Ha la demenza. Cosa posso fare?

"Ha la demenza. Cosa posso fare?"

È questa la domanda che si insinua nella mente di tutti quei coniugi, figli e nipoti che dopo un lungo iter di esami e valutazioni si sono sentiti dire "Il suo caro ha la demenza".
Spesso, dopo la diagnosi, i familiari percepiscono un senso di abbandono da parte delle istituzioni, non sanno come affrontare i comportamenti del paziente, non sanno cosa sia giusto fare e cosa no.
Affrontare la condizione del proprio congiunto richiede un investimento pratico ed emotivo non indifferente: la tempesta di emozioni, spesso ambivalenti, che vive chi si prende cura del malato ha bisogno di essere accolta, accettata e gestita. Trovare risposta alle domande e ai bisogni emotivi propri di ogni caregiver rappresenta un primo passo per migliorare la quotidianità del rapporto di cura, con rilevanti ricadute sul benessere del paziente.
Se è vero che, purtroppo, ad oggi non esiste un trattamento definitivo della demenza è anche vero che seguendo alcuni consigli pratici è possibile migliorare la qualità di vita del paziente e di chi se ne prende cura. Possono essere individuate tre buone pratiche da seguire per raggiungere tale obiettivo.

Effettuare valutazioni neuropsicologiche ad intervalli di tempo regolari.
Un esame neuropsicologico completo ed approfondito è fondamentale per tenere monitorato l'andamento della malattia e per adeguare il piano farmacologico; è essenziale anche per individuare con precisione le potenzialità ed i limiti cognitivi del paziente e per rilevare i loro cambiamenti nel tempo.
Individuando i punti deboli ed i punti di forza del malato, infatti, sarà possibile migliorare la gestione del quotidiano, proponendo compiti che siano fattibili e che evitino la frustrazione. Facciamo un esempio: se la valutazione suggerisce una rilevante compromissione del linguaggio, sarà poco utile continuare a proporre al paziente quiz linguistici, cruciverba o altri esercizi che richiedano di trovare la parola giusta. Questi tentativi potrebbero confonderlo, dando adito a comportamenti negativi quali l'aggressività o l'apatia. Benvengano invece gli esercizi e compiti quotidiani che coinvolgono le funzioni cognitive preservate: allenare ciò che ancora funziona significa tenerlo in vita, rallentandone il declino.
Stimolare nel quotidiano le funzioni cognitive integre permette di prolungare l'autonomia del paziente e di migliorarne complessivamente la qualità di vita.

Nelle fasi iniziali della malattia il paziente può sperimentare sentimenti depressivi, di frustrazione e di poca efficacia; la conseguenza naturale è il graduale isolamento sociale, con perdita di interessi e di iniziative.
Il nostro cervello però è come una macchina: o lo so tiene attivo, o si rischia che arruginisca più velocemente del dovuto.
Mantenere il paziente attivo ed inserito in una rete sociale, tramite quelle che potremmo definire attività di "fitness" cerebrale, aiuta a rallentare il decadimento cognitivo.
Una possibilità per perseguire tale scopo è offerta dalla partecipazione a gruppi di stimolazione cognitiva, in cui gli effetti delle attività neuropsicologiche sono amplificati dal contatto sociale con gli altri partecipanti.

 

Partecipare, in qualità di familiari/caregiver, a corsi di psicoeducazione e a gruppi di aiuto dedicati.
La letteratura scientifica dimostra che ad una maggior conoscenza della malattia e delle strategie utili per fronteggiarla, si accompagna un maggior livello di benessere per il caregiver e per il paziente con demenza. Ciò si traduce in una diminuzione dei sintomi comportamentali (e dei farmaci utilizzati per contrastarli), un rallentamento del decadimento generale e della necessità di istituzionalizzazione.
I gruppi di aiuto sono fondamentali per garantire al caregiver il sostegno emotivo di cui ha bisogno: l'attività di cura mette a dura prova le risorse dell'individuo; potersi appoggiare ad altri familiari che vivono la stessa situazione, o a professionisti specializzati nel supporto, può migliorare le condizioni del caregiver.

In sempre più realtà si stanno sviluppando centri di aggregazione per anziani con decadimento cognitivo, sportelli di ascolto per caregiver e gruppi di automutuo aiuto: non abbiate paura, allontanate il senso di colpa. Chiedete aiuto.
Nel territorio della provincia di Venezia, ad esempio, è attiva l'Associazione Alzheimer Venezia: molte delle attività citate nell'articolo vengono ciclicamente proposte da professionisti e volontari di Venezia e Chioggia. 

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