La dipendenza è il non riuscire a fare a meno di un oggetto, che diventa l'unica fonte di soddisfazione e gratificazione. Nel caso della dipendenza affettiva l'oggetto non è tanto l'altra persona, come comunemente si crede, ma la relazione che si ha con il proprio partner. Anche se questa relazione è fonte di sofferenza e frustrazione, il pensiero di rimanere privi, senza, è peggiore dello stare in quella sofferenza.
Si rimbalza, come quando si gioca a ping pong, nella tensione "non posso stare con te" e "non posso stare senza di te".
Il porre fine alla relazione può far emergere ansia e depressione. Si ha bisogno di aumentare il tempo trascorso con il partner, diminuendo le attività autonome e i contatti con le altre persone; quando il partner è fisicamente lontano, si provano emozioni negative molto intense.
Accade che:
le emozioni del partner sono più importanti delle proprie;
la stima di sé dipende dall'approvazione dell'altro;
la maggior parte del tempo viene impiegato a controllare il proprio partner;
diventa difficile esprimere i propri pensieri ed emozioni.
Il mantenimento di quella relazione diventa così importante da negare i propri bisogni e rinunciare al proprio spazio vitale.
Se ti sta accadendo questo, significa che stai vivendo come in una prigione. La tua vita è governata da qualcun'altro e non hai la possibilità di esprimere te stesso. Non sei tu la regina o il re del tuo castello.
PERCHE' ACCADE QUESTO?
Nel mio lavoro ho compreso che non esiste un’unica causa alla quale, in maniera lineare e deterministica, far risalire l'origine della dipendenza affettiva. Diversi, infatti, sono i fattori che concorrono allo sviluppo e al mantenimento della dipendenza e sarebbe semplicistico proporre teorie che la spieghino sganciandola dalla specificità della persone e della sua storia.
Tuttavia alcune delle più frequenti dinamiche che ho osservato, che concorrono a spiegare la complessità della dipendenza affettiva, sono il vuoto emotivo che la relazione va a riempire con qualcosa di tossico e non evolutivo. Questo vuoto emotivo potrebbe nascondere bisogni e paure nate nelle prime relazioni nella propria famiglia d'origine, come il bisogno di rassicurazione, il bisogno di certezze, il bisogno di conferme, scarsa autostima, la paura dell'abbandono e il non riuscire a stare soli.
E così, quando un paziente mi chiede di aiutarlo, la sua richiesta implicita è sempre la stessa: come posso fare a meno di lui/lei? Come posso tornare a stare bene senza di lui/lei?
COME INTERVENIRE?
Attraverso un attento lavoro su di sé e sulle proprie emozioni. Certamente non possiamo immaginare di liberarci dalla dipendenza continuando a condurre la vita di sempre. È impossibile accontentare una simile richiesta senza mettere in discussione se stessi, ascoltare con attenzione il proprio vuoto, comprendere i meccanismi responsabili del proprio malessere, senza cambiare proprio quei pensieri, quelle emozioni, quei comportamenti che hanno sostenuto la dipendenza.
Non esiste nessuna formula magica.
Cambiare ci offre un’enorme possibilità di crescita e di evoluzione e, poiché da soli non sempre si riesce ad affrontare il proprio malessere, sarebbe opportuno rivolgersi ad uno specialista del benessere psicologico per farsi accompagnare in questo cammino di conoscenza e consapevolezza di sé.
Le risposte e la sicurezza che ti serve puoi trovarla dentro di te. Puoi fare questo salto evolutivo con coraggio e leggerezza!
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