Quando pensiamo di perdere peso facendo solo una dieta, senza tener conto delle emozioni legate al cibo e al nostro modo di mangiare, abbiamo già perso in partenza. L’effetto negativo a lungo termine di una gestione inappropriata delle emozioni è l’aumento di peso. Tale condizione a sua volta produce emozioni e stati d’animo negativi che spingono le persone a sottoporsi a programmi dietetici e trattamenti di dimagrimento. Affrontare il problema agendo soltanto sull’aspetto nutrizionale spesso non produce i risultati auspicati.
Capita spesso che una volta iniziata una dieta emergano delle difficoltà a portarla a termine o a mantenere il peso raggiunto.
Tali esperienze fallimentari, se sommate insieme, peggiorano ulteriormente il problema poiché inducono un senso di scarsa forza di volontà ed efficacia personale, impotenza, contribuendo ad abbassare ulteriormente l’autostima e ad assumere un atteggiamento demotivato e rinunciatario.
Per questo motivo è importante conoscere ed agire non solo sugli aspetti nutrizionali, ma anche sugli aspetti emotivi che potrebbero ostacolare un buon rapporto con il cibo.
Molte volte un programma di dimagrimento può essere destinato al fallimento, perché non si è considerato, e quindi non si è modificato, il rapporto tra emotività e cibo.
Essere passivi rispetto al problema alimentare ed assumere un atteggiamento di delega, sono condizioni che facilitano l’insorgenza ed il mantenimento di stati d’animo negativi.
In tale ottica risulta fondamentale la collaborazione fra la figura del Dietista e quella dello Psicologo/Psicoterapeuta, poiché occupandosi sia della natura alimentare sia della dimensione psicologica del problema, si ha la possibilità di agire più efficacemente.
Le abitudini alimentari sono anche veicolo di comunicazione all’interno del gruppo familiare e rispecchiano atteggiamenti ed abitudini . Alcune frasi “tipo” sono esplicative di questo “modo” di comunicare utilizzando l’alimento:
“Se non mangi, non esci!”
“Mangia questo alimento… perchè l’ho preparato per te!!”
“Fammi la cortesia, mangia!!”
“Se non mangi mamma piange!!”
Questo spaccato di frasi “comuni”, sicuramente più ricco perché ognuno di noi può integrarlo con tante altre frasi, attingendo al proprio ricordo, ma anche dall’ immaginario collettivo, a conferma che alimentarsi ed alimentare non è un semplice comportamento di consumo, ma rientra in una fascia di comportamenti che riguarda fattori biologici, socio-psicologici, nutrizionali, clinico-medici ecc.
Nessuno di noi, infatti, mangia solo sostanze inerti, ma anche simboli, tradizioni, abitudini,associati agli alimenti e fortermente radicati nelle relazioni sociali e collettive, ma anche, spesso, in quelle che intratteniamo all’interno della famiglia.
La “famiglia” è, infatti, sia pure con diverse letture legate alla storia dei costumi e alle mode, il focus delle prime esperienze alimentari e della formazione delle scelte. Queste ultime richiedono competenze sia di tipo informativo ( notizie raccolte intorno agli alimenti), che di tipo culturale (abitudini) e cognitivo( apprendere ad utilizzare o meno certi alimenti, conoscerne le componenti nutrizionali, i valori nutrizionali ecc), ma anche vere e proprie relazioni con persone significative che, nel tempo, creano una rete di informazioni a cominciare dalla scuola fino ai mass media.
Sella base delle proprie tradizioni,abitudini, tipo di apprendimento, stile di vita ecc, ognuno di noi diversifica le sue scelte.
I fattori che incidono sulle scelte sono importanti, prima del consumo e dopo di esso, e spesso sono diversi : la scelta iniziale è spesso percettiva, sui colori, le forme, gli odori di un ambiente, e la seconda è più legata alla propria abitudine alimentare ( come cucinare un alimento, come conservarlo, il suo costo, la marca ecc)
Fra i diversi fattori che incidono sul determinare i comportamenti, la differenza di genere, è particolarmente importante. Le donne e gli uomini, infatti, fanno scelte alimentari, statisticamente, diverse, non solo per le diverse caratteristiche biologiche che contraddistinguono i due diversi generi, ma anche per gli stili di vita diversi e i differenti sentimenti associati alla nutrizione, compresi pregiudizi e i “falsi miti” o certezze alimentari che affondano le loro radici in terreni diversi.
