Spiegare come abbia origine un disturbo alimentare e i suoi sintomi non è semplice poiché è strettamente connesso alla personalità, agli aspetti emotivi, cognitivi e relazionali.
Le persone che soffrono dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) presentano una forte difficoltà a regolare le proprie emozioni, sentono di non essere capaci di controllare i rapporti personali, le reazioni interne e gli eventi in generale, di conseguenza assumono comportamenti disfunzionali che non sono altro che strategie alternative, autonome ed indipendenti utilizzate per gestire le emozioni che non si vogliono vivere.
La persona ha l’illusione di poter spostare sul cibo il controllo che pensa di non avere sulla propria vita.
Il controllo si presenta così non tanto come un problema bensì come una soluzione, in quanto consente al soggetto di illudersi di averla vinta su ciò che appare ingovernabile, la fame.
Nel proseguo di questo ragionamento la crisi bulimica può presentarsi come cedimento dell’armatura anoressica rompendo gli argini della rinuncia al cibo e consentendo in alcuni casi di mettere in discussione le ostinate necessità dei soggetti anoressici.
Nell’insorgenza del disturbo vengono ad interagire quattro fattori (le 4P): predisponenti, precipitanti, perpetuanti e protettivi.
I primi sono quei fattori che creano una sorta di predisposizione o vulnerabilità, come la presenza di familiari che soffrono o hanno sofferto di un disturbo alimentare, una bassa autostima, difficoltà interpersonali, insoddisfazione del proprio corpo, etc.
I fattori precipitanti, scatenano il disturbo in conseguenza o di un trauma, un lutto, una separazione da una persona cara, ma anche per un un cambio di scuola, un fallimento scolastico; fattori che fanno precipitare la situazione e portano all’esordio del disturbo.
I fattori perpetuanti, come il controllo del peso, della forma del corpo e dell’alimentazione, impediscono il ritorno alla normalità; tali comportamenti non vengono vissuti come disturbanti o dolorosi, ma, al contrario, rappresentano una fonte di soddisfazione e rassicurazione per la persona che li mette in atto.
Questi fattori rappresentano appunto l’assunzione di comportamenti disfunzionali che servono per evitare al soggetto di sentire emozioni di tristezza, paura e rabbia poiché queste ritenute intollerabili ed ingestibili.
Infine i fattori protettivi, possono impedire al disturbo di svilupparsi o ne impediscono il peggioramento e sono rappresentati cioè dalla resilienza individuale intesa come la capacità di affrontare e superare un momento critico e poter fare affidamento su relazioni familiari o extra familiari positive.
Ma la società, i social-media con i loro modelli di magrezza possono influire sull’insorgere dei disturbi del comportamento alimentare?
Senz’altro tra le caratteristiche socioculturali si segnala il ruolo della cultura dei paesi industrializzati, con forte accezione positiva verso la magrezza contro la considerazione negativa della condizione di sovrappeso.
Ma a mio avviso sarebbe più opportuno soffermarci sulle tematiche della fase adolescenziale, nella relazione tra autonomia e dipendenza, periodo in cui gli adolescenti cambiano e ricercano un nuovo proprio “script”, ossia una sorta di copione, omologandosi spesso alle norme virtuali di un gruppo che sta in un click, con la finalità di sentirsi indipendenti dagli adulti.
Come intervenire?
I disturbi dell’alimentazione prevedono un approccio multidimensionale, interdisciplinare e pluriprofessionale in cui possono essere coinvolte diverse figure professionali dell’area sanitaria, dal medico di base, nutrizionista, psichiatra, allo psicologo psicoterapeuta sino a giungere in casi più gravi al ricovero ospedaliero, alla terapia ambulatoriale specialistica, a quella intensiva sino ad una riabilitazione residenziale o semiresidenziale.
Come intervengo da privato
Dopo aver frequentato un master universitario di secondo livello presso Istituto Miller, aver operato come tirocinante psicoterapeuta per 4 anni presso una struttura residenziale ad alta criticità nell’ambito dei disturbi alimentari a Pisa, in qualità di psicologo psicoterapeuta ogni mio intervento è adattato e cucito addosso alla singola persona o sistema famigliare, poiché non si può pensare ad un tipo di intervento generalizzato e standardizzato per tutti i casi.
Logicamente a seconda della gravità del caso si necessiterà un intervento pluriprofessionale nel tentativo di “abbracciare” l’intero sistema famigliare.
Il primo obiettivo di una psicoterapia, si identifica sostanzialmente con la costruzione di una relazione di fiducia, può essere anche molto lunga ed impegnativa, perché queste persone sono in genere diffidenti o molto sfiduciati.
La relazione che si costruisce con la persona può essere una base sicura all’interno della quale scoprire e sperimentare un nuovo punto di vista, un nuovo funzionamento interpersonale: occorre ingaggiare il soggetto nel trattamento verso il cambiamento.
Il mio modello di intervento è relativo all’assessment collaborativo che ha l’obiettivo di esplorare il funzionamento della personalità portando alla luce i punti di forza e i punti critici da elaborare attraverso l’utilizzo di test psicologici.
I test sono usati in modo collaborativo, coinvolgendo attivamente la persona nel cogliere parallelismi tra quello che succede ai test e quello che accade nell propria vita, riflettendo insieme su modi alternativi di comportarsi che potrebbero risultare più utili e funzionali.
L’intervento può essere pensato per adulti, coppie, famiglie con bambini e famiglie con adolescenti; nel caso di un adolescente con disturbi del comportamento alimentare sarebbe ipotizzabile un percorso psicoterapeutico familiare come l’assessment collaborativo pensato per famiglie, con l’obiettivo terapeutico di raggiungere una positiva accettazione di sé, basata non più sul peso o l’immagine corporea, ma su una visione della propria persona più positiva, sicura ed autonoma.
Tutto questo può avvenire solo attraverso una profonda esplorazione del sé e del raggiungimento di una buona consapevolezza dei propri limiti, ma anche delle proprie risorse.
Tale intervento infine consente di de-triangolare il figlio dalle dinamiche patogenetiche relazionali, di riscrivere una storia familiare più accurata, di ristabilire le appropriate gerarchie strutturali nella famiglia e di comprendere più accuratamente i bisogni di ciascun membro familiare da parte degli altri.
Il percorso è pensato e strutturato per le famiglie proprio perché una condizione comune è quella del ritiro sociale nella quale il sintomo del figlio le ha intrappolate; i genitori sono spesso privi di quella rete protettiva di rapporti sociali che potrebbe aiutarli ad affrontare tale carico di sofferenza, il ritiro emozionale e l’isolamento sociale sono gli effetti più devastanti di questa malattia che si estendono molto rapidamente all’intero nucleo familiare.
Il sintomo quindi sembra come colonizzare per intero il sistema familiare.
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