L'amore della coppia fa bene al cuore

Fra le relazioni intime che costruiamo nella nostra vita, il legame di coppia appare indubbiamente fra le più complesse. Questo perché la scelta del partner avviene tramite un ingaggio reciproco, fra due individui, che si scelgono sulla base dei propri bisogni di riparazione e nodi irrisolti del proprio vissuto intimo.

Il disagio psichico può esprimersi attraverso conflitti e crisi delle relazioni, ove il confine fra l’intrapsichico e l’interpersonale della coppia appare indefinito e sfumato.
La formazione della coppia è sin dall’inizio segnata da numerose minacce, legate sia alla separazione dalla famiglia di origine, sia alla natura stessa della società moderna, definita da Bauman (2006) come “modernità liquida”, ove tutto appare reversibile e privo di confini nitidi e definiti. Secondo l’autore (in Andolfi - Mascellani, 2010) l’individualismo odierno è un individualismo povero, caratterizzato da un interesse egoistico e da un’ansia di fallimento: desideriamo la sicurezza e la vicinanza, eppure nutriamo sentimenti di paura nel rimanere incastrati in legami stabili e duraturi, trasformando la dipendenza in un limite alla nostra libertà ed equiparandola ad un fallimento personale.
La scelta del partner, apparentemente basata esclusivamente sull’ideale di amore romantico scevro dalla ragione, in realtà è frutto di una mescolanza fra miti, mandati e lealtà familiari che, in una alchimia, segnano di fatto la coppia in un gioco di “pieni” e di “vuoti” che determinerà l’evoluzione o l’interruzione del legame. Il partner diventa quindi il mezzo principale per elaborare e trasmettere il mito familiare e il terreno per elaborare le perdite del passato.
Whitaker (1989) definiva il matrimonio come un “lungo cammino verso l’integrità”che segue varie tappe evolutive, un processo di adattamento a una cultura estranea.

Obiettivo del matrimonio per l’autore è agevolare un passaggio da una condizione di figlio a una di adulto, sforzandosi di raggiungere una condizione di parità all’interno della relazione. Ogni matrimonio ha la sua identità e un suo stile ma l’obiettivo è la costruzione di un’intimità che avviene da “persona a persona”, ovvero fra due individui che pur essendo consapevoli di interpretare un ruolo, non perdono la propria integrità, vivendo fluidamente la dialettica fra l’appartenenza e la separazione.

Caratteristica del matrimonio è di essere una sorta di psicoterapia che dura tutta la vita, in una relazione da persona a persona, un processo di cambiamento in cui i partner hanno l’opportunità di negoziare diritti e privilegi per il semplice fatto di appartenere a una diade, un Noi che è più forte della somma dei singoli componenti. Sarà proprio questo Noi a diventare alimento e nutrimento per il bambino che apprenderà, fin da piccolo, ad appartenere a una relazione e a sentirsi libero di potersi separare.

Il bambino svilupperà così un attaccamento verso la relazione all’interno di un triangolo di crescita emotiva.
Anche Dicks (in Norsa-Zavattini, 1997) definisce il matrimonio come una condizione terapeutica naturale all’interno della quale si esprimono relazioni oggettuali irrisolte: il coniuge diviene dunque il portatore di un oggetto interno del partner a cui sono affidati aspetti scissi del Sé. Fairbairn (in Scharff, 1991) sosteneva che il bambino è attratto dalla relazione con la persona che si occupa di lui e mette in relazione il mondo oggettuale interno con le operazioni transazionali fra le persone che vivono un legame intimo.

Il bisogno di relazione è dunque un bisogno vitale e nel momento in cui l’oggetto nega la soddisfazione, il bambino prova un senso di elevata frustrazione. Quando la sofferenza diventa intollerabile, allora il bambino dovrà introiettare tale esperienza e rimuoverne una parte. L’oggetto sarà quindi sperimentato come ideale(che soddisfa i suoi bisogni: da adulto può divenire una modalità di vivere la relazione con il partner in una modalità irreale, distorta e caratterizzato dal meccanismo della negazione), eccitante(che stimola desideri e bisogni: nell’adulto il genitore può essere presentificato nel partner divenendo finalmente quasi raggiungibile ma senza concedersi) e infine rifiutante(frustra i bisogni generando rabbia: tenderanno da adulti a scegliere partner che li faranno soffrire).

