Nel 1689 Richard Morton, medico britannico, fu il primo ad interessarsi dello studio dell’anoressia nervosa. Questa è una patologia molto diffusa e colpisce principalmente il sesso femminile. Questo tipo di disturbo è correlato ad una distorta percezione della propria immagine corporea, ed è caratterizzato da una serie di sintomi psichici. Le anoressiche presentano, quasi sempre, un disturbo dell’umore (depressione), o un disturbo di tipo ossessivo-compulsivo, dal momento che sono continuamente attente a controllare nei dettagli la realtà, compresa quella del proprio corpo.
Gli studiosi affermano che i fattori culturali favoriscano l’insorgenza di questo tipo di patologia. Da alcune ricerche inglesi è emerso che il diffondersi dell’anoressia nervosa tra le ragazze è strettamente correlato al desiderio di essere magre e senza forme. Il mito della magrezza risulterebbe assente in tutti quei posti dove tale condizione corporea non è considerata una virtù. Questa ipotesi spiegherebbe come mai questa patologia è presente principalmente in soggetti di sesso femminile, di razza caucasica, di ceto sociale elevato e nella cultura occidentale.
I criteri diagnostici definiti dal DSM IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) per l’anoressia nervosa sono: rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la struttura; intensa paura di acquisire peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso; alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso; condizione di amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi.
L’anoressia nervosa può essere suddivisa in due sottotipi: con restrizioni, ossia non sono presenti né abbuffate né condotte di eliminazione, quali il vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici, etc., e con abbuffate/condotte di eliminazione.
Gli psicodinamici considerano l’anoressia mentale come un disturbo del concetto di sé. Il vissuto comune e predominante in un soggetto anoressico è l’impotenza ed il senso di inefficacia. Generalmente si tratta di ragazze che trascorrono la propria vita cercando di compiacere i propri genitori, apparendo come “brave” figlie. In questi soggetti sembra essere assente la capacità di autonomia e di gestione. La cura eccessiva del proprio corpo può essere un tentativo per nascondere una cattiva immagine di sé.
La Bruch, psichiatra statunitense di origine tedesca, ha messo in evidenza come la relazione madre-figlia piccola abbia un ruolo determinante nell’esordio di questo disturbo. La madre sembrerebbe interessata alla cura della propria bambina soltanto in funzione dei propri bisogni. La mancanza di conferme sarebbe la causa della costruzione di un sé “non sano” nella figlia, che nel frattempo diventa incapace di identificare i propri stati interiori e di essere autosufficiente. L’ipotesi della Bruch è che il comportamento anoressico sia un tentativo che una figlia mette in atto, per attirare l’attenzione della madre verso di se. Infatti nelle anoressiche è presente la forte convinzione che risultando perfetta agli occhi della madre, quest’ultima non l’abbandonerà. Questa devozione ed ammirazione nei confronti della madre viene sostituita nel tempo da un forte senso di risentimento e da una vera e propria ribellione, dal momento che la ragazza vuole a tutti i costi esprimere il suo vero sè. Quest’ultima inoltre è convinta che all’interno del proprio corpo ci sia un cattivo introietto materno. Non mangiare è l’unica soluzione per bloccarne la crescita.
Lo psicanalista Boris definisce l’avidità come elemento principale e determinante dell’anoressia nervosa. I desideri orali, poiché inaccettabili, possono essere soddisfatti soltanto proiettivamente. In pratica i genitori diventano i soli che possono avere desideri. Essi infatti al rifiuto del cibo da parte della bambina si preoccupano e stimolano la figlia “desiderando” che mangi. Questo meccanismo mentale fa scattare nelle anoressiche sia la convinzione che non possano ricevere cose buone dagli altri, sia l’idea che l’unica soluzione possibile sia il non ricevere niente da nessuno. Secondo lo studioso, un soggetto, con disturbo del comportamento alimentare, invidia la propria madre, dal momento che è fonte di nutrimento e amore. Quindi non potendo possedere ciò che desidera, la rifiuta (il non ricevere niente da nessuno). La paziente anoressica è convinta che con tale rinuncia diventerà essa stessa oggetto di invidia e di ammirazione e che gli altri rimarranno “colpiti” dal suo autocontrollo.
