Il concetto di VIOLENZA, nelle sue innumerevoli accezioni, affrontato dal Dott. Roberto Spanu, psicologo e psicoterapeuta, in questo prezioso articolo, che sviscera le dinamiche della violenza e gli Attori che intervengono in uno scenario trasversale, che abbraccia indifferentemente sia il contesto coniugale/sentimentale e familiare, che quello lavorativo...in ogni caso la violenza, spesso ha radici lontane e profonde, che affondano nel substrato culturale e nell'imprinting educativo dei soggetti coinvolti...il tutto condito dai modelli vincenti e performanti della cultura dominante, che concorrono notevolmente a generare frustrazioni.....buona lettura
LA VIOLENZA
Il Carnefice e la Vittima
La violenza, ormai questo termine è sempre più presente nella televisione, negli organi di stampa e quasi rischiamo di assuefarci a vederla, a sentirla come elemento ineluttabile della nostra vita e della nostra quotidianità.
La violenza è agita in molte forme spesso sulle donne, gli anziani, i bambini, e su coloro che non possono difendersi.
La violenza sulle donne, in particolare, sta assumendo una rilevanza drammatica, si pensi che la più alta causa di morte delle donne è rappresentata proprio dalla violenza subita in famiglia ,da partner o ex partner.
Per le donne è importante trovare la forza in se stesse per uscire da situazioni di abuso e maltrattamento e capire perché spesso tollerano un comportamento intollerabile rendendosi di fatto vittime di un uomo carnefice .
Prendo spunto dal libro “Mobbing, Violenze e Molestie nei luoghi di lavoro” Key Editore Milano 2019 che ho scritto unitamente a Pasquale Lattari, Tiziano Coco e Marco Vitiello, per tracciare un breve profilo psicologico del Carnefice e della Vittima.
IL CARNEFICE
Il Carnefice è colui che agisce la violenza e potremmo definire sinteticamente il violento come colui che senza giustificato e oggettivo motivo, utilizza la forza di qualsiasi natura, fisica, psicologica, diretta o indiretta in modo da limitare l’altrui qualità della vita.
Le motivazioni che si nascondono dietro gli atti violenti possono essere varie.
Lo psicologo sociologo Gustav Le Bon, citato anche da Freud nel suo libro del 1921 Psicologia delle folle e dell’ io, descrive tra l’altro nella sua opera del 1895 “Psicologia delle folle” i meccanismi psicologici che fanno assumere agli individui atteggiamenti violenti e vessatori. Ad esempio, anche nel campo lavorativo, Le Bon postula che permanendo (lavorando) in un gruppo nel quale le responsabilità non sono nettamente assegnate, gli individui hanno minore possibilità di assumersi la responsabilità delle loro azioni.
Infatti osserviamo che nei casi di violenza le responsabilità sono sempre più indefinite.
Il primo punto dunque: la responsabilità delle proprie azioni.
Assistiamo spesso increduli anche da fatti di cronaca, come alcuni individui pongano in essere azioni di violenza subdola o manifesta che stentiamo a credere frutto di ragionamento consapevole.
Risulta peraltro difficile tracciare un chiaro profilo psicologico di chi mette in
atto comportamenti violenti peraltro possiamo affermare che la violenza, paradossalmente, è un atto di debolezza proprio per la impossibilità di non essere violenti ma può essere altrettanto vero che le persone che non sono violente possono non essere sufficientemente forti per manifestare la loro violenza. In questi casi tali persone scelgono bersagli limitati (nell’ambito familiare o lavorativo) oppure reprimono dentro di sé il loro carico di violenza, salvo poi farlo esplodere in occasioni particolari.
Quindi se non possiamo tracciare caratteristiche psicologiche particolari, escludendo le patologie psichiatriche gravi, possiamo però parlare di fattori di rischio.
Tra i fattori di rischio, considerato peraltro che gli atti violenti sono prerogativa principalmente maschile, possiamo considerare la violenza anche come problema culturale, in una società caratterizzata dal dominio maschile, che a volte può essere accompagnato da problemi di tipo psicopatologico, con sintomatologie ansiose e depressive o problematiche di organizzazione della personalità.
Le persone che esercitano la violenza fisica o psicologica, molto probabilmente non hanno avuto una formazione di tipo affettivo con la conseguenza di difficoltà/impossibilità di espressione delle emozioni, del dissenso ovvero della solitudine o della noia.
