Depressione: quando l'amore manca

La depressione non nasce sempre da eventi recenti. A volte le sue radici affondano molto lontano, nei primi mesi di vita. René Spitz, psicoanalista austriaco del Novecento, è stato uno dei primi a studiare come le prime relazioni affettive influenzano il nostro benessere psichico per tutta la vita.

Spitz ha osservato da vicino bambini piccoli che, nonostante fossero ben nutriti e curati fisicamente, si ammalavano gravemente o regredivano perché privati del contatto affettivo con la madre o con una figura stabile. Questo fenomeno lo ha chiamato “depressione anaclitica”.

Cosa significa depressione anaclitica?

a significa “depressione anaclitica”?La parola “anaclitica” viene dal greco e significa “appoggiarsi”. Nelle prime fasi della vita, il neonato si “appoggia” totalmente alla figura materna o a chi se ne prende cura. Ha bisogno di contatto, voce, calore, sguardi, tenerezza.

Quando questa presenza viene a mancare — per esempio a causa di un ricovero o di un’assenza prolungata della madre — il bambino può reagire con angoscia, pianto continuo, rifiuto del cibo e rallentamento nello sviluppo.

Se l’assenza affettiva persiste, entra in una sorta di ritiro: non piange più, non cerca più lo sguardo, non risponde agli stimoli. È come se perdesse fiducia nella possibilità di essere amato. Questo stato Spitz lo ha definito depressione anaclitica.

Il bisogno vitale di relazione

Spitz ci ha mostrato che la relazione affettiva è un bisogno primario, tanto quanto il cibo o il sonno. Senza amore, contatto e riconoscimento, il bambino non può crescere in modo sano.

E questo vale anche per l’adulto. Chi soffre di depressione spesso sperimenta un senso profondo di solitudine, di disconnessione. È come se quel bisogno di essere visto, toccato, accolto non fosse mai stato soddisfatto davvero.

Il dolore della depressione, in molti casi, è legato a una mancanza antica, che forse all’epoca non poteva nemmeno essere messa in parole. Ma che si è iscritta nel corpo, nella memoria emotiva.

Il “vuoto” che fa male

Chi vive la depressione racconta spesso di sentire un vuoto. Un’assenza di senso, di desiderio, di energia. È un vuoto che non si riempie con le cose materiali, ma che parla di una assenza interna: come se mancasse qualcosa di essenziale, un appoggio interiore, una base sicura.

Secondo Spitz, quando nelle prime fasi della vita manca la risposta dell’altro — il volto che risponde al nostro pianto, la voce che ci calma, le braccia che ci tengono — si crea un vuoto difficile da colmare. Un vuoto che può riemergere in età adulta sotto forma di depressione.

L’importanza dello sguardo

Uno degli esperimenti più famosi di Spitz è quello sul “viso immobile” (still face). Quando la madre o il caregiver smette di rispondere ai segnali del bambino, anche solo per pochi minuti, il piccolo entra in crisi: cerca lo sguardo, si agita, piange, poi si ritira.

Questo ci insegna quanto sia fondamentale essere visti, riconosciuti. La depressione, allora, può essere anche la ferita di un’esistenza che non si è sentita degna di uno sguardo amorevole.

Depressione non è colpa di nessuno

Chi soffre di depressione spesso si sente in colpa. Pensa di essere “rotto”, sbagliato, difettoso. Ma se ascoltiamo Spitz, capiamo che la depressione non è una colpa. È una ferita relazionale, un dolore antico che ha bisogno di tempo, cura e vicinanza per poter guarire.

Serve qualcuno che possa “esserci” in modo nuovo. Non per sostituire ciò che è mancato, ma per aiutare a costruire oggi una relazione diversa, più sicura, più umana.

La speranza nella relazione

Spitz ci ha anche insegnato che, se l’amore torna, se la figura affettiva si riavvicina, il bambino può riprendersi. Il cervello e il cuore sono plastici: si possono riformare legami, si possono sanare fratture.

Anche nella depressione adulta, la cura passa attraverso il legame: una psicoterapia fatta di ascolto autentico, una relazione stabile e affidabile, uno spazio in cui finalmente si può essere se stessi, anche nella fragilità.

Conclusione: depressione come richiesta d’amore

La depressione, letta con gli occhi di Spitz, non è solo un disturbo. È un messaggio. È la voce di una parte di noi che chiede amore, vicinanza, riconoscimento. Che forse non ha mai potuto ricevere ciò di cui aveva bisogno, ma che non ha smesso di cercarlo.

Accogliere questo messaggio con empatia e rispetto è il primo passo verso la cura.

Bibliografia essenziale

  • Spitz, R. A. (1945). Hospitalism: An Inquiry into the Genesis of Psychiatric Conditions in Early Childhood. Psychoanalytic Study of the Child, 1, 53–74.
  • Spitz, R. A. (1965). Il primo anno di vita del bambino. Giunti.
  • Stern, D. N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Boringhieri.
  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura: applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Cortina

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