«…La consistente esperienza di operatore sociale presso diverse strutture territoriali, a contatto con la sofferenza psichica, ha costellato la vita di Comella di innumerevoli incontri con ogni genere di dolore incarnato da varie tipologie di umanità. I dieci personaggi narrati in questa raccolta ne rappresentano il distillato, una sorta di “Antologia di Spoon River” della follia, una rappresentazione letteraria di quanta creatività può andare di pari passo alla frammentazione del sé.
Se è vero che siamo sempre – per certi versi – responsabili della nostra vita e delle nostre scelte (anche di quelle apparentemente inconsapevoli), ha un senso che l’esistenza di Massimo abbia preso questa duplice piega, di caregiver e, ora, di narratore. La sua storia di persona inquieta si muove alla ricerca di risposte per dipanare il groviglio dei tanti enigmi che gli appartengono: perché suo padre scompare lasciandolo in tenera età? Perché lui è così attratto da ogni forma creativa tanto da improvvisarsi (e con ottimi risultati) suonatore di violino, falegname, scultore, pittore, scrittore? Da cosa ha origine la sua fascinazione per il vuoto, che lo porta a imparare l’arte del funambolismo, a lanciarsi dall’ aereo col paracadute, a scalare impervie pareti rocciose senza altra compagnia che non se stesso? Soprattutto, perché questa urgenza così imperiosa di stare con la sofferenza dell’altro?
Comella entra in risonanza emotiva con le persone di cui si prende cura, ma da tempo è come se sostenerle psicologicamente non gli bastasse più. Ha bisogno di narrarle, cogliendone l’essenza più intima e trasfigurandola in epos, in figure letterarie ciascuna dotata di vita propria e di un proprio modo di sentire e vedere il cosmo.
Nelle pagine di "Dieci" troviamo sicuramente pezzi palpitanti di Gestalt vissuta, in quel modo che l’autore ha di descrivere anche la follia più estrema come necessario adattamento creativo, denso di significato. L’uomo che scaglia freccette verso il cielo per interrogare disperatamente Dio senza riceverne risposta; il figlio che non può che morire alla stessa età in cui morì il padre, come tragica profezia che si auto-adempie; il personaggio che si ritiene invisibile – grottesca maschera con guanti e scarpe bianche da tip tap – e che col tempo è scivolato via da se stesso nell’indifferenza del mondo… Sono tutti esempi di come un vissuto di dolore possa essere reso dalla creatività visionaria del “folle”, e quindi del narratore che – come ci ha insegnato Erving Polster (1987) – non è altro che un tenace appassionato cercatore di storie. Accomunato, in questo impegno, al terapeuta della Gestalt, il quale è mosso dal profondo interesse nei confronti dell’altro di cui coglie la bellezza racchiusa nella complessità della sua storia esistenziale….».
Giuseppe Sampognaro
Tratto dalla recensione di "Dieci", di Massimo Comella., in “Quaderni di Gestalt: La psicopatologia in psicoterapia della Gestalt”, XXVII, 2014/2.
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