In una società come la nostra dove prolifera diffusamente il narcisismo, un edonismo sfrenato ed anche una cultura della sopraffazione, non deve sorprendere che si annidino segnali di violenza. Anche la sofferenza, nella incapacità di esprimerla, può favorire la manifestazione di violenza.
Tra i fattori di rischio dobbiamo anche considerare la crescita in un contesto socio-culturale sfavorevole con esempi di gestione dei problemi con la violenza o al contrario anche la crescita in ambienti borghesi o agiati caratterizzati alle volte da esempi genitoriali incapaci di dare un nome agli aspetti affettivi più profondi. Il contesto socio-culturale di provenienza può essere quindi un fattore di rischio ma da solo non spiega la violenza e non è la causa.
E’ comunque da considerare che in una cultura del benessere assoluto, dove è d’obbligo essere sempre felici, dover sempre stare bene, le persone mettono esse stesse al centro del mondo e le persone che non hanno strumenti, forza e capacità di gestire le frustrazioni hanno difficoltà ad agire atti e comportamenti non violenti.
Paradossalmente un debole (che ha poca forza) può essere un violento quando per ribellarsi alla sua condizione di debolezza (e sentirsi forte) usa a sproposito la propria forza con chi è più debole di lui (violenze in famiglia o sul lavoro con i propri sottoposti).
Spesso la violenza diventa manifesta solo quando la personalità violenta incontra una personalità debole.
La VITTIMA della violenza
Relativamente alle caratteristiche psicologiche delle vittime di violenza non sembrerebbe che ci siano tipi di personalità inclini a subire violenza. Può accedere a chiunque.
Ci sono peraltro soggetti che, per situazioni oggettive e contingenti, oppure caratteristiche particolari, possono essere considerati esposti a tale rischio.
Per quanto riguarda le situazioni oggettive e contingenti in particolare in
ambito familiare possiamo pensare ad un coniuge che dipende totalmente dall’altro coniuge dal punto di vista economico.
Per quanto riguarda le caratteristiche personali possiamo individuare dei fattori che possono aumentare il rischio di diventare vittime: Relazioni disfunzionali nella famiglia d’origine; Maltrattamento e abuso in età minore; Dipendenza da alcol e/o sostanze stupefacenti nelle figure di accudimento; Mancata fiducia nelle figure di accudimento; Modelli socio-educativi mirati alla sottomissione.
Le bambine che assistono ai maltrattamenti nei confronti della madre hanno maggiori probabilità di accettare la violenza come la norma in un rapporto di coppia rispetto a quelle che provengono da famiglie non violente.
Per la psicoanalisi possiamo considerare una predisposizione generica nei soggetti che hanno una tendenza inconscia che li porta ad avere un comportamento incline all’autodistruttività o all’autopunizione.
Vi sono le “vittime nate o collezionisti d’ingiustizie”.
La personalità di tali individui è di tipo nevrotico ed essi sono indotti a provare situazioni di sofferenza al fine di ottenere un piacere masochistico, questi individui tentano di riprodurre le frustrazioni subite ad opera della madre nella primissima infanzia. Secondo il professor Galimberti può definirsi vittima “un individuo o un gruppo che senza alcuna violazione di regole convenute, viene sottoposto a sevizie, maltrattamenti o violenze di ogni genere”
Inoltre, secondo un’altra interpretazione, un soggetto può contribuire al proprio ruolo di vittima in base alla propria condotta che incoraggia, provoca l’aggressore.
Concludendo
Contrastare la violenza in tutte le forme ed in tutte le sedi è un obbligo per ciascuno di noi.
Per chi rischia di essere vittima di violenza le parole chiave sono: consapevolezza e conoscenza.
Prendendo spunto dal detto: “se non puoi vincere una battaglia non la combattere” potremmo dire che quando si prende atto consapevolmente che non esiste possibilità di “fermare” la violenza, saggiamente l’unica cosa da fare, quando possibile, è “fuggire” ovvero cambiare la propria posizione.
Ma è necessario anche sviluppare delle “abilità” con impegno e ricerca introspettiva per far fronte alle aggressioni della vita: la resilienza.
In psicologia la resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Dott Roberto Spanu
psicologo psicoterapeuta
psicologoroma@yahoo.it
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