propri comportamenti.
Molte normali sensazioni fisiche o cambiamenti delle funzioni fisiologiche possono diventare oggetto di interpretazioni erronee. Il circolo vizioso, che culmina con l’attacco di panico, consiste in una sequenza di pensieri, emozioni e sensazioni che possono iniziare con qualunque di tali elementi. In questo modello ogni stimolo interno o esterno, che è giudicato minaccioso, produce lo stato d’ansia e i relativi sintomi somatici associati, che se sono interpretati in modo catastrofico, producono un ulteriore aumento del livello di ansia intrappolando l’individuo in un circolo vizioso, culminante nell’attacco di panico. Una volta che l’attacco è avvenuto, intervengono almeno tre fattori per mantenere tale situazione:
1. Attenzione selettiva riguardo alle sensazioni corporee;
2. Comportamenti protettivi associati alla situazione;
3. Evitamento.
Prestare selettivamente maggiore attenzione ai fenomeni del proprio corpo e focalizzarsi su esso, può contribuire all’abbassamento della soglia di percezione delle sensazioni e comportare un aumento dell’intensità soggettivamente percepita, conducendo a una maggior predisposizione ad attivare il circolo vizioso dell’interpretazione catastrofica. Inoltre, i pazienti sviluppano comportamenti protettivi legati al contesto della situazione, allo scopo di evitare le conseguenze temute. Sfortunatamente, questi comportamenti impediscono di disconfermare le proprie convinzioni, con una possibile intensificazione dei sintomi somatici. Ad esempio, i soggetti che erroneamente interpretano un capogiro come un segno di imminente collasso, possono subito sedersi, appoggiarsi a qualcosa per evitare di crollare a terra.
In conclusione, i comportamenti protettivi contribuiscono a mantenere l’attacco di panico in due modi: primo, impediscono la possibilità di una disconferma delle interpretazioni erronee inducendo il paziente ad attribuire falsamente il mancato avverarsi della conseguenza temuta al loro utilizzo e non, piuttosto, al fatto che l’ansia non causa drammatiche conseguenze fisiche come il collasso. Secondo, certi comportamenti protettivi possono peggiorare direttamente i sintomi somatici e cognitivi e, di conseguenza, rendere più probabile l’avverarsi della situazione temuta. Infine, “evitamento” è un fattore di mantenimento dell’attacco di panico poiché, nel caso di situazioni critiche, per esempio negozi affollati, limita la possibilità del soggetto di provare ansia e scoprire che questa non porta alla catastrofe.
La terapia cognitivo-comportamentale per il disturbo di panico si basa sul presupposto che, durante un attacco di panico, la persona tende ad interpretare alcuni stimoli esterni (es. code nel traffico, luoghi chiusi, luoghi aperti) o interni (es. tachicardia, sensazione di svenimento, confusione mentale) come pericolosi, come il segnale di un’imminente catastrofe; tali interpretazioni, spaventando la persona, scatenano l’ansia, con i relativi sintomi mentali e fisici.
Gli attacchi di panico sono molto comuni nella popolazione generale e il disturbo di panico è uno dei disturbi d’ansia più comuni: l’importante è essere consci del fatto che il disturbo di panico non è una malattia fatale e non porta alla psicosi.
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