L’ipocondria, per lungo tempo considerata una malattia immaginaria, sembrerebbe particolarmente diffusa nella società contemporanea ma nonostante ciò, sottovaluta e spesso confusa con altre condizioni patologiche. Essa, nel corso degli anni, è stata oggetto di numerose controversie nosografiche, che hanno portato a collocarla ora tra i disturbi d’ansia ora tra i disturbi somatoformi. Con la quinta edizione del DSM il termine ipocondria, ritenuto offensivo per i pazienti, è stato addirittura eliminato e sostituito con la dizione Disturbo d’Ansia per la Malattia, considerata più accettabile e meno stigmatizzante (APA, 2014).
Ciò che differenzia l'ipocondria dal normale timore di essere affetti da qualcosa di grave, è il modo in cui la paura si manifesta: non sporadica bensì sistematica e prolungata, accompagnata da un'insistenza che diviene per lo più ossessionante (La Barbera, Varia, 2003) in quanto i soggetti ipocondriaci tendono a sovrastimare la pericolosità delle sensazioni corporee che avvertono.
In seguito ai cambiamenti generazionali, al progresso tecnico-scientifico e alle scoperte della medicina, anche il disturbo ipocondriaco ha assunto diverse sfaccettature.
Come indicato in un articolo de “Il messaggero” (Massi C., 20 aprile 2014), in Italia si stima che ci siano ben 8 milioni di ipocondriaci che costano al Servizio Sanitario 4 miliardi l’anno e che ben 16 milioni sono gli italiani che cercano informazioni di salute navigando nel web.
Oggi la cybercondria rappresenta l’evoluzione moderna dell’ipocondria e consiste nella paura e nell’allarmismo per patologie lette sul web. Cybercondria è un neologismo derivato dall’unione delle parole cyber ed ipocondria. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 2000 in un articolo del quotidiano “The Independent”, per descrivere l’uso eccessivo di internet per la ricerca di notizie relative a delle malattie con la tendenza a trarre conclusione disastrose circa il proprio stato di salute (Frediani C., 2008). Questo problema colpisce frequentemente le persone che, piuttosto che affidarsi ad uno specialista, tentano di fare autodiagnosi e cercano di alleviare il proprio livello di preoccupazione leggendo informazioni su siti internet. Questo meccanismo, tuttavia, rischia di diventare molto pericoloso, instaurando un circolo vizioso che alimenta lo stato di ansia e di paura del soggetto. Più la persona s’informa guardando video, fotografie e articoli, e più è facile che mal interpreti i propri sintomi, confermando la credenza di poter avere una grave malattia (Marchetti S., 2013). Il cybercondriaco, a partire dalla convinzione errata di avere una grave patologia, cerca sul web con l’intento di sollevarsi dall’ansia. A volte trova notizie confortanti ma, spinto dal bisogno di certezze, insiste nella navigazione sino a che non si imbatte in notizie allarmanti che gli confermano la possibilità di essere affetto da un grave male incurabile (White, Horvitz, 2009).
Capita spesso di avvertire un dolore, magari un semplice ma persistente mal di testa oppure una contrazione frequente dei muscoli del corpo. Piccoli, apparentemente innocui fastidi per i quali non vale la pena mettersi in fila dal medico di base, molto meglio e molto più rapido, andare su un motore di ricerca e digitare “contrazione muscolare” per farsi da soli un’idea. È facile, rapido, immediato e, purtroppo, anche fuorviante. Nella maggior parte dei casi, infatti, la navigazione on line genera nei soggetti il terrore di avere una brutta malattia e li convince ad andare dal medico. Qui, però, restano delusi perché, dopo averli visitati, il medico spiega loro che non è nulla di grave e magari prescrive un generico antinfiammatorio. Così, non fidandosi di questa banalizzazione, tornano a navigare, magari cercano conforto ed informazioni in qualche forum e scelgono, alla fine, tra le varie diagnosi proposte, quella peggiore.
Ipocondria e internet sono un’accoppiata davvero deleteria per chi vive con la fobia di essere affetto da qualche seria malattia. In rete, infatti, proliferano siti che riportano resoconti terrificanti di malattie rare, blog di pazienti che narrano i loro casi personali, portali poco seri che pretendono di fare diagnosi on line. Una vera tentazione per l’ipocondriaco, cioè per colui che, quando internet non esisteva, sfogliava enciclopedie mediche alla ricerca di segni e sintomi simili ai suoi disturbi, veri o presunti.
