È un’esperienza comune quella di trovarci in una situazione particolare della vita e comportarci male, essere “fuori di noi”, e magari in quell’occasione una persona a noi cara ci fa pesare questo nostro comportamento dicendoci per esempio: “sei fuori di testa”?! A distanza di qualche minuto ci possiamo interrogare su questo punto e chiederci: “sono matto davvero?” “ho un qualche problema?” “come faccio a capirlo?”
Proviamo a fare un po' di chiarezza in 3 passi:
1- Innanzitutto, se mi trovo a rivolgere a me stesso a questa domanda probabilmente non lo sono. Coloro che nel gergo comune vengono definiti “matti” NON hanno il cosiddetto esame di realtà, ovvero la capacità di discernere ciò che è reale dà ciò che è una fantasia, un pensiero, una preoccupazione. Questi due piani si confondono perdendo quindi la capacità critica di vedere una situazione per come si presenta e di mettere in discussione il proprio punto di vista.
2- In secondo luogo, il nostro comportamento va contestualizzato. Come una rondine non fa primavera, allo stesso modo una reazione esagerata occasionale non è un indice della nostra “pazzia”. Se invece notiamo uno stesso pattern di comportamento ripetersi in più situazioni, con più persone, con una certa frequenza, e osserviamo una completa perdita di controllo della nostra mente e del nostro corpo, allora può essere utile rivolgersi a un professionista. Questo non perché “siamo matti” ma perché probabilmente si è innescato un circolo vizioso dal quale facciamo fatica a uscire e che ci genera un certo livello di malessere.
3- Inoltre, quando ci riferiamo alla “pazzia” intendiamo ciò che in clinica viene definita psicosi, ovvero una serie di disturbi in cui, come dicevamo prima, perdiamo l’esame di realtà e rimaniamo ancorati a una visione tutta nostra delle cose. Le caratteristiche principali di questi disturbi sono la presenza di: deliri (disturbi del pensiero, quindi convinzioni così radicate che non sono passibili di modifica nonostante le evidenze del contrario), allucinazioni (disturbi della percezione, quindi avere la percezione di avere sentito una voce, ad esempio, o visto qualcosa che in realtà non si è verificato), pensiero e comportamento disorganizzato e una serie di sintomi negativi che comportano una sempre maggiore chiusura in se stessi (come ad esempio, una netta diminuzione delle espressioni facciali). Se non abbiamo niente di tutto questo possiamo osservare come il definirci “pazzi” non è del tutto corretto.
Più generale, per comprendere ciò è che anomalo, malsano, patologico possiamo prima soffermarci sul dibattuto concetto di normalità. In generale e in estrema sintesi possiamo definire la normalità come un insieme di pensieri, caratteristiche, comportamenti che sono comuni, abbastanza rappresentati all’interno della società di appartenenza e che non crea problemi al vivere comune. Diventa quindi patologico tutto ciò che si discosta dal consueto, dall’atteso e può creare problemi a sé o agli altri. Tornando al dilemma “sono matto oppure no” possiamo già comprendere che il fondamento di questa affermazione è spesso errato poiché ciò che è meno frequente non è detto che sia patologico.
Andando più nello specifico, in clinica viene definito per così dire “patologico” tutto ciò che genera un malessere che ha queste caratteristiche:
- Intensità,
- Persistenza (quindi presente per la maggior parte del tempo),
- Pervasività (quindi presente in più contesti),
- Inflessibilità (quindi non riesco a sottrarmi o a mettere in atto una risposta diversa)
Oltre a queste caratteristiche può compromettere il funzionamento della persona in varie aree della mia vita (lavorativa, sociale, familiare, intima).
Se quindi mi ritrovo a sperimentare un malessere che non so comprendere e affrontare diversamente può essere quindi utile confrontarsi con un professionista in grado di fornire una cornice di significato del problema e che possa darmi degli strumenti per uscire dal circolo della sofferenza.
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