In questi casi la sentenza viene emessa soltanto dopo un periodo lungo e tormentoso di indagini diagnostiche, di prescrizioni e di cure, che mettono a dura prova l’equilibrio personale e la solidità del legame coniugale.
Accanto alle più frequenti sterilità organiche, compaiono impossibilità psicologiche, che si risolvono spontaneamente oppure grazie a un intervento psicoterapeutico che aiuti la coppia a superare quei remoti conflitti. Non è raro che sopravvenga un inatteso concepimento dopo che l’ansia di generare ha trovato appagamento nell’adozione.
Ma non sempre la sterilità colpisce in egual misura entrambi i membri della coppia. Spesso uno solo dei due è ritenuto inabile a procreare. Un tempo questa incapacità era attribuita quasi esclusivamente alla moglie, che la soffriva come un’inadempienza coniugale e un’inferiorità sociale.
Metodi diagnostici più efficaci hanno ormai provato che le cause della sterilità si distribuiscono in modo pressoché paritario tra i due sessi. Per gli uomini si tratta di una esperienza relativamente recente, alla quale non sono preparati. Nella maggior parte dei casi tendono a negare il problema che, espulso dalla porta, può rientrare dalla finestra sotto forma di sintomi psicosomatici, di atteggiamenti ipocondriaci o di stati depressivi. Se il rapporto coniugale è statico, gli interessi comuni scarsi, il flusso di affetti anemico, la diagnosi di sterilità può minare la coesione della coppia. Nella maggior parte dei casi, la crisi viene superata costruendo nuovi equilibri.
L’essere senza figli non è soltanto una condizione negativa, in quanto rimangono più risorse per sé, non soltanto economiche, ma anche di tempo e di disponibilità reciproca.
Inoltre è sempre possibile aprirsi verso l’esterno, alimentare amicizie, le solidarietà, gli scambi culturali. Tutti conosciamo coppie che avrebbero desiderato avere bambini, ma che hanno comunque costruito intorno a questa privazione una vita ricca, serena, donativa verso gli altri.
Tuttavia non possiamo negare che qualche cosa vada perduto. Vi è un desiderio corporeo di maternità e di paternità che si appaga soltanto attraverso la procreazione, la cura e l’educazione di un figlio proprio. La lusinga di vedere perpetuate le proprie caratteristiche fisiche, i propri tratti di temperamento in un altro individuo.
Vi sono, nell’inconscio, fantasie di inseminazione da parte maschile e di gravidanza da parte femminile (“voglia di pancia”) che l’adozione non può realizzare. La fecondazione assistita promette invece risposte più vicine al desiderio inconscio. Due immaginari convergono su un fantasma comune, quello del “bambino della notte” che si articola, per la donna, nel desiderio di un figlio “a tutti i costi”, per il medico invece nel desiderio di un bambino “in qualsiasi modo”. L’onnipotenza, che domina entrambi, si cela dietro la concezione terapeutica delle nuove tecnologie riproduttive.
Sono sempre più numerose le famiglie in cui l’incapacità di procreare determina una situazione di frustrazione e di conflitto che si traduce in richiesta di intervento medico. Pochi, tra i richiedenti, conoscono le basse percentuali di successi delle fecondazioni medicalmente assistite, perché le sconfitte non fanno notizia, mentre gli obiettivi raggiunti vengono divulgati come fosse la norma. Anche in quest’ambito la risposta condiziona la domanda.
Quanto più i mass media magnificano i successi del concepimento indotto tanto più le coppie sono sollecitate a rivolgersi al medico, ancor prima di essersi interrogate sul loro desiderio di filiazione. In molti casi intravvede una soluzione tecnica deresponsabilizzata perché ci si pone in attesa che gli altri facciano qualche cosa per noi, che risolvano in ultima analisi, i nostri problemi.
Tuttavia la tecnica non è mai “neutra”: porta sempre con sé delle conseguenze che è opportuno conoscere e valutare. Innanzitutto muta la valutazione stessa della sterilità. Il periodo in cui la coppia è disposta ad attendere una gravidanza diviene sempre più breve. Sino a non molti anni fa era considerata sterile dopo quattro anni di rapporti sessuali non protetti.
Ora, dopo un anno, già richiede e ottiene un consulto medico. D’altra parte, la ricerca di un figlio inizia sempre più tardi in quanto altre esigenze si presentano come prioritarie. L’avvicinarsi dei quarant’anni suona come un campanello d’allarme che scatena la corsa al “bambino dell’ultimo minuto” (last minute baby). La procreazione medicalmente assistita incontra, in questi casi, una ridotta fertilità organica e una esasperata impazienza psichica.
Molte coppie, peregrinando da un centro all’altro, affrontano disagi personali, costi economici, fratture familiari pur di realizzare l’irrinunciabile sogno di un bambino proprio.
La domanda di un figlio “ a tutti i costi” non è di per se stessa illegittima se, oltre al diritto al bambino, tiene conto anche dei diritti del bambino.
E’ poi opportuno che i richiedenti prendano atto dei costi fisici e psichici che dovranno affrontare.
Innanzitutto la preliminare ricerca sulle cause dell’infertilità comporta l’intrusione di uno sguardo estraneo nella sfera più segreta dell’intimità della coppia. Inoltre una diagnosi di “sterilità” può essere indebitamente recepita come una “colpa” non sempre facile da elaborare, soprattutto per l’uomo, che sente messa sotto accusa la sua capacità virile.
Ma anche quando la sterilità riguarda esclusivamente il marito, è sempre sulla donna che operano gli interventi medici. Sarà il suo ciclo ormonale ad essere farmacologicamente indotto e manipolato. Oltre che l’organismo, gli interventi, che durano mesi o addirittura anni, modificano anche le fantasie e i pensieri delle donne in trattamento. Parlando di se stesse, le pazienti ricorrono quasi esclusivamente a termini medici, anziché al consueto lessico familiare. Sembra che il segreto fantasma di bambino, che si solito anima l’attesa, sia relegato nell’inconscio e sostituito con un oggetto scientifico neutro e impersonale. Inoltre la separazione tra sessualità, condivisa con il coniuge, e fecondità, condivisa, con il medico, produce due figure di riferimento egualmente importanti e difficili da armonizzare tra di loro.
Spesso, nel corso della cura, riemergono sentimenti provati nel conflitto edipico infantile: il ginecologo viene ad occupare il posto del padre o la ginecologa quello della madre, due figure vissute, nell’inconscio, come onnipotenti. Nei loro confronti la paziente è indotta ad assumere un ruolo infantile, passivo e dipendente, che rende più difficile accettare i frequenti insuccessi. In questi casi, le piccole o grandi crisi depressive sempre in agguato, rendono quanto mai opportuno un sostegno psicologico compente e capace
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