Buonasera a tutti. Mi chiamo Greta. Da circa un anno vivo una relazione con un ragazzo africano. Ciò che mi ha fatto innamorare di lui è stata la sua costante presenza e la sua apertura immediata nei miei confronti.
Lui è in Italia da circa cinque anni. Ha conseguito una laurea triennale - e sta continuando per la magistrale - e lavora.
Appena conosciuti, mi ha raccontato parte della sua vita (costernata da non poche sofferenze: la morte della mamma quando lui non era già più in Africa, quella della sorella, un rapporto complicato col padre, l'anemia falciforme che, viste le varie manifestazioni - l'ultima a marzo con una forte polmonite per la quale è stato ricoverato -, gli causa parecchio tormento).
Lui mi aveva raccontato di aver avuto difficoltà, in passato (le ultime risalenti a qualche mese primq della nostra conoscenza) a prendere sonno. Aggiungeva sempre che, grazie a me, era ritornato a dormire; a questa affermazione io gli facevo notare che, non essendo io il problema, non potevo essere la cura.
Dicevo, credevo di aver trovato la persona perfetta.
Dopo circa qualche mese, però, ha iniziato a diventare sempre più pensieroso. Ad allontanarsi da me, ma anche dagli amici.
Viviamo in regioni diverse, ma in questi mesi io l'ho raggiunto spesso - sono stata anche per un mese intero a casa sua - e lui ha fatto, per quel che poteva, altrettanto.
Ha iniziato a rattristarsi a febbraio. A Marzo ha avuto la polmonite ed è stato ricoverato per due settimane. Io sono corsa subito da lui e sono rimasta lì con lui per più di un mese. Lo vedevo triste, schivo...e addebitavo tutto allo spavento per la malattia.
Lui non vedeva e non sentiva il padre da anni. Un giorno, come se fosse una informazione da niente, mi disse che aveva sentito il padre e che voleva farlo venire in Italia perché il padre ha bisogno di cure. Ma non ne era felice. Lo diceva con una certa indifferenza. Ho provato a chiedergli di più, ma si è chiuso.
La storia continuava ed io continuavo a vederlo strano. Mi diceva che io ero l'unica di cui si era mai fidato - testuali parole - "ogni tanto".
Nelle storie precedenti, da quello che mi raccontava, non aveva mai avuto il livello di intimità raggiunto con me. Era come se nelle storie passate le due individualità della coppia rimanessero tali, non fondendosi mai in un unicum.
Nel vederlo strano e distante, troppo concentrato sul suo dolore e persino incapace di una carezza, io lo incalzavo chiedendogli che avesse. Fino a che, un mese fa, lui mi ha chiesto una pausa giurandomi che io non c'entro nulla, e che sono mesi che soffre, ma non capisce per cosa. Dice di non riuscire a provare empatia ed emozioni. Di essersi chiuso persino con la famiglia. Gli amici mi confermano che è sfuggente anche con loro. Mi ha detto di aver staccato persino a lavoro. Aggiunge di essersi rivolto ad uno psicologo perché vuole caoure, DA SOLO, l'origine del malessere. Che gli fa male non riuscire a dare il 100% con me. E che non vuole farmi soffrire. Io ho provato per un mese a concedergli questa pausa. Ci sentivamo ogni due/tre giorni. Fino a che, dopo una settimana di silenzio, non l'ho chiamato. Alla sua mancata risposta sono esplosa e gli ho detto che l'avrei lasciato. Si è detto d'accordo perché non vuole che io soffra per lui.
Io sono convinta che la difficoltà che sta vivendo sia seria e reale. È un bene che stia solo e si isoli da tutti? Ho fatto bene ad essere così drastica?