Cara Elena comprendo molto bene, mi creda, quanto le sta accadendo.
La malattia oncologica è soggetta a fasi cliniche, di protocollo e di pari passo vanno anche ed inevitabilmente i correlati e le risposte emotive e psicologiche.
Da quel poco che lei dice attraverso la sua lettera mi sembra di poter intuire che lei abbia completato il primo protocollo di cura-terapia applicato per la sua diagnosi e che ora sia nella fase di follow-up/monitoraggio.
E’ noto come nelle prime due fasi –diagnosi e trattamento- vi siano reazioni di shock ma anche una psiche che cerca di far fronte alla durezza e dolore di quanto si va prospettando.
Molto sottovalutata (soprattutto dai medici) è questa fase di ri-adattamento alla vita, dove invece paradossalmente vanno a confluire tutti gli aspetti che erano stati congelati (meccanismo di difesa molto complesso e potente) per mettersi al servizio della sopravvivenza e del “fare” per curarsi con i farmaci o la chirurgia.
La psiche rispetto al corpo ha dei tempi molto più lunghi e agisce quando il soma in qualche modo è stato portato in salvo. Ora che lei sta meglio ecco arrivare lo tsunami. Gli interventi ospedalieri si rallentano, come pure il contatto con i medici. Ci si sente di dover “ripartire” più soli, a partire anche dalle proprie forze e risorse, ma aver toccato la morte rende quasi impensabile che si possa tornare a vivere. Si chiama Disturbo Post Traumatico da Stress quel che lei ora si trova a dover rielaborare. È un lavoro lento, lungo che la porterà a dover/poter resettare il suo psichismo, la sua identità, le sue radici. Si può fare.
Le consiglio di non essere da sola, di non affrontare il grande lavoro di rielaborazione della malattia senza un aiuto psicologico. Ormai nelle strutture oncologiche è quasi sempre presente la figura dello psiconcologo o di gruppi di auto-mutuo aiuto o anche nella sua città potrebbe trovare queste risorse. Non sia sola a dover fare tutto questo impegnativo lavoro. Anche perché la parola cancro non fa più rima necessariamente con fallimento delle cure ed esiti nefasti. Anzi! Molte prognosi possono andare nella direzione della guarigione, della stabilizzazione da monitorare, della cronicità…
Perciò non solo è necessario ma può valer la pena investire sugli aspetti psicologici di resilienza. Sono ormai tantissime le evidenze scientifiche tra cure oncologiche e correlati psicologici.
A differenza di molti psicologi che non parlano della loro vita privata (esattamente come facevo io prima della mia malattia oncologica) ora sono in grado di poter usare questa esperienza come risorsa personale e professionale. Posso rispecchiarmi avendo la giusta distanza per ascoltare e soprattutto entrare in contatto empatico con le persone ammalate di cancro e i loro care-givers.
È anche per questo che riesco a leggere come una reazione normale e fisiologica la sua fase depressiva, di idee suicidarie, di paure e di caos emotivo. Occorre lavorare. Col lavoro può giungere un cambiamento adattativo.
Buon percorso Elena!