Buon giorno Denise,
in effetti la Terapia Strategica risulta particolarmente efficace nella cura dei disturbi che riferisce. Essa si struttura in un rapporto di fiducia tra terapeuta e paziente che, attraverso lo svolgimento congiunto di azioni terapeutiche, aiuta il paziente a modificare i processi psicologici, individuali ed interpersonali che ne causano la sofferenza. La terapia strategica permette di costruire modelli rigorosi sulla base degli obbiettivi da raggiungere, attraverso l’applicazione di una logica costitutivo-deduttiva che garantisca l’adattarsi della soluzione al problema rendendo i modelli stessi autocorrettivi. In altre parole, si comprende il problema attraverso la sua soluzione, e non viceversa. In altri termini, la strategia si adatta tattica dopo tattica alle risposte derivanti dagli interventi messi in atto: come nel gioco degli scacchi, si procede con un’apertura seguita da mosse che si susseguono sulla base del gioco dell’avversario. La Terapia Strategica è una forma di intervento breve e focale, orientata verso l’estinzione dei sintomi, da una parte, e verso la ristrutturazione della percezione che il soggetto ha di sé, degli altri e del mondo, dall’altra. Pertanto rappresenta un intervento radicale e duraturo e non una terapia superficiale e meramente sintomatica. Il cambiamento, infatti, avviene non solo a livello comportamentale, ma anche emotivo e cognitivo. Partendo dall’assunzione che i disturbi di natura psicologica derivano da una modalità disfunzionale di percepire e di reagire nei confronti della realtà, il terapeuta strategico, per cambiare una situazione problematica, anziché andare alla ricerca delle cause originarie, indaga sul “come” il problema funziona e sul “come” si mantiene per poi individuare la modalità d’intervento più efficace. Un aspetto fondamentale su cui il terapeuta focalizza l’attenzione sin dal primo incontro è l’indagine sulle cosiddette “tentate soluzioni”, vale a dire tutto ciò che il paziente stesso e le persone intorno a lui hanno tentato di fare per cercare di risolvere il problema. Questi tentativi disfunzionali ripetuti nel tempo, se non vengono bloccati e sostituiti con delle strategie più funzionali, alimentano la situazione problematica e ne determinano la sua persistenza, complicandola ulteriormente. Da un punto di vista strategico, quindi, per cambiare una situazione problematica non è necessario svelarne le cause originarie (aspetto sui cui, peraltro, non si avrebbe più alcuna possibilità di intervento), ma lavorare su come questa si mantiene nel presente modificando la ridonante ripetizione delle “tentate soluzioni” adottate. Per questo motivo, il terapeuta strategico concentra la sua attenzione, fin dal principio della terapia, sul rompere questo circuito vizioso che si è venuto a stabilire tra le tentate soluzioni e la persistenza del problema, lavorando sul presente piuttosto che sul passato, su “come funziona” il problema, piuttosto che sul “perché esiste”, sulla ricerca delle “soluzioni” piuttosto che delle “cause”. Scopo ultimo dell’intervento terapeutico diviene così lo spostamento del punto di osservazione del soggetto dalla sua posizione originaria rigida e disfunzionale (che si esprimeva nelle “tentate soluzioni”) ad una prospettiva più elastica e funzionale, con maggiori possibilità di scelta. In questo modo la persona acquisisce la capacità di fronteggiare i problemi senza rigidità e stereotipia, sviluppando un ventaglio di diverse possibili strategie risolutive. Per raggiungere questo obiettivo nella maniera più efficace e rapida possibile, l’intervento strategico è di tipo attivo e prescrittivo e deve produrre risultati a partire già dalle prime sedute. Se questo non avviene, il terapeuta è comunque in grado di modificare la propria strategia sulla base delle risposte date dal paziente, fino a trovare quella idonea a guidare la persona al cambiamento definitivo della propria situazione problematica.
La Terapia Strategico integrata si propone come un'evoluzione della terapia strategica breve perché si propone come un nuovo sistema di intervento sui sistemi umani con l’obiettivo di superare la settorializzazione dei diversi modelli epistemologici.
La necessità di una integrazione funzionale tra approcci e tecniche di psicoterapia afferenti da orientamenti all’apparenza contrapposti (psicoterapia dinamica, psicoterapia sistemico-relazionale, psicoterapia cognitivo-comportamentale e terapia strategica), consente di contrastare efficacemente i disturbi psicologici più diffusi e di farlo calibrando l’intervento non sulle caratteristiche della patologia ma sui bisogni della persona che ne soffre.
In più di 100 anni di storia della psicologia abbiamo visto alternarsi modelli e teorie che di volta in volta hanno proposto visioni del funzionamento umano concentrandosi su alcuni aspetti in particolare e ricavando tecniche di intervento e cura correlati alla propria e singolare prospettiva. Le ricerche in metapsicologia hanno, ormai da diversi anni, (Talmon, 1996) dimostrato che non esiste un solo modello terapeutico efficace e che i risultati di modelli teorici e clinici sono sovrapponibili tra loro. Ne deriva che specializzarsi oggi in un unico modello di interpretazione e cura del disagio psicologico, che sia il cognitivismo, il comportamentismo, il sistemico o altro appare quanto mai riduttivo: integrare conoscenze e pratiche raggiunte grazie al contributo di tutti i modelli nel loro insieme rappresenta senza dubbio la scelta più moderna e utile.
Quando parliamo di psicoterapia strategica integrata ci riferiamo a una formazione che includa ogni prospettiva utile, nell’interesse del paziente e a seconda delle sue peculiari necessità. Inoltre, il modello strategico integrato può lavorare in modo efficace e multidimensionale sul singolo, sul gruppo e sulle organizzazioni perché oltrepassa la psicologia dell’individuo e lavora su più livelli, comprendendo anche realtà “non patologiche”.
La Psicoterapia Strategica Integrata propone un modello d’azione, ma non lo pone come l’unico efficace ed efficiente; prosegue nella ricerca empirica da cui estrae orientamenti e modalità operative, senza tuttavia voler delineare best practices invarianti e protocollari; promuove una terapia più centrata sulla persona e meno sul sintomo, pur assumendo criteri di efficacia e di efficienza. Il modello lavora in continuità con altri approcci strategici e nella prospettiva di una integrazione possibile e proficua con altri modelli, come le psicoterapie psicodinamiche, che, pur partendo da premesse differenti, propongono strumenti di intervento interessanti e utili a seconda del caso trattato.
Spero di esserle stata di aiuto.