Salve, ho 25 anni e da quando ne avevo 17 soffro di crisi d'ansia. Sono stati anni fatti di alti e bassi, quindi con lunghi periodi nei quali stavo bene, con o senza farmaci (la prima volta a 18 anni mi sono state prescritte 12 gocce di seropram, ridotte e eliminate e poi in alcune circostanze riprese con minor dosaggio) e altri periodi difficili, nei quali perdevo esperienze ed occasioni importanti, ma poi riuscivo a tornare alla quasi normalità.
La situazione è precipitata, in modo grave, negli ultimi 3 anni. Cerco di spiegare il più possibile. Innanzitutto durante il liceo, nell'anno in cui iniziarono i disturbi, mi ritirai da scuola e quindi persi un anno. L'anno seguente ricominciai e andò tutto molto bene. Mi piaceva studiare, ero abbastanza brava, ma non avevo le idee chiare per l'università e così feci la prima di una serie di scelte sbagliate.
Ogni scelta sbagliata veniva seguita da un periodo, più o meno intenso, di ansia, vergogna e forte angoscia che condizionavano la mia quotidianità. Dopo due anni, grazie all'enorme aiuto dei miei genitori, che invece di buttarmi fuori casa e costringermi a lavorare mi diedero la possibilità di riprovare con la facoltà "giusta" per me e per i miei obiettivi, iniziai qualcosa che per la prima volta sembrava andare bene.
Vivevo fuori sede, facevo nuove amicizie, davo esami con buoni risultati, controllavo quasi pienamente l'ansia, il tutto con una terapia di 5 gocce di seropram, perché l'estate precedente avevo avuto degli episodi ansiosi. Nonostante tutto, però, mi sono fatta sfuggire la situazione di mano ai primi disagi, tra piccoli problemi di salute, di famiglia e preoccupazioni universitarie. Mi sono adagiata troppo su questi problemi che all'inizio erano piccoli e risolvibili e così, pian piano, tutto è precipitato.
Si sono aggiunti problemi esterni seri, due lutti, di cui uno difficilmente elaborato, isolamento, perdita di tutti gli amici, riduzione delle uscite, fino a trovarmi così come sono ora. Un fantasma di me stessa. Sono tre anni che non prendo un mezzo pubblico, non faccio un viaggio che sia più di un giorno. Ovviamente la perdita della mia quotidianità è avvenuta gradualmente, quindi si può dire che per un anno ho continuato a frequentare un po' di gente, a restare in contatto con qualcuno, a fare progetti.
Addirittura per quasi due anni mi sentivo sempre come se fossi momentaneamente parcheggiata a casa dei miei genitori, pronta a ripartire e trasferirmi per proseguire l'università. Persino lo studio non è stato totalmente abbandonato da me, con periodi in cui cercavo di prefissarmi un obiettivo, come la data di un esame, ma poi tutto naufragava. Crisi di panico, con sensazione e terrore di svenire continuamente, difficoltà a stare in piedi, ad uscire.
Ora è una tragedia, in famiglia ho una situazione difficile e non possono aiutarmi. Tramite una conoscenza mi sto informando per una psicologa, perché voglio provare a parlarne con qualcuno, anche per capire se è possibile ancora fare qualcosa o devo rassegnarmi. Mi manca quello che ero prima, vorrei tornare ad esserlo, ma con la maturità e la consapevolezza di adesso. Non voglio sentirmi invalida. Voglio essere indipendente e non dover appoggiarmi a mio padre anche solo per attraversare la strada. Voglio tornare a vivere in una città che non è il mio piccolissimo borgo invivibile. Mi manca studiare ed essere soddisfatta di qualcosa, mi manca uscire a bere una birra con un amico, mi manca tutto. Ora sono limitata anche nel guidare la macchina. Dallo scorso anno lo psichiatra di riferimento mi ha prescritto 12 gocce di Seropram, negli ultimi mesi ho dovuto ridurle a 8 per frequenti problemi di stomaco, sotto consiglio del mio medico di fiducia, che è a conoscenza del mio caso e si consulta anche con lo psichiatra in questione. Oltre a tutta questa tragedia che è la mia vita, a preoccuparmi è anche la mia reazione ogni volta che vedo il mio ex (con il quale non ebbi una storia troppo seria, ma al quale ero molto legata e soprattutto lo ero mentre perdevo ogni pezzo della mia vita e ovviamente anche lui preferì andarsene per la sua strada) con la sua compagna. Sono passati due anni da quando non ho un minimo contatto anche telefonico con lui, perciò ho paura di essere malata anche per questa ossessione. Piango ancora per lui e mi vergogno per come potevo essere squallida ai suoi occhi, con i miei problemi e i miei fallimenti che si concretizzavano. Se ci incrociamo per strada da vicino, cosa che capita molto raramente, ci ignoriamo e credo che lui non si ricordi chi sia. Quanto è grave il fatto che io la viva ancora così? Perché so che non può essere minimamente normale, sebbene abbia cercato di trovare mille risposte ai miei timori, come il fatto che mi ha lasciato quando ero distrutta e stavo perdendo tutto, o che non ho dato il meglio di me con lui, o che non è stata colpa di nessuno. Ma tutt'oggi il dolore che sento legato a questo fatto è atroce. Naturalmente per lo schifo che sono diventata, per colpa mia, cerco di evitare ogni sguardo conosciuto in giro, perché provo una vergogna che non so gestire. So di fare schifo a 25 anni senza una laurea e senza un lavoro e non ho il coraggio di guardare negli occhi neanche i miei genitori, che sono l'unica cosa che ho e ai quali sarò per sempre debitrice, perché so che chiunque altro avrebbe chiuso le porte a un figlio adulto da mantenere.
Non ho nulla, l'unico interesse che sono riuscita a preservare è quello per la lettura, ma spesso la concentrazione mi abbandona anche in questo. A me piacciono molte cose, e delle volte mi ritrovo in lacrime anche per non poter andare più al cinema. Sento un forte impulso a voler star meglio e riprendere in mano la mia vita, ma c'è una rassegnazione di fondo che, nonostante mi ostini a non accettarla, prende il sopravvento.
Non so neanche se io abbia una forte depressione o se sia una conseguenza dell'ansia generalizzata che ha bloccato la mia vita. Io ho accettato di star male e di dovermi curare e infatti voglio iniziare un percorso di psicoterapia, ma ho paura di dover accettare anche di non poter fare più niente e di non poter recuperare una vita degna.