Salve a tutti, sono una ragazza di 18 anni, vivo in un piccolo paese, non mi è mai mancato nulla, ho degli amici meravigliosi e una bella famiglia. Nonostante tutto questo non sto bene, non mi sento accettata, soprattutto da mio padre.. Ha sempre da ridire su tutto ciò che faccio, so che mi vuole bene, ma non capisce che mi fa del male, soprattutto quando parla di mia sorella maggiore, perché per lui è la figlia prediletta. Io sono sempre stata meno calma rispetto a mia sorella e qualche volta ho deluso molto i miei genitori. Non mi sento capita da nessuno, non mi capisco neanch'io. Alterno periodi di massima euforia (sto sempre fuori casa e riesco a divertirmi) a periodi che non riesco a fare nulla, solo stare a letto, da sola. Alcuni giorni sento che posso arrivare dove voglio, mi sento determinata per il mio futuro, altri, invece, una nullità totale. Mi convinco di stare bene con me stessa, che mi piace il mio carattere e il mio atteggiamento nei confronti altrui, ma arrivata a questo punto, mi domando, è davvero così? In realtà non sono forte come penso, solitamente me ne frego degli altri e delle cose e penso solo a me stessa, ma forse non riesco a pensare nemmeno a me stessa adesso. Mi sono fatta usare da un ragazzo per quasi un anno, nonostante ne fossi consapevole, ma adesso sto male, mi manca e so che non dovrebbe essere così. Spesso non riesco a stare con la gente, anche la mia migliore amica dopo un un paio d'ore inizia ad essere insopportabile per me. Non mi comprendo, non riesco a capire chi sono, so solo che sto perennemente male anche se non lo faccio notare agli altri.
La relazione analitica poggia sul riattraversamento delle matrici, che altro non è che un dialogo con la nostra genealogia, un potere vedere nostra madre e nostro padre non come l’ Assoluto generatore, la con-fusione originaria, bensì figli e portatori di quel destino che essi ci trasmettono. Questo ci consente di distinguere da noi il nostro destino possibile e non vedere più i genitori come determinanti la nostra esistenza. Nel momento in cui c’è un perché, una domanda, si annuncia la disposizione a un sapere quello che non sa o ad affrontare quell’ ignoto assoluto che è il non sapere di non sapere. Io non so di non sapere: tutto mi sembra chiaro, so benissimo perché questo, perché quest’ altro, perché quello, eppure rimango con un vuoto di senso, non riesco a dare un significato persuasivo all’ insieme degli atti che compongono la mia esistenza. Per quanto io sappia di ogni singolo gesto della mia quotidianità, io non so, non so il senso riassuntivo dell’insieme dei miei atti, delle mie scelte. Il sapere può essere soddisfatto attraverso quell’alimento cognitivo che si chiama insegnamento: qualcuno sa quel che io non so, qualcuno mi dice come è fatto il mondo, qualcuno mi dice di terre lontane da me mai viste, io apprendo prendo dentro di me delle informazioni. Ma questo difficilmente colma quel vuoto di senso. Come psicoterapeuta mi dispongo all’incontro in un processo di conoscenza reciproca in cui diventa possibile riconcepire, i ricordi, e la storia, che diventa nuova e viva. Se desideri avventurarti con me in questo coraggioso e fecondo viaggio per portare i nostri passi verso il mistero del non ancora realizzato sarò lieta di incontrarti nel mio studio.