Rosso, il colore della passione e dell’amore. Il cuore che batte nel petto, il sangue caldo che scorre rapido sotto la pelle. Il respiro si fa incalzante e gli occhi spalancati cercano l’oggetto desiderato. Il desiderio è la circostanza su cui vale la pena riflettere, infatti è un sentimento che accomuna non solo l’amore ma anche la rabbia, inestricabilmente vicina all’amore stesso. Ariosto, scrisse l’Orlando Furioso, nei sui canti leggiamo come amore e rabbia sono due figure molto vicine e dai colori simili.
L’amore è un emozione, fra le più intense. E’ un intenzione che ci spinge con vigore verso una meta che ci porta a riunire ciò che sentiamo diviso. Così nello stesso modo con amore cerchiamo la persona “amata” e anche tutto ciò che ci appassiona: lavoro, amici e anche le semplici cose che ci interessano e diventano l’oggetto del nostro desiderio. A volte bisogni, a volte desideri; i primi per esaudire una necessità, mentre i secondi sono scelte d’amore. L’amore diventa allora, non solo un sentimento verso la persona amata, bensì si estende anche oltre i confini della coppia. Ognuno di noi compie a piccoli passi un percorso che gli permetterà di raggiungere l’oggetto del proprio desiderio. In questo modo, ad ogni passo, ci sentiremo sempre più parte dell’universo. E in quei momenti confondendo realtà e fantasia ci scordiamo del vuoto fra la terra e cielo, un vuoto che tutti noi abbiamo: la solitudine dell’esistenza umana.
Con tutte le nostre forze, ogni giorno rincorriamo, desideri pieni d’amore che possano unire di nuovo ciò che un tempo è stato diviso.
Nel momento in cui il nostro percorso viene deluso, ci arrestiamo e come bimbi impauriti sbattiamo i piedi a terra, piangendo pieni di speranze disilluse. La rabbia prende il sopravvento e spogliandoci di ogni ragione, delle nostre armi, della nostra scienza, urliamo al mondo il nostro furore. E la rabbia si impossessa di noi, come fosse sempre stata prigioniera nel nostro cuore, illusa dal desiderio: era rimasta buona aspettando la propria speranza.
La rabbia nasce, cresce e divampa lì dove ci sentiamo bloccati, frustrati e delusi, lì dove perdiamo ciò che sembrava avessimo conquistato con fatica, lì dove perdiamo la nostra strada per l’amore. E di nuovo, non per amore questa volta, il sangue scorre impetuoso sotto la nostra pelle, il cuore batte forte nel petto e gli occhi si spalancano cercando ciò che desideriamo. L’unica cosa che cambia è il furore che dirige tutti i nostri sforzi non più verso una meta, bensì verso ogni cosa, in un percorso senza arrivo. Non più nell’intento di amare e unirsi con la propria meta, ma con l’intento di distruggere ogni cosa. Non potendo più trovare ciò che vogliamo decidiamo quindi di distruggere tutto il resto, dando comunque voce al proprio cuore. Logorando noi stessi, in questo “cercare” senza meta, bruciamo il mondo per lenire il nostro dolore. In questa impossibilità di “trovare” fingiamo a noi stessi l’utilità di questa illusione, continuando nel “fare” per dare voce al nostro corpo che brucia senza trovare un ruscello nel quale lenire le sue ferite.
Come fare per ritrovare il senno?
Il senno, forse è la ragione o forse è l’emozione: non credo sia un dilemma risolvibile attraverso la logica formale: “A+B = C”, bensì attraverso il linguaggio mitologico e metaforico riusciamo insieme a cogliere qualche aspetto che ci accomuna. Non che il linguaggio del “logos” sia di intralcio, ma a volte è utile lasciarsi trasportare dall’intuito più che tirare le redini, specie parlando di rabbia. Nei canti di Ariosto, leggiamo che è proprio attraverso un Ippogrifo che il senno viene restituito ad Orlando. Vediamo insieme come il linguaggio metaforico spesso coglie, in modo estremamente sintetico, ciò che sperimentiamo nella nostra vita. Nei miti la figura dell’Ippogrifo non è altro che frutto dell’unione di un cavallo con un grifone, due animali che a loro volta rappresentano la divisione, l’ostilità: due nemici naturali.
Il cavallo rappresenta il controllo delle pulsioni, ha un diretto collegamento con la terra, con l’acqua, con la generatività e con il femminile materno. Sull’aspetto generativo occorre soffermarsi, in quanto, il cavallo nella storia è associato allo sviluppo della tecnica, della civiltà e delle opere nell’uomo come se fosse un intermediario fra la pulsione istintuale/inconscia e l’intelletto, il pensiero e la forza nell’agire tali energie, rivestendo in questo modo la figura generativa umana.
Il grifone, al contrario del cavallo, è un animale fantastico, non propriamente terrestre derivante a sua volta dalla fusione di un aquila e un leone, rappresenta il potere divino, infatti spesso, nella cristianità medioevale rappresentava Gesù Cristo. Gli aspetti in comune con il cavallo derivano dalla sua parte terrestre (il leone) e dagli aspetti di forza e intelligenza messi al servizio di un’energia, in questo caso divina. La grossa differenza fra il cavallo e il grifone è rivestito dall’aspetto generativo e dall’assenza della simbologia acquea nel grifone stesso, invece presente nel cavallo.
L’unione di queste due figure simboliche da luogo all’Ippogrifo, che rappresenta l’unione degli opposti, quindi il simbolo per eccellenza (simbolo: dal greco “mettere insieme”, “ciò che unisce”). L’ippogrifo, nato da un unione “impossibile” (nei fatti improbabile) sarà colui che cavalcato da un cavaliere volerà fin sopra alla luna per riprendere il “senno” perso da Orlando. L’Ippogrifo quindi rappresenta un unione improbabile, l’amore romantico che ridona all’uomo il senno. Infatti Orlando nel poema di Ariosto ritrova il suo giudizio, la sua serenità e così può continuare le sue battaglie, la sua vita con giudizio. E’ così che la rabbia furiosa cessa la sua furia indiscriminata, la sua proiezione diffusa su ogni cosa e in ogni dove. L’accettazione della perdita a cui la rabbia allude è ciò che mitiga la furia incontrollata e ri-unisce ciò che un tempo era stato diviso. Sulla luna, simbolo materno, viene preso il “senno” che origina una nuova “nascita”, un nuovo inizio. Tutto ciò permette ad Orlando di ri-trovare l’amore dentro di sé e da vita ad un nuovo ciclo di vita, ad un nuovo inizio.
Il sentimento della rabbia è quindi collegato alla perdita, alla perdita dell’amore, di una direzione e alla paura della solitudine esistenziale che è presente in ognuno di noi. Non esistono ricette preconfezionate per ritrovare il proprio “senno” ma una cosa è certa, il percorso è difficile e tortuoso; un percorso che ci porta alla crescita e all’inizio di un nuovo cammino. Accettando quindi la delusione insita negli “oggetti” esterni a sé, accettiamo la tristezza, le parti dolorose della vita e possiamo “vivere” l’amore nel suo realismo: nella sua duplicità di amore e odio. Questo Amore non è solo diretto all’esterno: nelle persone e nelle cose, bensì è rivolto anche verso se stessi nella personale ricerca della propria Chimera.
Dott. Fabio Gardelli
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