Una questione fondamentale che ruota attorno al tema del suicidio, generalmente ignorata, è la situazione dei “survivors”, di coloro che sono sopravvissuti al suicidio di una persona cara.
Per ogni suicida ci sono almeno sei vittime (genitori, figli, partner, fratelli), a cui si aggiungono amici, compagni di scuola, colleghi, insegnanti, ecc.
L’American Psychiatric Association afferma che perdere un caro per suicidio è un'esperienza paragonabile a quella che si sperimenta in un campo di concentramento.
I survivors sono vittime, anche dello stigma, a rischio di suicidio.
Vivono nella colpa e nella vergogna, nascondendo il proprio dolore e sentendosi spesso dire di guardare avanti, farsene una ragione, cercare di dimenticare. In realtà, parlarne, è un bisogno e serve ad affrontare la questione, a condividere i propri sentimenti, a portarli alla luce, perché tenerli segreti fa solo più male.
Lo strumento ideale per il sostegno a chi è passato attraverso questa esperienza, sono i gruppi di auto aiuto. Piccoli gruppi coordinati da un facilitatore/coordinatore, che permettano ai partecipanti di sperimentare l’appartenenza ad una piccola comunità di individui che possono davvero capirsi e condividere sentimenti ed emozioni, dalla disperazione, alla rabbia, al senso di colpa, senza sentirsi giudicati.
In questi gruppi si è liberi di raccontare che cosa è avvenuto, di condividere anche i perché, le domande, cosa che difficilmente avviene nella quotidianità, poiché il tema del suicidio rappresenta un forte tabù.
Chi è sopravvissuto al suicidio di una persona cara ha il diritto di trovare soluzioni per ritrovare una qualità della vita buona, dando un senso all’esperienza vissuta.
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