Quando il chirurgo estetico è inutile?
E altresì, quando il suo intervento è realmente significativo al fine di farci vivere meglio?
Escludendo dalla nostra disamina le operazioni di chirurgia estetica ricostruttiva finalizzate alla ricostruzioni di parti del corpo gravemente compromesse da gravi incidenti o patologie, il fine di questo articolo è quello di fornire una risposta a chi si sente schiavo dei propri difetti.
Affermazioni del tipo: - “Non ce la faccio più! Ogni volta che passo davanti allo specchio i miei difetti mi appaiono inaccettabili e provo grande vergogna” oggigiorno, epoca del consumismo mediatico, sono sempre più frequenti.
Come fare allora a capire se chi compie tali affermazioni possa trarre beneficio portando il suo disagio dal chirurgo? Cosa ci mette al riparo da operazioni di chirurgia estetica inutili? Qualcuno potrebbe rispondere con ovvietà che “dipende dall’entità del difetto, più è grande e più è chiaro che sarà grande il disagio e quindi la necessità di modificarlo”, la soluzione a questo dilemma non è così semplice!
Tutti noi possiamo continuamente fare esperienza di amici, parenti o conoscenti portatori “sani” di bruttezza, ovvero persone che nonostante non siano proprio degli adoni, trasmettono un senso di totale disinvoltura, agio e sicurezza nel relazionarsi con gli altri nonostante i loro tratti non proprio armonici o i loro chili di troppo.
Cosa accade allora a chi proprio non può tollerare la propria immagine?
Propongo qui di seguito due macroaree concettuali su cui muovere le mie osservazioni:
1. L’Autostima: in che modo al giorno d’oggi questo concetto influenza l'"essere” e l'"apparire”? Oggi giorno, a differenza di pochi anni fa in cui i media non erano pervasivi al punto di invadere ogni momento della nostra vita, l’attribuzione di valore personale è sempre più spostata su un piano criteriale anziché ontologico. Cosa intendo con ciò?
Se noi ci interroghiamo sul perché dei nostri comportamenti consumistici scopriamo sempre più che il nostro valore personale passa per quello o quell’altro acquisto, per quella o quell’altra caratteristica fisica, la marca (il brand) è sempre più importante per definire il nostro valore personale.
Più il nostro valore passa su un piano ontogenetico, ovvero per la nostra unicità, cioè per il valore che ha di per se l’essere e l’esistere, più saremo al riparo dalla necessità di ricorrere al chirurgo per difetti di qualsiasi entità.
Più il nostro valore personale segue un canale di attribuzione criteriale, ovvero valgo per i miei addominali, per la mia auto, per i miei soldi, per la mia bellezza ecc., più rischieremo di perderci dietro il difetto minuscolo che ci allontana dall’ideale estetico del momento.
Chiaramente lo stile con cui si attribuisce il proprio valore personale, se criteriale o ontologico, non è una scelta. Ciò che lo determina ha origini molto antiche ed è rintracciabile nel proprio Pattern di Attaccamento che può essere appunto di tipo Sicuro o Insicuro, ovvero passa per un piano così lontano e pre-verbale da essere solitamente Implicito (inconsapevole) più che Esplicito (consapevole). Si rimanda per approfondimenti ad autori quali Guidano, Liotti, Veglia (GUIDANO V.F. & LIOTTI G. - 1983 - “Cognitive processes and emotional disorders”; VEGLIA F. - 2003 - “Storie di vita”).
2. La Dissociazione e la Dismorfofobia: cosa sono? Cosa comporta esserne affetti? È importante sapere che nessun intervento di chirurgia comporterà una reale soddisfazione quando dietro tale richiesta si annidano meccanismi dissociativi. La dissociazione si può definire un’alterazione marcata nelle funzioni usualmente integrate della coscienza, memoria, identità, o percezione dell’ambiente. L’alterazione può essere improvvisa o graduale, transitoria o cronica. A volte può comportare derealizzazione, ovvero un’alterazione nella percezione o nella esperienza del mondo esterno tale che quest’ultimo appare strano o irreale (per es., la gente può sembrare strana o meccanica), oppure può comportare depersonalizzazione, cioè un’alterazione nella percezione o nella esperienza di sé tale per cui uno si sente staccato come se fosse un osservatore esterno del proprio corpo o dei propri processi mentali (per es., sentirsi come in un sogno).
Nella disamina in oggetto il meccanismo che più ci interessa è la dismorfofobia, ovvero la fobia che nasce da una visione distorta del proprio aspetto esteriore causata da una vera e propria dis-percezione (percezione distorta) della propria immagine corporea o di alcune parti di essa. Da studi recenti e molto accurati la Dismorfofobia, insieme agli altri fenomeni dissociativi, aldilà di ciò che si pensava, è molto diffusa nella popolazione. La causa sembra di natura traumatica infantile (per approfondimenti si rimanda a LIOTTI G. e i suoi studi su Trauma, Attaccamento Disorganizzato e Dissociazione).
In conclusione si consiglia pertanto, prima di fissare una visita dal chirurgo estetico, qualora vi ritrovaste in qualcuna delle condizioni appena descritte o comunque vi sentiate in dubbio, una diagnosi differenziale da uno psicoterapeuta. Le teorie citate sono di derivazione cognitivo-comportamentale e più precisamente le ritroverete in sedute con professionisti della salute mentale appartenenti alla SITCC (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva).
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