La scelta del partner avviene, secondo l’autore, sulla base della scoperta degli oggetti perduti delle proprie relazioni oggettuali che erano stati scissi ma, nel coinvolgimento con il proprio coniuge, vengono risperimentati attraverso l’identificazione proiettiva.
Scegliamo dunque il partner di cui abbiamo bisogno, volto a incarnare determinate caratteristiche in grado di ricreare quel sogno infantile dell’amore senza condizione e, contemporaneamente, dovrà essere sufficientemente simile all’introietto cattivo.
L’ingaggio di coppia pertanto avviene sulla base di una collusione di coppia (Norsa, Zavattini, 1997), ovvero quella specifica forma che assume la dipendenza psicologica in un legame perverso presente (in varia misura) in tutte le coppie.

Il legame di coppia è caratterizzato da quel senso di affidamento all'altro di parti scisse e proiettate di sé, idealizzate o negate. Il “portatore” diviene il contenitore di quegli aspetti del partner, supplendo alla sua incapacità di integrarli nel proprio Sé.

Il vantaggio consiste nel non riconoscere quelle parti del Sé riposte nel compagno (come ad esempio aspetti di aggressività o nuclei depressivi) al fine di vivere l’illusione di poterli controllare. L’identificazione proiettiva diviene dunque il ponte fra il funzionamento intrapsichico e i meccanismi interpersonali, aiutandoci a comprendere quelle modalità d’interazione fra le persone in termini di conflitti che avvengono nell’individuo (Zinner in Scharff, 1991).

In quest'ottica, ogni qual volta noi entriamo in contatto con l'altro abbiamo l'opportunità di scoprire parti di noi che ci sono precluse, parti di noi difficili da riconoscere: senza uno specchio intersoggettivo non avremmo modo di avviare un dialogo interno con noi stessi, vivremmo la parzialità del Sé e ci sarebbe impossibile conoscere il nostro vero “volto”. Emerge una lettura del nostro universo come menti che non sono separate o isolate ma che assieme co-creano l’intersoggettività.
Secondo Stern (2005) la lettura dei contenuti mentali dell’altro consente di fare esperienza di uno scenario mentale comune: attraverso uno stato funzionale condiviso da due corpi separati, l’altro oggettuale diviene un altro se stesso. Si creano dunque rappresentazioni della relazione e di cosa accade al Sé durante l’esperienza con l’altro.

Esse vengono arricchite da sentimenti, emozioni, fantasie, desideri che andranno a organizzarsi entro schemi relazionali che verranno in seguito riprodotti all’interno delle nuove relazioni con un “altro” che sarà predisposto a recepirle e a sintonizzarsi su di esse. L’intersoggettività regola la dicotomia fra l’appartenenza e l’isolamento, i cui poli sono da un lato i fenomeni mentali della trasparenza, della fusione e del disfacimento del Sé e dall’altro la “solitudine cosmica”.
           

L’esperienza “negativa” originaria viene riproposta successivamente nella relazione di coppia come una “coazione a ripetere” che non ha fine e non può essere interrotta. Stern afferma che la prevalenza di un prototipo a carattere negativo sia da ricondurre alla “forza” di un’esperienza traumatica che non è stata assimilata e modulata con altre esperienze positive che la possano controbilanciare.

Questa costante relazione negativa si fonda su una convinzione interna, collegata alla memoria procedurale (ovvero i ricordi delle esperienze sensoriali delle relazioni) che tende ad agire in modo prioritario per ristabilire l'efficacia del Sé. Vengono dunque espressi gli aspetti negativi delle relazioni passate (ad esempio rifiuti, abbandoni, esperienze di solitudine) e sono riproposte nella nuova relazione con la richiesta implicita che il partner si allinei ripetendo le stesse esperienze vissute nel passato.

