C’è un dettaglio che ha segnato l’inizio della mia infatuazione per Karen. Non è stato il suo corpo, né un gesto particolarmente sensuale. È stato qualcosa di molto più semplice e disarmante: un paio di pantofole. Quando mi ha aperto la porta quella prima volta, non indossava tacchi alti, né vestiti provocanti, né quel tipo di atteggiamento che molte prostitute adottano per attirare l’attenzione. Era lì, davanti a me, con indosso solo delle pantofole. E in quell’istante, qualcosa in me ha vacillato. Mi aspettavo una figura costruita, seduttiva, magari anche volgare, come spesso accade in questo contesto. E invece mi sono trovato davanti una ragazza semplice. Quasi spaesata. Sembrava più una giovane donna in una casa qualsiasi che una professionista del sesso. E questo mi ha spiazzato. Perché mi ha fatto sentire qualcosa che non provavo da tempo: tenerezza. Io, che credevo di cercare solo appagamento sessuale, mi sono ritrovato colpito da quel dettaglio insignificante. Non riuscivo a smettere di pensarci. Così, qualche tempo dopo, le ho portato io stesso un paio di tacchi alti, quasi fosse un gesto simbolico. Glieli ho fatti indossare e ho visto che non riusciva a camminarci. Sembrava una bambina che prova le scarpe della madre. Le ho chiesto: “Ma non li hai mai messi? Neanche in Colombia? Nemmeno una volta per uscire o per una festa?” E lei, con una semplicità disarmante, mi ha risposto di no. Mai. Non li aveva mai indossati. Quella risposta mi ha trafitto. Come può una ragazza di 24 anni, oggi, non aver mai portato dei tacchi? Nemmeno per gioco? Nemmeno per sentirsi donna, per vanità, per curiosità? Mi è sembrata una creatura ancora sospesa tra l’infanzia e l’età adulta, catapultata in un mondo che forse non ha scelto davvero, o che non ha compreso fino in fondo. Da quel momento non ho più visto Karen come una prostituta. Ho visto in lei una fragilità, una purezza rimasta intatta nonostante tutto. Una giovane donna che forse si è persa in un percorso che credeva facile, veloce, e che invece la sta consumando giorno dopo giorno. Ho iniziato a costruire attorno a lei una fantasia romantica. L’ho investita del ruolo di una ragazza da salvare, da portare via, da aiutare a ricominciare. Ho proiettato su di lei il mio Don Chisciotte interiore, pronto a battersi contro mulini a vento pur di strapparla da quel mondo. E così, quel gesto banale – il vedere Karen in pantofole – ha messo in moto un ingranaggio emotivo potente, confuso, difficile da arrestare. Non era solo desiderio sessuale, non era solo bisogno di appagamento. Era l’illusione di aver trovato in lei qualcosa di autentico, di puro, di salvabile. Un’illusione dolce e dolorosa insieme. E oggi, anche se so che forse tutto questo è solo una costruzione della mia mente, non riesco a dimenticare quella prima immagine: una porta che si apre, e una ragazza in pantofole che mi guarda senza difese. È da lì che tutto è cominciato. Karen è una prostituta di 24 anni la quale esercita questo mestiere da circa 6 mesi. Sono consapevole che è un qualcosa da cui non può nascere assolutamente nulla. Lei non vuole essere "salvata". Ha fatto questa scelta e non tornerà indietro, forse un giorno ma non ora che ha appena iniziato. Non voglio nemmeno che lo faccia perché non desidero ritrovarmi in una situazione del genere. Purtroppo una parte di me che chiamo "Il Don Chisciotte" è stata svegliata da Karen e per chi conosce le gesta del protagonista del romanzo sa che idealizza una donna in base alle sue esigenze di antico romanticismo creando fantasie illusorie e rivestendoci la realtà. Vive in esse. A differenza del "reale" Don Chisciotte so che sono fantasie ma hanno contribuito a far nascere questo morboso desiderio che ho per Karen e non riesco a fare capire a "Don Chisciotte" che è tutto nella sua/mia testa. La realtà è differente. Scusate la prosaicità dello scritto e grazie per l'attenzione.
Gentile Gabriele,
Grazie per aver condiviso con noi la sua esperienza con "Karen" in modo così dettagliato e riflessivo. La sua narrazione rivela una profonda consapevolezza del conflitto interno che sta vivendo, e questo è già un importante punto di partenza.
Quello che lei sembra descrivere è un fenomeno che spesso viene definito "idealizzazione romantica", innescata tipicamente da elementi apparentemente insignificanti (come le pantofole) che attivano schemi emotivi profondi. Questo "Don Chisciotte interiore", come lo ha efficacemente chiamato, rappresenta una parte di sé che cerca significati più profondi, autenticità e possibilità di connessione in un contesto inizialmente considerato solo come transazionale.
Vorrei evidenziare alcuni punti:
- Riconoscimento del meccanismo: Lei dimostra già un'ottima capacità di metacognizione quando distingue tra la realtà e la sua interpretazione romanticizzata. Questa consapevolezza è fondamentale, anche se non basta a fermare le emozioni che queste fantasie generano.
- Funzione della fantasia: Queste narrazioni interne spesso servono a soddisfare bisogni psicologici importanti - potrebbero essere il desiderio di intimità autentica, di sentirsi speciali, di prendersi cura di qualcuno o di dare un significato più profondo a un'interazione altrimenti superficiale. Identificare quale bisogno emotivo sta cercando di soddisfare può essere illuminante.
