DISTURBO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
I disturbi alimentari colpiscono una gran moltitudine di persone.
Per quanto riguarda l’anoressia nervosa, l’esordio avviene in età post-puberale o adolescenziale. Si tratta spesso di ragazze diciamo ‘paffute’ che avvertono più o meno gradatamente l’impaccio dei chili in piu’. Il pensiero del peso diventa l’idea dominante fino al momento nel quale la ragazza non identifica la dieta come unica soluzione al proprio disagio.
Il regime di restrizione è molto spesso auto-imposto, mascherato da una massiccia copertura di sintomi (gonfiori, bruciore di stomaco, stipsi..). In questo periodo la ragazza di pesa spessissimo e compie ‘sedute allo specchio’; iniziano le misurazioni al centimetro, le ‘prove di vestiario’ ossessive. La sensazione, spesso una dispercezione, di sentirsi leggermente gonfia la può portare a rinunciare ai suoi programmi di uscite, per chiudersi tristemente in casa.
Subentra molto spesso anche un’attività fisica esagerata, che le permette di tenere sotto controllo il suo corpo.
L’anoressica realizza il proprio stare bene mediante il dominio del corpo, ottenuto governando il desiderio. Ha una sua visione del mondo, alla quale fra aderire anche la propria rappresentazione di sè.
Paradossalmente, quanto più ci si trascura, tanto più ci si cura.
Più é alto l’investimento affettivo sul cibo, più é lancinante il bisogno, più la rinuncia viene vissuta come una gloriosa vittoria.
Spesso in questa fase si innestano comportamenti bulimici, cui fanno subito seguito le pratiche compensatorie atte ad eliminare le calore introdotte. In contrasto con l’iperattività, i vissuti interni divengono appiattiti e depressivi e può diventare difficile distinguere tra le varie emozioni e sentimenti.
E’ la dissociazione soma-psiche il motivo profondo che mantiene in vita questo circolo, e il dilemma paradossale e straziante è morire di morte fisica o morire di morte psichica?
In questa fase lo scenario affettivo in cui si muovono le energie vitali è quello psichico più che quello fisico.
E’ l’identità ideale (psichica) da raggiungere quella per cui si deve combattere; non quella reale attuale (fisica), che, anzi, deve essere abbandonata.
Il quadro bulinino si innesta spesso su una condizione pregressa di anoressia nervosa. L’età media di insorgenza è quella adolescenziale, anche se i soggetti giungono in osservazione a circa 20 anni.
L’analogia tra anoressia nervosa e bulimia nervosa si gioca sul controllo del peso; diverso è invece, nelle due condizioni, il modo di gestire il rapporto con il cibo, sia pur conflittuale in entrambe.
La bulimia è assorbita nella straziante peregrinazione tra l’eccesso ed il difetto; l’unica possibilità di equilibrio è quella di bilanciare l’eccesso con una adeguata eliminazione. L’abbuffata sembra presentarsi fin da subito come un fenomeno di rebound nei confronti della privazione di cibo.
E’ come se il soggetto, una volta rotto l’equilibrio di un adeguato rapporto con il cibo, non riuscisse più a recuperare la posizione intermedia e venisse sbalzato su di un livello qualitativamente diverso, dove le leggi di scambio sono all’insegna del ‘tutto o nulla’.
L’abbuffata avviene in genere al di fuori dei pasti, in solitudine ed è caratterizzata da una mescolanza di cibarie accostate senza gusto. L’apporto calorico medio va da 3500-5000 Kcal e i cibi sono quelli generalmente disdegnati in quanto particolarmente calorici. A volte, vengono introdotti anche superalcolici.
Non c’é piacere nell’abbuffarsi; c’è neutralità affettiva. Solo successivamente, durante le ‘crisi’, si fanno spazio delle fortissime emozioni: senso di colpa, vergogna, depressione, rabbia, angoscia, perdita di auto-controllo e di autostima.
Alla fine, sono i comportamenti riparatori i soli che riescono, e non sempre, ad attenuare una simile tempesta emotiva.
Dopo una abbuffata, i soggetti si sentono spesso sopraffatti da un impellente bisogno di dormire, dal quale si risvegliano ritemprati.
