Vita e Morte, Paura e Speranza in vent’anni di ricerche su Google

Gli anni passano, e anche internet inizia ad avere la sua età, con tutto ciò che ne consegue. Al giorno d’oggi, la pandemia non ha fatto altro che amplificare e accelerare l’irreversibile processo di affermazione sempre più cospicua delle attività online nelle nostre vite, tant’è che la rete stessa è diventata oramai un mezzo di comunicazione di massa, accessibile praticamente a chiunque, e da ciò consegue che internet rappresenta lo strumento più idoneo per studiare la società e gli individui che la compongono. Ma internet è composto da milioni e milioni di siti, che ovviamente non si possono studiare uno ad uno; al contrario è più logico e produttivo analizzare i siti più utilizzati al mondo e, perchè no, proprio il più utilizzato di tutti, Google. Non a caso è stato anche ribattezzato “Big G”, proprio a causa del suo primato di essere al contempo il sito e il motore di ricerca più famoso e più utilizzato al mondo, ragion per cui sarebbe molto interessante effettuare un’analisi psicologica dei termini maggiormente cercati nel presente millennio, a livello globale, tramite Google. Un’analisi, questa, che ci permette di capire a fondo la società in cui viviamo e che è resa materialmente possibile grazie al tool di Google denominato “Google Trends”. Si tratta di uno strumento molto semplice da utilizzare: basta selezionare un dato anno dal 2001 ad oggi ed ecco che compaiono i termini maggiormente ricercati, suddivisi anche per categorie. In questo modo possiamo notare come Google diventi metaforicamente uno specchio attraverso cui possiamo vedere noi stessi, mentre siamo impegnati a cercare i nostri più disparati pensieri − alcuni consapevoli, altri di meno − scrivendoli su un motore di ricerca. Google ha infatti una funzione informativa, ed è proprio per tale ragione che si utilizza: si cerca di approfondire determinati pensieri ed argomenti, di trovare delle spiegazioni ad essi, di avere delle rassicurazioni e così via. Ma a quali tematiche sono riconducibili i principali pensieri che attanagliano l’uomo del nuovo millennio? A concetti molto elementari, e per tale ragione fondamentali, per ogni individuo: vita e morte, paura e speranza. L’uomo del nuovo millennio, a conti fatti, non è poi tanto dissimile da quello delle caverne. E non lo è nemmeno dagli altri animali. In termini darwiniani si potrebbe persino affermare che l’uomo non si discosta tanto dalle specie più elementari di animali, mosse fondamentalmente dall’istinto di sopravvivenza o conservazione: per tale ragione cercano di combattere la morte tramite l’arma della paura, inseguendo così la speranza di rimanere in vita. Ai tempi delle teorie di Charles Darwin non esistevano nè internet, nè l’uomo del nuovo millennio, eppure quest’ultimo è così maledettamente simile a quello delle ere precedenti. Lo conferma Google. Non è un caso se nel presente anno il termine più cercato su Google è stato COVID. La pandemia è infatti un evento concettualmente e fenomenologicamente altamente correlato alla morte, e dunque alla paura, per cui non è un caso se è stato così largamente cercato. Ma non è nemmeno un caso se negli altri anni − pur non essendosi verificati eventi esiziali ai livelli di una pandemia − tra i termini più ricercati troviamo catastrofi naturali di larga portata come uragani, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Eventi, tra l’altro, molto facili da assimilare per la psiche e dunque ben comprensibili anche a fasce di popolazione in età scolare o prescolare. Altri eventi legati a morte e paura sono stati quelli di origine artificiale (benchè anche i disastri naturali potrebbero avere quantomeno una concausa artificiale dal momento che possono benissimo dipendere dai cambiamenti climatici causati dall’azione antropica), quali guerre e attentati terroristici: non è un caso, ad esempio, se nel 2014 e nel 2015 uno dei termini in assoluto più cercati è stato ISIS. In casi come questi il fenomeno che porta con sè la morte − e di conseguenza la paura, ovvero la risposta che mette in atto la nostra mente per poterla combattere − è stato ampiamente cercato e studiato proprio al fine di conoscerlo meglio e dunque evitarlo e/o combatterlo.

