Sigmund Freud: “Lutto e melanconia”
Il problema della perdita ha inizio con la vita. Fin dalla nascita siamo destinati a perdere l’unione con la madre e questa esperienza di distacco si rinnova per tutto l’arco dell’esistenza, dallo svezzamento, ai primi passi, alle prime parole; tutto questo è un modo per significare la perdita, allontanandoci dagli inizi.
Il lutto, quindi, è una modalità della psiche attraverso cui l’individuo si trasforma dopo una perdita (De Silvestri, P., 2004).
Lutto, morte e depressione sembrano essere affini da un punto di vista fenomenologico, ma differenti da quello dinamico.
Freud parla per la prima volta del lutto nella Minuta G, del 7 gennaio 1895, in questi termini: “l’affetto corrispondente alla melanconia è quello del lutto, cioè il rimpianto di qualcosa di perduto. Così nella melanconia dovrebbe trattarsi di una perdita e precisamente di una perdita della vita pulsionale”. Quindi, non sarebbe inopportuno partire dall’idea che la melanconia consiste nel lutto per la perdita della libido (Freud S., 1892-97, p. 29-30).
Sia lutto che melanconia per Freud hanno pertanto alcuni fenomeni in comune, in particolare un doloroso abbattimento (diminuzione del tono dell’umore), la mancanza o ritiro dell’interesse dal mondo esterno, l’inibizione dell’attività fino alla perdita della capacità di amare.
La differenza tra lutto e melanconia consiste essenzialmente nel tipo di scelta oggettuale: di tipo oggettuale il primo, scelta narcisistica la seconda. Mentre nel lutto gli investimenti si spostano dall’oggetto ad un altro oggetto per continuare a vivere, nella melanconia questo non è possibile e la perdita diventa uno dei destini delle pulsioni.
Il lavoro del lutto consiste allora nel ritiro progressivo della libido da parte dell’Io dall’oggetto investito; quando il ritiro libidico è stato effettuato e la realtà di perdita accettata, allora l’Io si trova con un quantitativo libidico da investire in un altro oggetto e può concludere il processo del lutto.
Invece, la perdita inconsapevole che si verifica nella melanconia e che riguarda una parte di sé confluisce in vissuti che includono un abbassamento della stima del sé, in termini di avvilimento, fino a sfociare in autoaccuse, aspettative o bisogno delirante di autopunizione. Per tal motivo Freud afferma in, “Lutto e melanconia”, che “nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, mentre nella melanconia impoverito e svuotato è l’Io stesso” (Freud, 1917, p. 105).
Un Io che nella melanconia si rivela primitivo, che non è riuscito a costruirsi come patrimonio energetico in termini pulsionali e che non può elaborare una perdita di un qualcosa che non ha.
Nello specifico i meccanismi intrapsichici della perdita, che si verificano nella melanconia, prevedono la perdita di un oggetto, con il quale si era instaurato una relazione di tipo narcisistico: ossia il soggetto è scelto sul modello della propria persona o dei suoi oggetti precedenti. Questo significa, inoltre, che con la perdita dell’oggetto investito narcisisticamente, la libido viene ritirata nell’Io e l’oggetto è assunto nell’Io, ossia incorporato, per cui si può parlare propriamente di perdita di sé.
La parte dell’Io, identificata con l’oggetto incorporato, diventa una parte strutturale dell’organizzazione interna dell’Io per questo motivo l’Io risulta scisso.
L’altra parte dell’Io sorta dalla scissione (il Super-Io primitivo e sadico, che non deriva dalla triangolazione edipica) è in collera sia con l’oggetto che l’ha abbandonato, sia con sé stesso. La parte sadica del Super-Io, difatti, attacca l’oggetto fuso con la parte recettiva dell’Io, per cui si ha una perdita dell’Io dovuta anche a questa parte severa del Super-Io, che tra l’altro è responsabile delle autoaccuse, del crollo della stima di sé, fino a formulare pensieri suicidari (Mangini, E., 2006). “L’ombra dell’oggetto cadde così sull’Io, che d’ora in poi poté essere giudicato da un’istanza particolare come un oggetto, e precisamente come l’oggetto abbandonato” (Freud, S., 1917, p.108). Secondo Freud, una delle possibili difese rispetto all’esperienza della perdita dell’oggetto (tema ripreso da Melanie Klein) si configura come una negazione: non è accaduto nulla, tutto è come prima, ecc. Da questo punto di vista la mania e la dimensione di euforia permanente che l’accompagna consistono proprio nella negazione dell’esperienza traumatica della perdita. La mania tende piuttosto a produrre la sostituzione compulsiva dell’oggetto al posto della simbolizzazione della sua perdita irreversibile (Mangini, E., 2006).
