Gentile Maria Antonietta, ritengo che Lei sia sulla strada sbagliata, quella farmacologica pura e dura, che è solo sintomatica, non andando minimamente a risolvere – ma nemmeno ad intaccare – i problemi di fondo che la generano, e che per questa via mai potranno essere risolti, se non piuttosto peggiorare, sostenuti come sono dal ‘meccanismo di difesa’ del farmaco. Questi problemi vanno invece affrontati, e la risposta è del tutto evidente: propriamente il panico è non un disturbo, ma il sintomo di un disturbo, che riguarda chiaramente tutta la personalità, nel presente come nella sua storia personale: diciamo, presumibilmente, secondo le classificazioni nosografiche del DSM5, che alla base c’è un Disturbo d’Ansia Generalizzato, però con un marcato effetto depressivante. Ciò mette in dubbio la diagnosi, suggerendo l’opzione (da verificare in terapia) di pensare a un disturbo depressivo. È possibile che, con un approccio specifico – ovvero con un ‘lavoro sulle emozioni’ -, si potrebbe ottenere in tempi non lunghi un miglioramento (se non una risoluzione) dello stato generale d’ansia e di tristezza ed accidia (per dirla petrarchescamente). In tal senso, una focalizzazione strategica sui sintomi e una sorta di rieducazione emozionale appaiono senz’altro adeguati. In alternativa, una soluzione più radicale sarebbe – su tempi più lunghi - affrontare una terapia del ‘profondo’, che risolva le radici dell’ansia e, di conseguenza, anche i suoi sintomi. L’approccio terapeutico A Distanza (online, ovvero via chat), previo consulto telefonico gratuito, alternato con sedute ‘in presenza’, potrebbe essere appropriato al caso in questione. Cordiali saluti.