I conflitti non bisogna considerarli sempre come una espressione di disfunzionalità, essi se vengono gestiti in modo adeguato possono far instaurare nuovi equilibri e rapporti più sani e leali. Talvolta, pur vivendo in un clima tranquillo - ma è raro - nel momento in cui insorge una incomprensione si scatenano delle reazioni macroscopiche con manifestazioni aggressive. In realtà, il buonismo imperante nelle migliori famiglie e nei contesti più selezionati induce a pensare che non possano esistere pulsioni aggressive, spinte violente o atteggiamenti ostili. Bisogna considerare, in primis, che una certa dose di aggressività appartiene al nostro patrimonio genetico e istintuale e, anziché essere negata, essa deve essere riconosciuta, espressa e poi elaborata. Liberarsi della rabbia, fa bene in quanto le emozioni non devono essere coartate e represse. Tuttavia, l’espressione di esse deve essere contenuta onde evitare comportamenti violenti, che in tal caso, diventano patologici. Per prevenire tali comportamenti è opportuno comprendere cosa li sottende cercando poi di comprendere gli squilibri esistenti, stabilendo così rapporti migliori e soprattutto più miti e sinceri.
Se consideriamo i conflitti infantili, bisogna tener conto che, un bambino fino a 3 anni, di fronte ad un litigio tra coetanei, da parte dell’adulto deve essere adottato un atteggiamento di allontanamento, essere affettuosi con entrambi cercando soprattutto di distrarli portando il loro interesse, la loro attenzione su altri stimoli. Dai 4 anni in poi si può cominciare a parlare col bambino, in quanto attraverso la parola detta con un tono forte, ma calmo ed una voce incisiva si spiega che non deve esserci la violenza bruta, come accade tra gli animali e che riguarda la “legge del più forte”. Non bisogna usare frasi negative e molto frequenti : “non cambi mai”, “sei sempre tu a creare problemi” e così via, in quanto tali espressioni inducono il bambino a trasformare un comportamento scorretto in un tratto del carattere.
Con l’ingresso nella scuola primaria le insegnanti - laddove c’è un conflitto - devono ascoltare le motivazioni dei bambini magari coinvolgendoli separatamente fuori dalla classe, affinché attraverso il loro ascolto, lì si aiuta a capire, mediante un sereno dialogo, le ragioni del compagno, per indurre poi entrambi verso una intesa ritrovata. L’intervento degli adulti spesso sottintende una convivenza serena, come un “dato di fatto”, in realtà è una conquista che i bambini ottengono con i loro tempi e la loro graduale maturazione. Cercare sempre di inibirli con rimproveri, litigi e minacce di varia natura può generare reazioni e risposte negative, in quanto sono loro stessi che da soli spesso riescono a calmarsi ed a creare spontaneamente nuove alleanze e situazioni armoniose.
Esistono differenze tra maschi e femmine, in quanto i primi esprimono apertamente il conflitto, mentre le femmine preferiscono esprimersi con pettegolezzi, disattenzioni che spesso gli adulti non rilevano, esclusione dei maschi dalle loro attività. Con l’evoluzione della donna, anche le bambine di questa generazione stanno avendo, nei conflitti, reazioni più maschili e più aggressive. Tutto ciò spinge all’esistenza di una nuova etica che induce a pensare ad una attenuazione della diversità comportamentale tra i due sessi.
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