La riflessione freudiana in questo senso apre ad altre considerazioni inerenti anche l’aspetto del deficit con l’oggetto primario e di una perdita reale avvenuta precocemente, che imprime una ferita narcisistica in un Io che ha bisogno ancora di oggetti che fungono da contenimento e da prolungamento del Sé.
L’investimento verso tali oggetti considerati, comunque, ancora parziali sono connotati ora da sentimenti di amore e idealizzazione, ora da odio e svalutazione e l’Io è pronto a sostituirli o a svalutarli, se gli oggetti stessi non rispondono ai suoi bisogni narcisistici.
Il conflitto che sembra imporsi nella melanconia, che Freud chiama nevrosi narcisistica, sembra proprio lo scontro tra un Super-Io sadico come presenza dell’ombra e di un altro Io all’interno dell’Io scisso del paziente.
Inoltre, il conflitto tra Super-Io arcaico ed Io scisso implica il significato che l’oggetto introiettato è vissuto con forte componente aggressiva, che culmina in aspetti di forte ambivalenza (odio-amore) per l’oggetto e che insieme all’identificazione narcisistica spiega il sadismo con cui si relaziona verso gli oggetti e verso sé stesso (Mangini, E., 2006). La via melanconica che si intraprende come conseguenza di una perdita è definita in modo enigmatico come un lavoro (Arbeit).
Questo significa che il melanconico, che è un soggetto passivo, senza vita, mortificato, triste, schiacciato dall’ombra del passato, senza avvenire è, paradossalmente, un soggetto al lavoro. E quale sarebbe il lavoro melanconico?
Sempre secondo Freud consisterebbe “nel preservare la pertinace adesione all’oggetto” (Freud, S., 1917, p. 105). La risposta melanconica alla perdita è, dunque, una risposta adesiva che tende a trattenere l’oggetto al punto che, come scrive Freud in una frase molto nota, “l’ombra dell’oggetto cade sull’Io” (ibidem).
Infine, vi è una terza via come possibilità di reazione alla perdita: il lavoro dell’Io come elaborazione del lutto, ossia la possibilità di simbolizzare la scomparsa, di attraversare il dolore, l’esperienza del negativo, ricostruendo la possibilità dell’esperienza libidica del mondo. La costruzione del mondo fantasmatico, che possiamo definire come la capacità di pensare e simbolizzare, è un processo creativo che inizia molto presto nello sviluppo infantile e serve per riempire il vuoto dell’assenza materna (Visconti, N., et al., 2012).
Freud, forse, non a caso definisce il lavoro simbolico del lutto, quel lavoro che rende possibile una introiezione della perdita, una sua simbolizzazione. Questo lavoro psichico comporta memoria, dolore e tempo. Freud usa l’espressione "lasso di tempo" per definire quel supplemento di tempo che il lavoro del lutto esige.
Non c’è lavoro del lutto quindi che non implichi dolore. Il dolore è il segnale dell’incontro con il buco reale lasciato dall’oggetto, implica un ritiro della libido dal mondo, una sua introversione. Il soggetto assorbito dal dolore della perdita, si ritrae dal mondo, si concentra su se stesso e sul suo lavoro psichico.
Alla ricerca di una memoria dell’oggetto perduto, ripensandolo, rivedendone le tracce della sua presenza, i ricordi.
Un’interessante affermazione di Freud che poi sarà ripresa da Melanie Klein è la caratteristica della melanconia a convertirsi in mania. Secondo Freud la mania non ha un contenuto diverso dalla melanconia, in quanto entrambe le affezioni lottano contro il medesimo “complesso”; probabilmente però mentre nella melanconia l’Io ne è stato sopraffatto, nella mania riesce a controllarlo o a metterlo da parte. La mania, cioè, non è altro che un trionfo di questo genere, ma anche questa volta l’Io ignora quali prove ha superato e perché sta cantando vittoria (Freud, S., 1917).
Sembra, quindi, che una delle caratteristiche della perdita oggettuale sia la possibilità di incorporarlo, situazione che non risolve l’elaborazione psichica del lutto, anzi la complica a partire da una serie di vicissitudini legate all’ambivalenza verso l’oggetto che, riversata sull’Io del soggetto, diventa in questo modo oggetto di sé stesso.
I tentativi che l’Io mette in atto verso la perdita dell’oggetto, seppur estremizzati come è stato illustrato da Freud nella malinconia e nella maniacalità, hanno in definitiva un tentativo, quello comunque di avviare un lavoro del lutto, al quale, però, l’Io non è capace di fare fronte.
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