Lara era stata abbandonata nei primi anni di vita, vissuta in un orfanotrofio, era stata adottata molto presto. La sua diversità era palpabile, lo sguardo sfuggente, incapace a stare ferma, insofferente a baci e abbracci, anche prima che i suoi genitori adottivi le parlassero della sua adozione, lei "sapeva" di esser stata lasciata.
I bambini anche se in modo confuso e inconscio sentono il malessere delle figure di riferimento e la paura dell’abbandono, c’è un rumore di fondo del loro mondo emotivo profondo che li rende inquieti e insoddisfatti.
Lara, neonata, non era stata accarezzata con amore, non era stata cullata, non aveva sentito sulla sua pelle mani carezzevoli e calde, sfumature di parole dolci e tenere, non era stata tenuta nella mente e partorita con desiderio. Sappiamo come la conseguenza dell’istituzionalizzazione, per povertà di figure di attaccamento esclusive, impedisce ai bambini una regolazione emotiva e un attaccamento sicuro e rende precaria la loro vita affettiva.
Lara, fin da piccola, aveva percepito di non valere abbastanza, di essere stata "scartata" da parte di chi l’avrebbe dovuto accudire, i bambini sentono tutto, anche il “non detto”.
L’inadeguatezza dei genitori adottivi, nonostante l’impegno profuso a fare i bravi genitori, spesso implode a causa di un fallito o insufficiente percorso che porta dalla mancata genitorialità naturale a quella adottiva. L'adozione non è sostitutiva o compensativa di una mancanza naturale. Se il "vuoto" dell'adulto incontra il "vuoto" del bimbo, spesso si va incontro a problemi seri, che impedisce il naturale processo di filiazione. Il bambino si ribella restituendo al genitore rabbia, depressione o aggressività agita o vissuta sulla sua pelle.
E’ il caso di Lara che, durante l’adolescenza, aveva incominciato a tagliuzzarsi le braccia.
Dal colloquio emerge un profondo bisogno di essere ascoltata e accolta in tutta la sua fragilità e nel suo impellente bisogno di essere vista. La complessa e difficile capacità di sintonizzazione emotiva con le figure genitoriali era esplosa negli anni dell’adolescenza, momento difficile e delicato che Lara disegna sulla sua pelle. Ferirsi diventava un modo per incidere sentimenti, emozioni, stati d’animo ed eventi, racconti di sé stessa, tracciare schizzi della sua storia ; la sua pelle disegnava ricordi, esperienze, drammi e gioie della sua giovane vita.
“Cerco di sentirmi viva”, mi ripeteva nei nostri incontri, ma soprattutto cerco di tracciare i miei confini, la vicinanza con gli altri mi soffoca, la lontananza mi angoscia”. Lara si rinchiudeva nel bagno e in segreto si feriva, a volte i tagli erano profondi e cercava di tamponare il sangue per non far capire niente ai suoi genitori, poi si copriva e, come se nulla fosse, usciva dal bagno allegra e disinvolta. In cuor suo provava vergogna e imbarazzo, ma sapeva che quel dolore taciuto per tanto tempo, quella confusione in testa che le faceva chiedere “ chi sono”, trovava un canale di sfogo in quella pratica. Attraverso la lametta penetrava e incideva la sua pelle, rivendicava la propria esistenza e riconfigurava la sua storia, il caos interno lasciava il posto al dolore, percepito come espressione di vita, l’indicibile prendeva forma e sostanza, le emozioni potevano raccontarsi.
Le ferite traghettavano immagini dell’inconscio, sensazioni, vissuti, affetti, stati d’animo confusi e caotici, che , come in un vortice, venivano trascinati nei territori dell’anima. “Dove ero io”? Questa era la domanda che continuava a portarmi, seduta davanti a me. Continuava a ripetere questa frase "Dove ero io?"
Lara, nel farsi del male, si riappropriava del proprio corpo che non sentiva e dava voce alle sue emozioni che non sapeva esprimere. Tagliuzzarsi diventava un rituale rassicurante e anestetico per coprire conflitti più profondi. “Dopo mi sento meglio”.“ Mi sono tagliata perché mi sentivo sola, mi sentivo intrappolata da emozioni che mi travolgevano, a cui non riuscivo a dare un nome, non c’è nessuno a cui posso raccontarmi, i miei genitori adottivi non mi capirebbero”.
La capacità di ascoltare l’adolescente, con empatia, senza farsi travolgere dalle loro angosce, è fondamentale, sintonizzarsi con il suo dolore, ponendosi in ascolto (cercando di capire il significato delle ferite), offrire comprensione ( essere un adulto capace di dare un nome e un significato alle angosce, offrire contenimento, aiuto e cura.
Attraverso l’utilizzo dell’EMDR, Lara e i suoi genitori sono diventati protagonisti del loro processo di consapevolezza. Ognuno ha raccontato la sua storia insieme e in momenti separati. Momenti vissuti con senso di impotenza, di ostilità, di estraneità, di sterilità anche affettiva, (sovente i traumi non elaborati dei genitori hanno una ricaduta sullo sviluppo del bambino e sulla sua storia di attaccamento); racconti dolorosi che entrambi ,con coraggio, sono stati capaci di accogliere, comprendere ed elaborare.
Spesso, i ragazzi adottati non sono pronti, come i genitori, ad iniziare un percorso di vita insieme; aspettative, condizionamenti, ferite passate e non elaborate, figure ombra, paura di non piacere e di non essere adeguati influenzano e suggestionano reciprocamente la relazione, impedendo il legame di attaccamento. Per i genitori è la “sterilità” vissuta come incapacità a entrare in relazione, a mettersi in gioco, a generare affetti ed emozioni, a farli sentire impotenti e inadeguati , a legittimarsi come genitori adottivi.
La necessità di ricostruire “la propria storia” per ridisegnare la trama familiare, quella individuale del bambino, fatta di lacune nella memoria e nel ricordo del proprio passato e quella dei genitori che arrivano a lui, attraverso percorsi tortuosi e difficili e sofferti, è stato il leitmotiv del percorso.
Il viaggio intrapreso, attraverso il processo terapeutico, ha permesso a Lara di lasciar andare la convinzione negativa di non andare bene, di non essere desiderabile, spostandola su chi l’aveva messa al mondo, in modo superficiale e immaturo, di ricostruire una narrazione della storia personale con nessi logici e temporali, che le ha permesso di immaginarsi in una esperienza meno casuale e frammentata, nonché di sentirsi desiderata.
Lavorare con i genitori sulla adozione ha permesso loro di avvicinarsi empaticamente a Lara, facendole capire la fatica del percorso di adozione ma soprattutto la determinazione e l’amore nel desiderarla, conquistarla ed averla.
Ogni evento traumatico, ogni storia di attaccamento problematico deposita ombre e malessere, pericolose e durature nel tempo, incide ferite profonde che si depositano nella nostra mente, invisibili e indicibili.
Le persone sono predisposte all’autoguarigione, come le ferite sulla pelle si rimarginano con il tempo, anche il cuore ferito trova una riparazione, si placa e torna a sorridere. La sicurezza di una holding che accoglie, la condivisione della storia personale e dei malesseri attuali, il contenimento delle emozioni e la loro espressione, una presenza rassicurante e capace, un approccio terapeutico come l’EMDR ha permesso a Lara e i suoi genitori di ritrovarsi.
“E’ il corpo che ci dice che esistiamo ed è attraverso i segnali che manda il nostro corpo che ci dice che il passato, come un’ombra, cammina con noi”
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