Ma la nostra mente, di fronte a un fenomeno altamente carico di emotività quale è la morte, molto spesso non funziona in termini statistici e oggettivi, bensì soggettivi ed emotivi. Infatti, molte volte si tende a sovrastimare i casi di morte spettacolare, strana, misteriosa, irrisolta e/o romanzesca rispetto a quelli in cui il decesso avviene in modi normali, scontati e ben spiegabili: a questo punto la mente tende a dare praticamente la stessa importanza sia alle morti del primo tipo, sia a quelle del secondo. Non è un caso se il celebre documentario − in Italia trasmesso su Sky − Mille modi per morire ha avuto così tanto successo: semplicemente ricostruisce le morti più strane, realmente avvenute, al fine di suscitare interesse nei confronti del telespettatore. Ed è stata appunto la paura della morte, a prescindere dal modo in cui la stessa è avvenuta, ad aver fatto cercare su Google illustri nomi dello sport e dello spettacolo...soprattutto quando sono morti! E sono stati cercati ancor più se la loro dipartita è stata, come abbiamo visto prima, di carattere misterioso, irrisolto e romanzesco. Non a caso, Diego Armando Maradona è stato uno degli individui in assoluto più cercati su Google quest’anno, così come lo è stato Michael Jackson nel 2009, Amy Winehouse nel 2011, Avicii nel 2018, Chris Benoit nel 2007. Tutte persone accomunate da morti legate a circostanze misteriose, inclusi suicidi apparentemente inspiegabili (Avicii e il wrestler Chris Benoit), che hanno dato origine anche a teorie complottistiche e a miti e leggende metropolitane (ad esempio la tesi secondo cui Michael Jackson sia ancora vivo). E anche qui si può constatare come, a distanza di millenni, l’uome sempre è lo stesso: un Ulisse il quale, mosso dal suo innato desiderio di conoscenza, si spinge oltre le colonne d’Ercole. Ed effettivamente, è da riconoscere che una cosa che proprio non sopporta la nostra mente è l’incertezza. Quando è presente, si cerca in tutti i modi di esorcizzarla. Tramite la conoscenza. Una meta che si desidera raggiungere attraverso quello che è il mezzo più immediato, semplice da utilizzare e alla portata di (quasi) tutti: Google. Il detective dentro ognuno di noi si cimenta così con lo scoprire le cause delle morti di personaggi celebri, al fine di razionalizzare una delle cose che più temiamo: la morte. Un argomento di rilevanza particolare nella vita di ognuno di noi, che quindi vogliamo approfondire e conoscere al meglio. Non è un caso che tutte quelle morti legate a circostanze misteriose o anche tutte quelle perdite − in senso lato − legate a persone scomparse siano le più difficili da elaborare e digerire: sono infatti i lutti a cui non è possibile aggiungere la parola “fine”, quelli ove la conoscenza esibisce i suoi limiti. E laddove la conoscenza si ferma, spesso prosegue la fantasia, come nel caso sopracitato della leggenda metropolitana secondo cui Michael Jackson sia ancora in vita. Da Google Trends possiamo dunque imparare come la morte sia un fenomeno così importante per la nostra mente, tanto che non sono solo le celebrità decedute quelle ad essere più cercate online, ma anche coloro le quali sono vittime di episodi in cui hanno rischiato realmente la vita. Prendendo ad esempio l’anno 2018 − forse quello più importante ed esemplificativo di tutti ai fini dell’analisi psicologica delle keywords cercate su Google − possiamo notare come la seconda donna più cercata al mondo sia stata Demi Lovato, che proprio quell’anno ha rischiato perfino più volte di fare la fine di Amy Winehouse, ovvero di perire a causa di overdose; l’uomo invece più cercato su Big G è stato Avicii, il quale è risultato addirittura più ricercato nell’anno della sua morte che negli anni in cui ha avuto un successo planetario! E come se non bastasse, va notato che nel 2018 Avicii non ha tenuto nemmeno un dj set, mentre nel periodo di maggior successo (grosso modo da fine 2011 al 2016) faceva così tante date da arrivare a soffrire di patologie psico-fisiche o comunque dipese da tale situazione di eterno stress. Eppure, il mondo intero ha dato più importanza alla sua morte che a qualsiasi altra cosa abbia mai fatto.