Il profilo alimentare femminile tende a credere che alcuni alimenti garantiscano la “magrezza” che ,in genere, la donna occidentale moderna ritiene vincente. In molte inchieste, da noi condotte, la ricerca della “magrezza” viene rincorsa da molte donne, consumando formaggi , identificandoli con l’attributo di “leggeri”, evitando la pasta in quanto ha maggiore potere ingrassante ecc.
Le conseguenze dei falsi miti, conducono a stili alimentari “ad hoc”, spesso sconclusionati sul piano nutrizionale!
Poichè le motivazioni ed i bisogni che ruotano intorno alla salute e al corpo, in rapporto all’alimentazione, sono diversi fra uomo e donna, anche gli stili alimentari ripercorrono queste differenze.
Questo intricato, ma affascinante mondo dell’alimentazione, spesso viene illuminato solo dalla pubblicità, con luci non certo imparziali, alimentando falsi bisogni e confusioni di comportamenti molto evidenti
Le abitudini vengono da lontano e spesso non ci si riflette abbastanza, ma il primo messaggio “alimentare” avviene in famiglia, in fasi molto precoci, con l’allattamento e con lo svezzamento.
Solo verso i 3, o 4 anni il bambino incontra con la scuola, in genere, nuovi modelli alimentari; spesso si “scontrano” i due mondi, sia per gusto che per modi di preparazione e spesso le famiglie contrastano l'”educazione”alimentare scolastica e i comportamenti del bambino ne risentono : confusione, inappetenza, capricci, ipernutrizione ecc
La seconda grande rivoluzione “alimentare” avverrà nell’adolescenza, quando il desiderio di autonomia e identità si esprimerà anche seguendo scelte alimentari fuori casa e più simili a quelle dei gruppi dei coetanei che della famiglia, instaurando gerarchie diverse, dove l’alimento è importante non come nutriente, ma come mezzo di incontro o di piacere : gustoso, da consumarsi insieme, nei “cult” dei fast food o dei pubs, in modo itinerante, mangiando dovunque a tutte le ore!!
Pur se l’adolescente cambia abitudini, in contrasto con quelle del gruppo familiare, lo stile con il quale è stato trasmesso il comportamento alimentare in famiglia, lascia spesso il segno perchè è intriso degli stili dominanti delle personalità familiare.
Fra gli stili di personalità più frequenti in soggetti che rivelano alterati comportamenti alimentari, spiccano il “perfezionismo” e l’autoritarismo dicotomico ( o si fa così – o non si fa niente ! è il modello base di questo tipo di personalità) e questi “tratti” sono spesso quelli che hanno prevalso nella famiglia, oppure sono una formazione reattiva a tratti troppo lassisti.
Il perfezionismo e il pensiero dicotomico.se troppo esasperati, possono nuocere al buon equilibrio del comportamento, mentre se, più realisticamente, vivono l’errore come modalità di esperienza formativa e contengono le frustrazioni, possono essere di stimolo a molti comportamenti equilibrati
Molti stili di personalità che si riflettono in “modalità educative” sono presenti in alcuni disturbi del comportamento alimentare che, più o meno gravi, ricadono comunque nello stile di vita individuale, condizionandolo e alterandolo scatenando una serie di difficoltà genericamente definibili “disturbi della condotta alimentare”
I disordini alimentari spesso si esprimono con instabilità dell’umore, ricerca affannosa della performance corporea, diete fai da te, esasperate e inutili ecc.
Molti di questi disturbi sono gravi epur ricadendo in sintomatologia che hanno aspetti alimentari ( inappetenza, o eccesso alimentare), sono principalmente disturbi che riguardano le specializzazioni della Psichiatria, Neuropsichiatri e la Psicologia .
Quando si parla in questi termini, ci si riferisce a vere e proprie malattie come l’Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa e il Mangiare Compulso e non a disturbi del comportamento alimentare.
L’Anoressia, Bulimia, e il “Binge Eating” o Compulsione, sono malattie che, per essere diagnosticate, debbono essere oggetto di osservazione non solo del medico, in prima istanza di famiglia, al quale il genitore deve rivolgersi ai primi “sintomi”, ma, ribadiamo, dagli specialisti ad hoc!!
Spesso le famiglie sono spaventate dalle parole “psichiatria ” o consimili e, invece, queste malattie appena citate, prese in tempo, si contengono ed anche risolvono, alleviando, con la cura, la vita del paziente oltre che della sua famiglia.