- Proiezione e costruzione: È probabile che lei stia proiettando su Karen qualità e caratteristiche che corrispondono ai suoi desideri interiori insoddisfatti, costruendo una narrativa che ha più a che fare con le sue esigenze emotive che con la realtà della ragazza. Karen diventa così un telo su cui proiettare le proprie aspettative di purezza, autenticità e romanticismo (guarda caso le aspettative di un "Don Chisciotte").
La tensione che vive non è insolita. Il desiderio di connessione autentica è profondamente umano, così come la tendenza a cercare significati più profondi nelle interazioni che instauriamo, anche se frugali o "commerciali". Tuttavia, è importante rimanere ancorati alla realtà della situazione, come lei stesso riconosce, oltre ad esaminare le credenze irrazionali che la portano a questa idealizzazione.
In questo momento, potrebbe essere utile chiedersi: cosa dice di me questa idealizzazione? Quali parti di me stanno cercando espressione attraverso questa fantasia?
Vorrei sottolineare l'importanza fondamentale del rispetto assoluto per Karen, per le sue scelte e necessità. Indipendentemente dalle proiezioni o idealizzazioni, lei è una persona con una propria autonomia, volontà e confini che vanno sempre rispettati. Qualsiasi interazione dovrebbe essere guidata da questo principio di base, riconoscendo che l'altro non è mai un personaggio della nostra narrazione interna.
Le suggerirei di considerare come questa esperienza, per quanto complessa emotivamente, possa diventare un'opportunità di crescita personale. Quali aspetti di sé sta rivelando questa dinamica? Quali bisogni emotivi legittimi potrebbero trovare espressione in contesti differenti e più adeguati? Cosa potrebbe compromettere permettere al Don Chisciotte (che tra l'altro, oltre che romantico era un noto pasticcione!) di continuare ad agire?
Infine, soprattutto se questa situazione continua a causarle disagio o se si accorge che l'idealizzazione cresce invece di diminuire, potrebbe valutare un percorso di supporto strutturato, dove esplorare più a fondo questi temi in uno spazio protetto.
Roma
Il Dott. Francesco Giampaolo offre supporto psicologico anche online
Caro Gabriele, la tua non è prosaicità, è verità nuda e struggente. È un frammento di intimità che hai avuto il coraggio di esporre con delicatezza e lucidità. Hai messo a nudo un sentimento complesso, scomodo, eppure profondamente umano. Le pantofole, quel dettaglio – apparentemente insignificante – è in realtà un simbolo potentissimo. Le pantofole, nella loro semplicità domestica, hanno scardinato le difese che avevi eretto intorno a questa esperienza. Non hai visto una professionista, ma una persona. Una ragazza con una storia che non conosci fino in fondo, con i suoi vuoti, i suoi silenzi, le sue prime volte mancate. E ti sei emozionato. Non per quello che rappresentava, ma per ciò che non rappresentava. È commovente la lucidità con cui parli di quella parte di te, il Don Chisciotte. Non la rinneghi, ma cerchi di metterla a posto. Sai che Karen non vuole essere salvata. Sai che lei non ti ha chiesto nulla. Eppure, quella parte romantica e idealista si è attivata come un meccanismo antico, forse una ferita mai guarita che cerca di sanarsi attraverso l’illusione di poter salvare un’altra persona. Ma, come ben dici, Don Chisciotte combatte contro mulini a vento, perché sono le sue illusioni a guidarlo, non la realtà. Tu però hai un vantaggio: ne sei consapevole. Ed è questo che può davvero fare la differenza. Riguardo a Karen, hai colto qualcosa di autentico in lei, ma questo non significa che sia tua o che tu debba occuparti del suo destino. Le tue emozioni sono vere, ma non devono diventare una gabbia né per te né per lei.
Karen ha scelto, per motivi che magari non puoi comprendere del tutto, e va rispettata così com’è. Senza romanticizzarla, senza cercare significati nascosti dove forse c’è solo quotidianità, sopravvivenza, o scelte legate a bisogni che non ti riguardano. È normale, in certe situazioni, che il desiderio si intrecci con la tenerezza. Che il bisogno fisico si confonda con il bisogno emotivo. Non sei malato, non sei strano, non sei solo. Stai semplicemente vivendo un’esperienza umana con tutta la sua ambiguità emotiva. Non combattere Don Chisciotte. Non serve annientarlo, ma ascoltarlo. Capire da dove viene quel bisogno di salvare, di idealizzare. Quale parte tua chiede amore, riconoscimento, vicinanza? Scrivi ancora. Continua a farlo, anche solo per te. La scrittura è una forma potente di liberazione e può diventare un modo per dialogare con quella parte di te che non vuole stare zitta. Non tornare da Karen cercando altro. Se hai deciso di non farti del male, mantieni fede a questa decisione. Le illusioni sono dolci, ma possono lasciare ferite profonde. Cerca uno spazio per te. Anche terapeutico, se vuoi. Parlare con qualcuno che può contenere questa confusione emotiva può essere un grande atto d’amore verso te stesso. Tu non sei un uomo debole, Gabriele. Sei un uomo che sente, e che si sta facendo delle domande importanti. Quella porta che si è aperta con una ragazza in pantofole non ha aperto solo una stanza: ha spalancato una finestra su di te. E forse, da lì, può entrare un po’ di luce nuova. Ci sono, se vuoi.
Dott.ssa Antonella Bellanzon
Massa-Carrara
La Dott.ssa Antonella Bellanzon offre supporto psicologico anche online