Caratterizzata da una coazione a ripetere, presenta in se un alto rischio patologico nella sua rigidità e fissità dell'esperienza, impedendo la sperimentazione di nuove forme di relazioni, di apprendimento, di adattamento e la capacità di sintonizzarsi, ovvero l'uso dell'altro in termini riparativi e curativi.
           

I partecipanti sono quindi vincolati nell’indifferenziazione, volta a mascherare ogni possibile individuazione che minaccerebbe il proprio modello relazionale, svuotando la relazione di significato. Alla separazione si sceglie quindi quello che Canevaro (in Andolfi et al., 1999) definisce “mostro simbiotico”,ove entrambi i partner presentano un Io indifferenziato che fagocita quegli aspetti dell’identità personale.
           

La sfida del terapeuta diviene dunque quella di “dividerli” per far sì che essi possano finalmente unirsi o separarsi (e far emergere il proprio “vero” Sé), interrompendo quel “gioco di stallo in cui i due avversari, come i due giocatori di una partita di scacchi, sembrano destinati a fronteggiarsi in eterno in una situazione senza uscita: il loro rapporto non conosce vere crisi, né scenate catartiche, né separazioni liberatorie. Uno dei due a volte esibisce una serie appariscente di mosse di attacco, di provocazioni, di apparenti trionfi: sembra sempre che stia per avere la meglio, ma l’altro, quietamente, invariabilmente sfodera una mossa che ne azzera il punteggio”(Selvini Palazzoli, M., 1988 pag. 172-173).
           

Questa partita non è altro che il secondo atto di una partita iniziata nella propria famiglia di origine, che ha segnato sia il processo di apprendimento relazionale di entrambi i coniugi, sia la scelta del partner.
Molte coppie, fondano il loro patto di coppia su questi aspetti non evolutivi, scissi e proiettivi, che possono essere inserite in quelle definite da Fisher (1999) come “coppie falso Sé”: “La coppia falso sé ha bisogno di un termine per l’altro, quello che è nella posizione della madre non sufficientemente buona incapace di riconoscere e rispondere ai gesti del bambino” (cfr.) che condurrà a schemi di risposta fissi e improntati su un falso sé.

L’autore sostiene che nel momento in cui la madre e la coppia genitoriale non sono in grado di accogliere le proiezioni del bambino, divenendo “impenetrabili”, il bambino arriva alla disperazione attivando due differenti modelli di risposta: può diventare sempre più violento, nel tentativo di superare l’oggetto impenetrabile, oppure ritirarsi nel vuoto.

Ogni coppia che si relaziona secondo lo schema “falso Sé” è formata da un Sé remissivo e da un Sé tiranno che vengono celati all’interno della struttura di personalità di ognuno, in una dimensione o/o ove il mondo è formato esclusivamente da despotismo o sottomissione. Se uno dei due partner si pone come remissivo, l’altro risponderà tiranneggiandolo finché la situazione non si capovolge nuovamente.


Entrambi i partner sono vissuti dall’altro come il depositario delle parti negative del Sé e le aspettative di venire gratificati e riconosciuti non vengono soddisfatte immediatamente incrementando i sentimenti di rabbia e la sensazione di essere stati ingannati. Ogni difficoltà da parte del coniuge nel riconoscere il bisogno del partner, è considerato un rifiuto a se stessi.
           

Si formerà, in tal modo, una coppia che svilupperà una sola modalità di funzionamento, definita da un rigido schema di ruoli, all’interno della quale si è paralizzati in un meccanismo “nec sine te nec tecum vivere possum”, ove la speranza di entrambi i partner è di riprendere quel filo interrotto che non ha potuto fornire quel bisogno di sicurezza e di appartenenza necessaria per avviare il proprio viaggio individuale, protagonisti della propria realtà e non designati a rigiocare in eterno il ruolo assegnato.

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