Le ragazze anoressiche sono state descritte spesso in letteratura come bambine timide, rispettose, estremamente disponibili ai problemi altrui e capaci di entrare in contatto emotivo con il prossimo. Fanno molta fatica a dire ’no’, e quando riescono, sono assorbite dal senso di colpa.
Ora sono diventate rigide, refrattarie ad ogni controllo, Si incavolano, gridano. Sono contenitori pieni di vissuti ed emozioni altrui per troppo tempo accettati. Ora, ‘vomitano’ tutto all’esterno, restando spesso svuotate e confuse.
CASO CLINICO
Vengo contattata da una mamma di una figlia con disturbo del comportamento alimentare. Al nostro primo incontro, tra le lacrime, inizia a raccontarmi la sua storia. Ha due figli, un maschio e una femmina. Si è separata dal marito, non perché non ne fosse più innamorata, ma perché non si prendeva alcuna responsabilità genitoriale, lasciava il carico dei figli e della conduzione familiare a lei. Mi dice di averlo lasciato con molto dolore, nella speranza che potesse cambiare. La figlia arriva allo sviluppo molto presto, circa a 10 anni e inizia ad ingrassare. Inoltre, il suo corpo bambino subisce una trasformazione che la porta ad essere oggetto di interesse dei maschi della scuola. Inizia una dieta, senza voler consultare una nutrizionista. Cominciano le attenzioni ossessive per le calorie, la palestra tutti i giorni. Tutto sembra ruotare attorno al corpo ed al suo peso.
Incomincia più percorsi terapeutici, che vengono puntualmente poi abbandonati, per una scusa o per un’altra.
Subentrano episodi bulimici che si fanno sempre più frequenti fino a presentarsi tutti i giorni.
Mamma e figlia hanno un rapporto molto stretto, passano molto tempo insieme e la figlia le racconta tutte le sue esperienze. Questo, naturalmente, aumenta la preoccupazione della madre. Si sente impotente, gradualmente si rende conto di non avere più il controllo sul disturbo della figlia. Soffre moltissimo. Cerca di starle accanto, e, essendo una psicologa, continua a mantenere l’attenzione sull'importanza che cominci un percorso terapeutico.
Nei mesi della terapia, faticosamente, cerchiamo di cambiare i suoi pensieri e comportamenti verso la ragazza.
Acquisisce la consapevolezza che la malattia nasce da un disagio psichico, con il quale la figlia combatte duramente ogni giorno.
Sono molte le teorie che sostengono che il disturbo alimentare sia una reazione all’invasione altrui, spesso propria quella della madre, anche se spesso inconsapevole.
Impara così, piano piano, a tracciare una linea di confine con la figlia, sia di pensiero che di comportamento.
Con grande fatica, non controlla più la sua camera, non la mette in ordine, lascia che sia la figlia a decidere sistemare il grande disordine presente dopo le abbuffate. Lascia che sia lei a fare la spesa e a cucinare per se stessa.
Si accorge di essere stata molto controllante, anche se spinta da una grande paura.
Impara ad abbandonare i pensieri ossessivi che confondono la sua mente, che le procurano sofferenze immense e che la portano ad invadere il terreno della figlia e a portarla a non ascoltarla più.
Impara a mostrarle la sua comprensione rispetto ai piccoli passi che la ragazza sta cercando disperatamente di fare. E’ confusa, incerta, a volte bugiarda, ma sta combattendo la sua battaglia. Durante una litigata furiosa, riesce a buttare fuori il suo devastante senso di colpa riguardo ai danni che il suo disturbo ha arrecato alla sua famiglia. Si percepisce fragile, non accettata, ‘il problema’.
La maggiore calma raggiunta dalla mamma, il minore controllo e soprattutto la fiducia data alla figlia, portano la ragazza a decidere di iniziare un percorso terapeutico.
Con la mamma, ci sentiamo regolarmente. E’ più serena, ha cominciato a vivere la sua vita, a raccogliere energie per spendere poi un tempo leggero con la figlia.
Lei non è più solo ‘il problema , ma una persona, con i suoi spazi, la sua dignità e il diritto alle proprie esperienze, anche se sbagliate. Si sta rafforzando e ha sempre maggiori strumenti per conoscersi, per accettare i propri limiti e vivere!
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