Sulla Depressione

SULLA DEPRESSIONE

Ha in se il sentimento del vuoto, della mancanza, della perdita.

E un lutto senza il "morto" quindi impossibile da elaborare.

La persona depressa si sente nuda, fragile, priva di valore, colpevole della propria sofferenza e anche di quella che sente di provocare a chi le sta vicino. Vive, di fatto, la propria autentica solitudine, sperimenta in modo struggente il proprio non-essere. Lio si è smarrito e reso irreperibile.

E’ una sensazione più o meno costante di vuoto. Vuoto di chi? Di cosa? Non lo so, di tutto: queste le risposte dei pazienti depressi. Un vuoto disarmante dunque, difficilmente identificabile e perciò incolmabile. Sembra sempre senza via d’uscita, un percorso circolare che riporta sempre al punto di partenza. Questo vuoto che non contiene niente, che non è niente in sé, se non logorante attesa di essere riempito, è la persona stessa. Percependosi come un qualcosa da riempire si reifica, si riduce a d una cosa priva di energia vitale, di consapevolezza di essere e di esistere.

Una cosa che aspetta. La sua attesa è rivolta esclusivamente all’esterno, a qualcuno che arriverà a riempirla con la propria vitalità oppure a qualche evento, causato da altri, che modificherà la situazione.

Le uniche energie che la persona depressa può mettere in atto, a volta con uno spreco tale da ridursi in grave stato di stress, sono dirette alla ricerca di questo intervento miracolistico dal di fuori. Più spesso rimane ferma in attesa, un’attesa perenne, angosciante.

La persona ha perduto la consapevolezza di chi o di cosa attende, in seguito perde anche la consapevolezza di essere in attesa e ciò amplifica l’angoscia che diventa paralizzante, fobica. Ora vive solo la sensazione totalizzante di essere sommersa, invasa, schiacciata e sente che prima o poi soccomberà.

Quando finalmente arriva qualcuno a trarla in salvo, l’angoscia si attenua, a volte scompare, le dà un senso di sollievo che tuttavia non dura a lungo. Presto torna un sottile ma persistente senso di insoddisfazione, poi di rabbia che si traduce in un atteggiamento di ingratitudine verso il salvatore e di nuovo ecco il vuoto e con esso l’attesa.

Il ciclo si ripete sempre uguale. Il meccanismo appare facilmente identificabile, eppure il depresso non si accorge di esserne l’artefice; potrà incolpare le lune, le stagioni, le età, confortato dai manuali di psichiatria che recitano la ciclicità come una caratteristica propria della “malattia”.

La persona depressa pensa: non posso fidarmi degli altri. Il retro-pensiero è: vorrei che gli altri si prendessero cura di me ma ho paura che non lo facciano, quindi non posso fare affidamento su di loro. Alla sua coscienza però il pensiero si presenta in modo paranoico: gli altri non mi danno niente, non posso fidarmi di nessuno, devo contare solo sulle mie forze, posso fidarmi solo di me stesso.

Questa è un tragico autoinganno! Non è vero che può fidarsi di se stesso poiché è proprio lui che si tradisce ciclicamente. Non è vero che può contare sulle proprie forze poiché esse rimangono impegnate nella ricerca di qualcosa di esterno che giunga a modificare la sua situazione esistenziale. E’ vero che non può fidarsi degli altri, nel senso che non può soltanto affidarsi agli altri per vedere risolto il suo dramma.

Finché continua ad agire così incontrerà solo delusioni; se gli altri rifiutano di aiutarlo diventano cattivi ma anche se accettano il ruolo di salvatori entrano in un rapporto insano che alla lunga non può soddisfare nessuno dei due.

Per sperimentare il sentimento di fiducia bisogna invece con-fidare negli altri cioè fidarsi insieme e fare insieme.

Come può il depresso acquisire l’autonomia psicologica necessaria a con-fidare?

Deve rompere la ruota che lo imprigiona, il suo tipico modo di darsi da fare che lo riporta inesorabilmente al punto di partenza. Come può sperimentare la fiducia, la sicurezza che le è connaturata e che conduce a poter con-fidare negli altri? Come può acquisire l’autonomia psicologica necessaria a con-fidare. Solamente all’interno del setting analitico, nella ricostruzione di un rapporto primario gratificante, attraverso la ri-sperimentazione della diade simbiotica, il vuoto potrà essere riempito e come una linfa vitale scorrerà nella sua psiche vitalizzandola.

Potrà affidarsi, sentirsi al sicuro, protetta ed aiutata.

Ricostruirà la sua storia e ritroverà un io riconoscibile, identificabile, reperibile. Sarà fornita di una propria energia, si sentirà viva e potrà e saprà rapportarsi agli altri da persona indipendente, potrà collaborare, condividere, agire insieme, vivere con gli altri, con-fidare e amare.

E da cosa vuota diverrà persona viva.

“Rosalba Carlino”

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