La Cybercondria è una realtà diffusa già da qualche anno, nel 2009 è stata oggetto di un accurato studio presso la Microsoft, eseguito da Ryen White ed Eric Horvitz, i quali hanno analizzato il comportamento on line di milioni di navigatori in tutto il mondo ed hanno condotto un sondaggio su più di 500 impiegati Microsoft per valutare la potenza di internet nel distorcere la percezione dello stato di salute degli utenti. Un quarto del campione analizzato, 250mila utenti su un milione, aveva condotto almeno una ricerca medica nel periodo esaminato. E un terzo di questi è andato avanti ad approfondire le malattie più rare e gravi, con gli strascichi psicologici che si possono immaginare. È stato inoltre messo in evidenza che gli utenti tendevano di solito a guardare solo i primi risultati emersi sui motori di ricerca pertanto un dolore al petto diventava presagio di un infarto e spingeva a ricercare ulteriori informazioni in una escalation d’ansia. Naturalmente i ricercatori precisano che lo studio non vuole spingere le persone a ignorare sintomi di potenziali malattie, ma piuttosto ricordare agli utenti che i risultati web sulla salute vanno presi con le pinze e che una visita o anche una telefonata al medico rimangono sempre obbligatori prima di prendere qualsiasi decisione o di preoccuparsi eccessivamente (White, Horvitz, 2009).
A quanto pare si tratta di un problema globale, che riguarda un po’ tutto il mondo occidentale. Tanto che negli Usa c’è anche chi si è interessato di questa realtà, come il Dottor Thomas Fergus, del Baylor’s College of Arts&Sciences, autore della ricerca pubblicata nel 2013 su ‘Cyberpsychology, Behavior and Social Networking’ (Marchetti S., 2013). Il dottor Fergus è convinto che questa navigazione in rete, in modo ossessivo, leggendo e informandosi nei dettagli di qualsiasi malattia, aumenta le paure di chi è già ansioso.
Eppure la soluzione alla Cybercondria non è, secondo gli esperti, rinunciare alla navigazione on line. Secondo molti medici, infatti, internet rappresenta comunque una buona fonte di informazione per i pazienti che si preoccupano molto di più della loro salute rispetto al passato e sono maggiormente in grado di fare prevenzione. Tra le possibili soluzioni sarebbe opportuno, per chi decide di affidare alla rete alcune indagini relative alla propria salute, rivolgersi a siti seri, con i quali collaborano veri professionisti della salute, contrassegnati dalla sigla HON (Health On the Net), detto anche bollino blu, che ne attesta la serietà e la affidabilità dei contenuti medici (Fox S., 2006).
La Health on the Net Foundation (HON) ha, infatti, stilato un codice di condotta in base al quale i 6.500 siti che ne fanno parte hanno accettato di diffondere informazioni responsabili e di rendere note le fonti con lo scopo di garantire un’informazione il più possibile corretta, imparziale e trasparente.
Poiché la tecnologia diventa sempre più onnipotente ed è difficile pensare che si possa tornare indietro, non si può che ipotizzare un futuro in cui sempre più persone si rivolgeranno ad Internet per cercare informazioni. Quindi, la domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: cosa può fare Internet per migliorare il lavoro dei professionisti e per offrire agli utenti un migliore stato di salute?
I medici curanti, ad esempio, potrebbero gestire direttamente siti internet o indirizzare i propri pazienti alla consultazione di particolari fonti sicure, basate su informazioni sanitarie nate in ambiente scientifico. Auspicabile sarebbe anche l’invio del paziente ad uno psicologo che possa aiutare il medico nella gestione del caso o, ancor meglio, soprattutto in un’ottica preventiva, sarebbe auspicabile la presenza, all’interno degli ambulatori di medicina generale, di uno psicologo che possa offrire al paziente una risposta globale alle sue richieste prendendo in considerazione non solo gli aspetti somatici del disagio ma anche gli aspetti psicologici, sociali e relazionali.
Dott.ssa Lucia Filetti – Psicologa
luciafiletti90@gmail.com
Fox S. (2006), Online Health Search 2006. In: www.pewinternet.org
Frediani C. (2008), La cybercondria da «motore di ricerca». In: www.corriere.it
La Barbera D., Varia S. (2003), Percorsi Clinici della Psichiatria. Medical Books.
Massi C. (2014), Il medico e lo psicologo si alleano: così i farmaci si riducono di un quarto. In: Il Messaggero, 20 Aprile 2014.
Marchetti S. (2013), Cybercondria, quando internet diventa il tuo medico: i malati immaginari dell’era moderna. In: www.corriere.it/salute
White R., Horvitz E. (2009), Cyberchondria: Studies of the escalation of medical concerns in Web search. In: www.research.microsoft.com
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento