Quando iniziamo una relazione affettiva viviamo più o meno consapevolmente un’esperienza molto complessa e carica di aspetti evocativi personali.
Ciò vuol dire che sia noi, sia il partner, porteremo in quella relazione la nostra valigia piena di tutto quello che ci ha portato fino a lì, piena di tutte le altre esperienze, attraverso le quali siamo diventati quello che siamo oggi.
Una nota canzone di Giusy Ferreri di qualche anno fa diceva:
“ti porto a cena con me
il tuo passato non è invitato
lascia a casa le pene
se me lo sono un po’ meritato
ti porto a cena perché
vorrei che tu mi togliessi il fiato”
Anche se inevitabilmente tutto il nostro passato è dentro di noi e si esprime nei nostri gesti, nei nostri pensieri, nei nostri atteggiamenti, ogni persona che acquisisca una sufficientemente ampia conoscenza di sé potrà scegliere di invitare il proprio passato a rubare la scena al presente, oppure potrà scegliere di tenerlo sullo sfondo, permettendo al presente di accadere.
Questo fa la differenza tra entrare in una relazione affettiva, liberi dalle proprie catene o entrarci ancora incatenati a qualcosa che non c’è più. Nel secondo caso il partner sentirà che non c’è ancora spazio per essere accolto e nella migliore delle ipotesi farà in modo di esprimerci che non sente di essere ricambiato sentimentalmete, o che si sente trascurato, o che non sente riconosciuto il proprio impegno nel portare avanti la relazione, etc.
Ma come mai alcune persone proprio non riescono a liberarsi del passato, ostacolando così l’arrivo e l’avvio di nuove relazioni affettive?
La risposta a questo interrogativo ha a che fare con lo sviluppo della personale abilità a vivere con sé stessi, a vivere quella solitudine fisiologica che è insita nella nascita stessa: quando nasciamo viviamo la nostra prima separazione dalla madre e da quel momento sperimentiamo l’esperienza del diventare una persona separata dalle altre.
Certo non comprendiamo il senso di questa esperienza da subito, ma, da quel momento in poi, saremo noi stessi a cercare il contatto con la madre e con le altre persone.
La reciprocità tra noi e il mondo, non dipende solo da chi si avvicina a noi, ma anche dai passi che noi facciamo per avvicinarci al mondo e agli altri.
Crescendo e diventando adulti diventa sempre più chiaro che, per compiere questi passi verso il mondo, dobbiamo saperci reggere sulle proprie gambe. In caso contrario saremo in balìa delle mosse altrui e all’interno di una coppia questo fenomeno è evidente quando, senza la presenza dell’altro, non si riesce a vivere.
Lungi dall’essere una prova d’amore, la famosa frase “senza di te non posso vivere” è in realtà il modo con cui confessiamo a noi stessi, spesso senza rendercene pienamente conto, che non siamo in grado di vivere la vita affrontando da soli il dolore, la paura, la rabbia, la noia e tutto quello che la comprende.
Un altro inganno che proponiamo a noi stessi, è credere veramente di non essere in grado di vivere da soli. Vivere da soli è una qualità fatta di impegni emotivi e concreti precisi, che può crescere, quanto più facciamo esperienza di stare con noi stessi intimamente, di stare con noi stessi anche se siamo in mezzo a una folla, di stare con noi stessi ascoltando di cosa abbiamo paura, di stare con noi stessi consolandoci, rassicurandoci, imparando a reggere fette sempre più ampie di emozioni, per espandere il proprio grado di tolleranza della solitudine.
In tal modo sentiremo realmente accrescere le possibilità di attrarre partner che ci scelgano e che scegliamo di avere a fianco, non perché ne abbiamo bisogno, ma perché desideriamo stare con loro.
La prospettiva reale della coppia e della suo mantenimento allora cambia, perché a tenerla viva e fresca è il movimento interno libero di entrambi i partner. Un movimento interno che permette di tenere il passato e i propri fallimenti sullo sfondo, facendo spazio a un nuovo progetto.
Questa prospettiva di movimento interno, che implica il continuare a stare con noi stessi pur stando con il partner, permette di trovare delle modalità di dialogo adatte all’interno della coppia, delle modalità che non vadano a rompere l’equilibrio individuale di ognuno, ma accolgano e integrino i modi di essere di ogni partner.
All’interno di una coppia in cui i partner esercitano questo diritto, azioni come continuare ad avere i propri spazi, continuare a coltivare le proprie passioni, non sono viste come una minaccia al rapporto o come un tentativo di sabotarlo: al contrario la ricchezza che ognuno prende dall’esterno, è ri-portata nella coppia, come fonte di energia nuova per entrambi.
E' su queste fondamenta, che trova spazio una comune progettualità, un’intenzionalità che abbraccia entrambi i punti di vista dei membri della coppia. In questo clima che non nasce da solo, ma che si costruisce passo dopo passo, con impegno e fatica, anche i momenti di crisi, diventano una risorsa per comprendere in quale direzione sta andando la coppia.
I problemi possono sorgere quando questa abilità a stare con sé stessi non è coltivata da entrambi: può accadere che si modifichi la percezione dell’altro a tal punto, che ci sembra di avere accanto un partner che fatichiamo a riconoscere. Accanto a questo problema, il mancato svincolarsi dalla famiglia d’origine, gli scarsi confini posti tra essa e la coppia, o l’affievolimento dell’attività sessuale, possono mettere in crisi la coppia.
L’aiuto di uno Psicoterapeuta è importante per entrare nel nocciolo del problema, trovare nuovi strumenti per fronteggiarlo e soprattutto per fare in modo che la chiusura della relazione, piuttosto che la sua prosecuzione, possa essere una libera scelta consapevole e non un intreccio irrisolto.
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