Studi sulla relazione padre-figlia anoressica hanno messo in evidenza la marginalità della figura paterna nella famiglia. Il padre generalmente non garantisce un adeguato sostegno alla figlia, ma è egli stesso a chiedere “nutrimento emotivo” dalla figlia.
Secondo l’ottica sistemica, la famiglia di una bambina anoressica è invischiata, dal momento che la lealtà e la protezione sono più importanti dell’autonomia e dell’autorealizzazione. Una persona che è cresciuta in questo tipo di famiglia, impara a sottomettere il proprio sé agli altri. L’approvazione altrui è un aspetto fondamentale e vitale per una bambina anoressica. Ad esempio se ottiene buoni voti a scuola non è importante la competenza acquisita, ma il riconoscimento degli altri membri del sistema. I genitori di contro mantengono un atteggiamento di ipercontrollo e di eccessiva preoccupazione nei confronti della propria figlia. Questo meccanismo relazionale tra genitori e figlia, genera nella bambina un perfezionismo eccessivo. Infatti la piccola è sempre vigile ed attenta ai segnali degli altri e dei propri genitori. La sua eccessiva preoccupazione rispetto alle reazioni degli altri la spinge ad essere dipendente. L’autonomia della bambina è quindi sostituita dalla sua eccessiva preoccupazione e dalla iperprotettività dei genitori. Generalmente l’attenzione di una bambina anoressica non è rivolta ai suoi coetanei, ma agli adulti. Per tale ragione l’adolescenza di un’anoressica rappresenta un passaggio evolutivo regolato da una forte crisi. Da una parte c’è il desiderio di confrontarsi con i propri coetanei, dall’altra l’esigenza di non staccarsi dalla propria famiglia. Generalmente un’anoressica rivolge la propria attenzione verso la famiglia, rifiutando la relazione con il mondo extrafamiliare.
Un altro aspetto ridondante delle famiglie con figlie anoressiche è che i confini al suo interno siano piuttosto confusi. Solitamente anche i confini tra famiglia nucleare e d’origine sono poco chiari: uno dei due partner tende a mantenere forti e continui contatti con la propria famiglia d’origine. In alcuni casi i conflitti di coppia possono essere causati e mantenuti da questi contatti.
Altro elemento importante è la tendenza dei diversi membri della famiglia a lamentare disturbi fisici. Nelle famiglie anoressiche la famiglia è preoccupata di questioni che riguardano il cibo.
In sintesi, secondo l’ottica sistemico relazionale, gli elementi costitutivi di una famiglia anoressica sono: l’invischiamento, l’iperprotettività e l’ipercoinvolgimento della bambina nei confronti dei genitori.
Un altro concetto introdotto dalla Selvini Palazzoli, psichiatra e psicoterapeuta sistemico relazionale, nel descrivere le dinamiche relazionali di una famiglia anoressica è l’imbroglio, ossia il tradimento che il paziente designato sospetta di aver vissuto rispetto al genitore privilegiato. L’imbroglio rappresenta un processo interattivo complesso, che prevede una tattica comportamentale di un genitore nel rapporto diadico con un figlio. Questa tattica spesso prevede una relazione privilegiata che di fatto non esiste, perché si tratta soltanto di una strategia mirata contro qualcuno, solitamente l’altro genitore.
E’ importante sottolineare che il termine “famiglia anoressica” è utilizzato da un sistemico per descrivere una famiglia “che produce bambine sofferenti di anoressia”. Infatti per un sistemico le diverse transazioni interpersonali determinano il comportamento dei membri della famiglia, anche in senso disfunzionale. Il paziente designato fa parte di un processo che non ha né carnefici e né vittime, ma soltanto membri che interagiscono fra loro ogni giorno.
Non è semplice convincere un’anoressica a sottoporsi a terapia, perché tendenzialmente nega di avere un problema. Le terapie farmacologiche, individuali, di gruppo e familiari sono quelle maggiormente indicate. Nei casi più gravi il ricovero diventa l’unica soluzione possibile.
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