La mente umana, però, non può pensare in continuazione a concetti emotivamente negativi come la paura e la morte, e pertanto cerca anche delle valvole di sfogo che possano in un certo qual modo donare serenità e speranza. Anche tal cosa è constatabile consultando Google Trends, poichè le ricerche più effettuato su Google contemplano molte volte temi quali lo sport, la musica, il cinema e il gossip. A tal proposito, prendendo sempre ad esempio il 2018, possiamo constatare come la donna più cercata al mondo in quell’anno, anche più di Demi Lovato, è risultata essere Meghan Markle. E nel 2006, invece, la donna più cercata su Google è stata Paris Hilton. D’altra parte è chiaro che qualsiasi donna, in cuor suo, sognerebbe una storia da favola come quella di Meghan Markle o di Paris Hilton: cosa c’è di più favoloso nella vita se non vivere come una ereditiera multimilionaria o una principessa? Per quanto si possa affermare di essere soddisfatte dalla propria vita, è innegabile che condurre un’esistenza come quella di Meghan Markle o di Paris Hilton sarebbe proprio come vivere in una favola, in un sogno...perchè sognare può realmente donare la speranza e aiutare a combattere lo stress quotidiano e le altre emozioni negative. Un altro dato che conferma che alla gente piace sognare parla italiano: si tratta della Ferrari, termine di ricerca tra i più gettonati in tempi pre-crisi (ad esempio nel 2004 o nel 2003, superando − come volume di ricerca − numerosi e conosciutissimi brand internazionali quali Disney, Sony, Ryanair, Walmart, HP, Dell e BMW). Ora, se una persona cerca su Google un’auto qualsiasi, come una Toyota o una Fiat, lo fa principalmente per informarsi al fine di acquistarla, prenderla in noleggio o anche venderla qualora ne fosse in possesso. Ma quanta gente ha la disponibilità economica per comprare una Ferrari? Di certo non tutti quei milioni di persone che l’hanno cercata su Google. Magari l’avranno cercata pure per seguire il campionato costruttori della Formula 1, ma pure lo sport − al fine di attrarre i tifosi-telespettatori che guardono anche e soprattutto le numerose pubblicità presenti nei vari campionati − fa leva sulla necessità della nostra mente di trovare una valvola di sfogo ai problemi quotidiani e dunque di sognare e svagarsi. Nel caso della Formula 1, ad esempio, una delle cause principali per cui si seguono le gare automobilistiche è proprio perchè disputate con auto sportive dalle grandi performance, con tutto ciò che ne consegue. Insomma, così come una donna può sognare immedesimandosi in una principessa come Meghan Markle o in una ereditiera come Paris Hilton, un uomo può sognare immedesimandosi in un pilota strapagato di Formula 1, al volante di una splendida vettura sportiva e che, qualora dovesse vincere, si troverebbe dinanzi a sè una grande festa con un enorme bagno di folla pronta a idolatrarlo. Supponiamo che invece si trattasse di una gara automobilistica tra city car o, peggio, ape car e con piloti improvvisati: chi perderebbe tempo a guardarla? Di certo non regalerebbe le stesse emozioni della Formula 1, non arriverebbe a soddisfare quel bisogno di evasione a cui la mente ha diritto. Ma, consultando ancora a fondo i dati di Google Trends possiamo avere sì la conferma che la Formula 1 rappresenta uno degli sport più celebri al mondo, ma il primato lo detiene senz’altro il calcio. E le conferme sono molte: i calciatori compaiono praticamente ogni anno nell’elenco delle persone più cercate, ogni 4 anni i mondiali di calcio sono l’evento più cercato di tutti, e così via. Che il calcio sia lo sport più seguito al mondo non stupisce più di tanto, stupisce però che la gente lo anteponga a questioni ben più importanti, come lo sono i cambiamenti climatici: dai dati di Google Trends si apprende infatti che Greta Thumberg è una illustre sconosciuta in confronto a Neymar Jr., il quale risulta essere ben più cercato rispetto all’attivista svedese. D’altra parte si sa che il cambiamento climatico è una questione seria...ma mai tanto quanto il calcio. Questa tendenza a non dare eccessivo risalto al cambiamento climatico − che potenzialmente è molto più pericoloso di una pandemia − può essere spiegata con il fatto che la mente dà molta più rilevanza a minacce percepite come hic et nunc, immediate e immediatamente pericolose, quali quelle che abbiamo visto precedentemente: guerre, attentati, pandemie, catastrofi naturali ben definite (uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche...), eccetera. I cambiamenti climatici sono un fenomeno che non ha effetti dannosi nell’immediato, pertanto la nostra mente fa fatica a reputarli come effettivamente pericolosi per l’incolumità personale. Anche su questo c’è molto da riflettere.

