La tendenza a ricercare più partner sessuali, talvolta, può esprimere un disagio interiore derivante da un'insoddisfazione personale e dal contestuale bisogno di cercare esperienze appaganti. Ecco perché il tradimento può presentarsi anche quando il rapporto sentimentale 'ufficiale' sembra funzionare perfettamente. Infatti, secondo alcuni studiosi, il tradimento potrebbe addirittura rappresentare un'occasione di crescita personale e di emancipazione da un legame di coppia simbiotico castrante che imprigiona le libertà individuali o potrebbe essere legato ad un cambiamento dell'individuo e dei suoi bisogni profondi che non vengono più appagati all'interno della relazione di coppia. Secondo un gruppo di studiosi americani di antropologia Darwinistica e di psicologia dell'Evoluzione, uomini e donne sono costretti in senso biologico a tradire. Una delle principali sostenitrici di questa teoria è Helen Fisher , una antropologa ricercatrice del dipartimento dell’American Museum Natural History di New York. Ella sostiene che le avventure extra coniugali sono comuni a tutte le culture di tutto il mondo, anche la dove l’adulterio è ancora punito con la pena di morte; ci si corteggia , ci si innamora, ci si sposa, ma l’individuo umano è incline a essere sessualmente infedele al proprio compagno/a. L’adulterio nasce dunque da un impulso biologico in cui l’uomo è naturalmente promiscuo per la necessità genetica primaria di massimizzare la possibilità di riprodursi. La donna, a sua volta, sceglie di essere fedele ad un solo uomo oppure dedicarsi al sesso clandestino con altri uomini per avere vantaggi da ognuno di essi. Secondo studi di Psicologia Clinica, questi sono comportamenti inconsci che abbiamo ereditato da lontani antenati nel corso della nostra lunga storia evolutiva. Ma cosa può rendere un uomo davvero fedele e monogamo? Se gli alti livelli di testosterone presenti nell'uomo favoriscono il comportamento di ricerca sessuale, l'innamoramento, invece, riduce i livelli di questo ormone, rende l'uomo dolce, fedele e propenso alla famiglia, stabilizza la relazione tra uomo e donna, proiettandola verso la condivisione e la collaborazione in una dimensione di profonda affettività che si chiama amore. L'uomo innamorato pensa solo alla sua donna e allontana dalla sua mente il suo desiderio dell'harem. Da un punto di vista psicobiologico solo il maschio della specie umana possiede nella sua natura una così marcata duplice propensione: la poligamia e la monogamia. Nel mondo animale la monogamia è più tipica tra gli uccelli, che risultano essere fedeli e orientati alla collaborazione e alla crescita della prole. La monogamia però non è totalmente esente dal tradimento, esso lo riscontriamo purtroppo nella società di oggi dove il tradimento coniugale è diventato un bene di largo consumo, diventando l'adulterio il peccato più confessabile da parte degli italiani. Il partner assolutamente fedele e le storie d'amore blindate, a prova di tradimento, non esistono poiché tutti tradiamo con il pensiero, tutti abbiamo l'istinto di relazioni extra, almeno solo con la fantasia. Quindi vediamo che tradire, in fondo, è anche una questione di scelta e questa modalità si attiva con un meccanismo preciso chiamato “disamoramento”, proprio quando nella coppia, nel corso degli anni, si crea il silenzio affettivo e sessuale, prima ancora della perdita di fiducia, dell'indifferenza e dell'intollerenza. Se c'è amore quindi non si pensa proprio a tradire ma si prova solo il piacere della fedeltà. Helen Fisher e Robert Wright affermano che l'impulso all'adulterio abbia anche un fondamento genetico, ma non devono però far credere che quanto è scritto nei nostri geni sia del tutto incontrollabile; la fedeltà è una scelta controllabile ma si deve essere allenati al dominio di sè, al duro lavoro psicologico clinico quotidiano fatto di percorsi personali, chiarimenti e meditazioni psichiche. Se è vero che infedeli si nasce, dal mio punto di vista, fedeli si diventa, attraverso un percorso terapeutico clinico fatto di consapevolezza, costanza e tanto impegno, e disponendo di quella che Daniel Goleman chiama “intelligenza emotiva”.
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