Ti è mai capitato di sacrificarti per fare una dieta, ottenendo ottimi risultati, e poi subito dopo di riprendere tutti i kg persi in un lampo? Ecco il motivo
A dare una risposta provvedono gli scienziati, stabilendo che una dieta, soprattutto se troppo estrema e rigida, alla fine è destinata a fallire e ciò accade in circa il 90% dei casi. Lo dice uno studio americano della UCLA, l’University of California, Los Angeles che raggruppa ben 31 studi internazionali. Secondo Traci Mann, coordinatrice dello studio, “inizialmente ogni tipo di regime dietetico porta a riduzione dal 5 al 10% del peso, ma a distanza di pochi anni, i chili persi vengono recuperati, anzi, se ne aggiungono degli altri”. Questi “altri”, si possono quantizzare anche in cinque chili sopra il peso iniziale. Questo recupero ponderale avviene solitamente in un lasso di tempo che va da tre a cinque anni. Addirittura, lo studio dimostra che chi non si sia messo a dieta acquista meno peso negli anni rispetto a chi si sia messo a stecchetto. C’è chi infatti è passato da 92 chilogrammi a 70 chili sottoponendosi ad una dieta a dir poco straziante, ma in appena due anni, sospesa la dieta, è giunto a 110 chili, ovvero ad una maggiorazione di 18 chili rispetto al peso di partenza.
Uno studio svolto al Massachusetts General Hospital che è stato pubblicato sul Ceel Metabolism, puntualizza come il peso resti invariato nonostante la dieta seguita per lungo tempo perché l’organismo è tenace di fronte ai grandi cambiamenti cui viene sottoposto. Un ruolo importante in tutto ciò è svolto dalla leptina, un ormone, che viene prodotto dalle cellule adipose. Se i livelli di leptina sono elevati, l’organismo non dimagrisce, se invece si abbassano non solo si perde del peso, ma i chili non tornano più.
Come mai si riprende il peso maggiorato degli interessi? Secondo il pensiero di Gabriella Gentile, direttrice del Centro di Dietetica e Nutrizione Clinica all’ospedale Niguarda di Milano,
“viviamo in una Società dove impera l’eccessiva offerta di cibo da un lato, il culto della taglia 40 dall’altro. C’è l’invito a soddisfare qualsiasi tentazione alimentare e l’obbligo di mostrare un’immagine che ci soddisfi, come se il corpo esprimesse tutto il nostro IO. Ma per funzionare la dieta va iscritta in un programma che preveda attività fisica e uno stile alimentare in grado di ridurre le entrate e aumentare i consumi per riportare l’equilibrio metabolico, senza trascurare l’aspetto psicologico, il che significa essere consapevoli del significato del cibo per non usarlo come antidoto ad ansie, noia, stress”.
Completa bene questo pensiero Raffaele Ruocco, responsabile del Programma Dipartimentale Disturbi dell’Alimentazione di Perugia, quando dice che “il corpo non sopporta le diete, si adatta per un po’ e poi mette in atto la cosidetta Sindrome da Digiuno, che porta a riprendere il peso perduto. Occorre dunque modificare in profondità il modo di pensare a se stessi. Esiste infatti una connessione forte fra mente e corpo e spesso è la cattiva gestione delle emozioni a determinare il fallimento delle diete”.
Ma come riconoscere la fame emotiva ed identificare le distorsioni cognitive creando strategie alternative? Lo dice lo stesso nutrizionista nel suo libro scritto con Pietro Allevi “Il peso delle emozioni” edito da Franco Angeli.
“Al centro dell’attenzione ci deve essere il corpo e non il cibo, altrimenti qualsiasi dieta è destinata a fallire. Ogni organismo è diverso dall’altro e lo stesso cibo produce reazioni differenti a seconda di chi lo mangia”.
Secondo Pier Luigi Rossi, specialista in scienza dell’alimentazione e direttore dell’ambulatorio di nutrizione clinica della A.S.L. di Arezzo, l’abbandono del calcolo delle calorie a favore del metodo molecolare che prende in considerazione le molecole nutrienti contenute nei cibi e quelle effettivamente assorbite a livello intestinale, risulta sicuramente vincente. “L’unica dieta che funziona è quella che può essere mantenuta nel tempo, deve essere gradevole e studiata su misura per la persona”, precisa Andrea Ghiselli, ricercatore dell’Inran, l’Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. “ Altrettanto importante è l’attività fisica: muoversi fa aumentare il metabolismo e incrementa la massa magra quella muscolare. Ne deriva che un regime alimentare ristretto si deve associare ad uno stile di vita più sano che comprenda anche una camminata quotidiana a ritmo sostenuto, per almeno mezz’ora.
Ed infine, è interessante anche il pensiero di Patrizia Bollo, dietista, docente di pietistica e delle patologie endocrino-metaboliche all’Università Statale di Milano, che nel suo libro “Diet-etica”, edito da Ponte delle Grazie, parla di “buona dieta che dev’essere anche una dieta buona. Dobbiamo insomma godere di tutte le emozioni che ci vengono dal cibo e rifuggire dalla monotonia di regimi basati su tabelle e numeri e godere di un’alimentazione ipocalorica che faccia si perdere peso, senza però far perdere anche l’allegria”.
*Tratto da jedasupport - altervista
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