Un altro dato che fa riflettere, e che si può constatare dall’analisi approfondita dei dati di Google Trends, è come la società cambia con la continua innovazione tecnologica, sia a livello hardware sia software. Nel primo caso, se analizziamo la categoria di gadget tecnologici (telefoni, tablet, lettori mp3/mp4...) possiamo notare come rigorosamente cambino ogni anno, poichè un device prodotto l’anno prima è già vecchio l’anno dopo, con la conseguenza diretta di perdere subito d’interesse. Nel secondo caso, se consideriamo internet possiamo constatare come tale tecnologia ha cambiato profondamente la società in cui viviamo. Effettivamente l’accesso alla rete e l’utilizzo attivo dei social network ha portato a cambiamenti sociali su vasta scala, anch’essi visibili dall’analisi dei dati di Google Trends. É un po’ come dire che attraverso internet possiamo vedere internet stesso, a distanza di alcuni anni. Non tanti, giusto una decina. Ora, proviamo a lanciarci in un nostalgico viaggio, seppur virtuale (ma al giorno d’oggi cosa non lo è?), indietro nel tempo, fino al 2010: c’erano più soldi e non c’era la pandemia, ancora non iniziava la “primavera araba” e con essa l’ISIS e una lunga serie di guerre, in Italia ancora non si verificava una crisi economica, anzichè sui DPCM il dibattito politico era incentrato sulle donnine allegre che sollazzavano un premier, bastava essere presenti su un unico social per essere social e...si ascoltava Justin Bieber. Dato, quest’ultimo, a prima vista di poco spessore e, onestamente, che mette a dura prova l’umana sopportazione, dal momento che quando si pensa a Justin Bieber affiorano inevitabilmente alla mente i nugoli di ragazzine impazzite e urlanti che inneggiano alla sua persona. Ma, che si voglia o meno, Justin Bieber è destinato (purtroppo?) a rimanere nella storia. Sì, perchè trattasi del primo caso al mondo di popstar di fama mondiale il cui lancio è dipeso da internet, nella fattispecie dallo streaming online, poichè Justin si è affermato come cantante proprio poichè realizzava dei suoi video in cui si esibiva cantando (e suonando la chitarra), che poi caricava su YouTube. E da lì è iniziato il suo successo, confermato dal fatto che nel 2010 è risultato essere la persona più cercata su Google. La ex coppia formata da lui e da Selena Gomez è esemplare a riguardo, poichè vede a confronto due popstar di stile, età, localizzazione geografica e fama in tutto e per tutto molto simili, ma dai background completamente diversi: lui lanciato da YouTube, lei dalla TV (Disney Channel). E andando avanti con gli anni di ricerche su Google possiamo anche constatare che via via le grandi popstar che hanno raggiunto un successo mondiale si sono sempre di più affermate via internet, ovvero caricando loro canzoni online, come nel caso di Ed Sheeran prima e di Billie Eilish dopo, solo per citarne qualcuna. E con le popstar dei nostri giorni torniamo prepotentemente al tempo presente, lasciandoci alle spalle i bei ricordi di 10 anni fa. Che questo sia stato un anno strano, difficile, si può capire anche da Google Trends: a ben vedere, se si confronta il 2020 con gli altri anni, si evince come sia stato praticamente l’anno più dissimile da tutti quanti gli altri. Un’eccezione che conferma la regola? Sì, almeno fino ad ora. Un augurio a tutti voi di buon 2021, sperando che l’anno prossimo su Google si cerchino solo keywords di vita e di speranza.

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