Una donna dai capelli lunghi poco oltre le spalle, castani, compita, curata. Si presenta perché ha problemi di sonno “praticamente da sempre”. La sera, dopo aver sistemato le faccende domestiche, si corica tranquillamente e si addormenta subito, ma “ogni giorno” verso le quattro i suoi occhi si spalancano (e accompagna le sue parole con un gesto veloce della mano, per rappresentare gli occhi che si aprono) senza che vi sia stato un rumore, senza un pensiero che accompagna il risveglio o elementi simili. Non racconta altri dettagli, se non il fatto che la cosa che le dà più fastidio è che questi occhi rimangono a lungo a fissare il soffitto sopra il suo letto. Non accende la luce, non si alza, non pensa a niente, non legge a letto,..non fa nulla, un po’ perché “oramai” è “abituata” e un po’ perché spera fortemente che così sia più veloce Orfeo a riportarla nel mondo del sonno. Il suo desiderio si realizza sempre, ma molto tempo dopo.
Mentre parla di sé e delle sue difficoltà, il tono è sempre molto pacato. Racconta molto poco di sé, perché dice che la sua è “una vita normale, come tutti” e perché rispetto “ad altri” non ha problemi, né di soldi, né di salute, né di altro. Col tempo (con il suo rispettato tempo) si apre e parla dei suoi due figli, del suo essere madre, sempre con tono pacato e precisando che “non c’è gran ché da raccontare”, che tutto è nella norma. Sempre con tono pacato, ogni volta che dice che tutto è nella norma aggiunge che non si spiega le sue difficoltà del sonno e che ormai sa con certezza, ogni volta che va a letto, che tanto alle quattro si sveglierà e che non è mai successo che dormisse una notte intera.
Lavoriamo sulle parole da lei usate come “mai”, “da sempre”, “da tanto tempo” per cercare di capire, anche solo molto indicativamente, accettando l’errore, dove si può collocare un eventuale tempo “prima-dopo”. Ricordo l’esatto momento in cui la signora ha volto il suo sguardo su di me, uno sguardo con una luce particolare, viva, che poi ha ricondotto verso il basso mentre affermava che quel momento si poteva collocare in uno specifico momento della sua vita (da lei narrato). In quel momento esatto, il tono di voce non era arrabbiato o triste, bensì sicuro. Quel giorno si congedò con un grazie, sentito, pronunciato guardandomi in volto. Successivamente riuscì a parlare di quell'evento specifico, di cui non aveva mai parlato, né accennato prima. La voce da quel momento in poi, quando raccontava, riusciva a spaziare tra le varie tonalità emotive. Il suo viso divenne più disteso, e più sereno divenne anche il suo approccio verso quello che chiamava “il mio sonno”, perché adesso lo percepiva come un suo alleato, che quando era difficoltoso le stava segnalando qualcosa di cui non si era resa conto e per il quale doveva porsi “in ascolto”.
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