Alcuni campanelli d’allarme da “osservare” : – Se un figlio adolescente di 12, 13, 14 anni, protrae e persiste nel rifiuto costante verso ogni tipo di cibo; se si allontana troppo spesso appena finito di mangiare e si rifugia in bagno; se preferisce mangiare isolato dalla famiglia o pone attenzione esasperata alla sua immagine corporea; se nega fortemente ogni verità sulla magrezza del proprio corpo…,questi sono alcuni dei più evidenti e semplici sintomi, che vanno discussi con il proprio medico .
Altri disturbi dell’alimentazione “meno” gravi ma ugualmente socialmente con ricadute pesanti nell’aspettativa di vita del paziente, sono le iperalimentazioni con sovrappeso e obesità.
Spesso conseguenza di scorrette modalità di alimentarsi ( mangiare in continuazione e dovunque”Nomadizzazione”, fare un solo pasto , fare pasti solo liquidi, ricorrere a diete continue ed autosommistrate ecc sono esperienze che molti obesi hanno in comune, prima di diventare obesi!!); l’obesità si accompagna anche a disturbi della pelle, disturbi dell’umore, dell’apparato muscolare ed osseo, cardiovascolare ecc.
L’obesità, grande fantasma che copre molti paesi “ricchi” è spesso frutto di insane e pregiudiziali competenze che penalizzano molti alimenti a fronte di altri, con associati sbagli e pregiudizi, ma anche frutto di stili di vita sedentari, escluse le obesità di tipo genetico.
Spesso l’obesità dei genitori si estende ai figli, ma anche spesso i bambini sono “ciccioni”,di per sè, perchè le mamme li “affogano ” di alimenti seguendo insani fantasmi di “benessere” pregiudizialmente associato all’aspetto “florido” come espressione di “salute” o perchè essi stessi, integrano con merendine e snack i pranzi fatti in casa, aggiungendo calorie a calorie e non applicando attività fisica adeguata.
Poichè spesso in età giovanile l’alimento tende ad essere scelto per i suoi aspetti “edonistici”, il permanere di questo criterio di scelta giuoca un ruolo a favore non certo della frutta e verdura, che non sfoggiano alto potere gustativo, mentre vengono privilegiati cibi grassi e dolci, che fisiologicamente sono molto palatabili.
L’industria, che ne propone in continuazione( merendine, patatine, caramelle, bastoncini, fagottini ecc), ne conosce la suggestione gustativa e la enfatizza con sorprese, immagini, fantasie, logo, spot, animazioni…
Questi alimenti vengono spesso consumati più per il loro forte potere gustativo, che non per un eventuale giudizio nutrizionale su di essi e rivelano scelte di consumo più basate su aspetti “emotivi” ( mi piace, lo mangio in compagnia, mi fa piacere ecc) che ” conoscitive” ( nutrienti, calorie, stato della fame ecc)!!
La pubblicità enfatizza questi prodotti, con linguaggio persuasivo, seguendo regole di comunicazione che perseguono sopratutto il profitto; tutto ciò, associato alla facilità di reperimento di molti di essi, al loro costo spesso a buon mercato, alle scarse conoscenze intorno alla loro “biodisponibilità” o l’assorbimento che ne facciamo, la scarsa attività fisica costante che ci caratterizza, la gustosità del prodotto, la facilità di conservazione ecc, coattivano molti altri fattori e si confluisce facilmente verso il sovrappeso che distingue gran parte della popolazione occidentale, nonostante tanto e continuo impegno della medicina preventiva!!
La psicologia, applicata all’alimentazione,è una branca recente e, insieme alla medicina preventiva e alla scienza dell’alimentazione, propone qualche “blando” e superficiale suggerimento, per sottolineare l’importanza di non disgiungere la conoscenza cognitiva dal piacere di gustare cibi, rimettendo l’alimento al ruolo di mezzo” per la vita e non “causa” di essa, riposizionandolo nel dovuto “posto” nelle relazioni affettive e sociali. Per concludere, suggeriamo maggiore senso critico verso i messaggi pubblicitari, maggiore attenzione agli stimoli della fame e a quelli della sazietà e attenzione a nutrire non il “fantasma” che è in noi, ( il solitario, l’aggressivo, l’abbandonato, il goliardico, la maliarda, il perdente ecc), ma le nostre esigenze più vere, riflettendo con attenzione, non solo sulle informazioni nutrizionali, ma anche sulla nostra personalità, le nostre relazioni, il nostro stile di vita.
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