Nello studio dello psicoterapeuta portiamo le narrazioni del nostro disagio.
Nella seduta diamo voce ai nostri pensieri, alle nostre idee e convinzioni, quelle che abbiamo disegnato e cesellato durante la nostra crescita psicologica. Fanno parte di noi, sono struttura portante della nostra identità.
Ogni pensiero è un concetto, ogni concetto è la risultante di una esperienza relazionale. Esperienze andate a buon fine, generano pensieri sani. Sono le basi sicure dell'autostima, il concetto che ne consegue è: "se mi impegno riesco, se dovessi avere bisogno ci sarà sempre qualcuno che mi aiuterà, se dovessi cadere potrò rialzarmi e ripartire, la solitudine non è abbandono o imbroglio, c'è sempre un oltre alla sofferenza". Questo tipo di pensieri fanno di una persona, una persona forte e determinata.
Diversa la condizione di chi crescendo, non ha avuto figure accudenti in grado di incoraggiarlo e sostenerlo nelle esperienze difficili della vita, chi è stato lasciato solo a dare un significato di senso alla sconfitta, al dolore, alla tristezza, alla solitudine. Chi non ha avuto spiegato che ad ogni evento della vita noi diamo una risposta emotiva e che siamo noi gli unici responsabili e padroni di quelle emozioni. E' inutile, quindi cercare un responsabile esterno del nostro malessere, rabbia, odio, disprezzo, delusione, tristezza, cosi come felicità, gioia o serenità, ci appartengono. Sono nostre e di nessun altro. Altrimenti è come se consegnassimo all'altro le chavi del nostro benessere o malessere emotivo.
Quale è il segreto? Non dare una valutazione morale alle emozioni. Le emozioni che proviamo non sono ne buone ne cattive, ne sane ne malate, quindi non fanno di noi una persona buona o cattiva, le proviamo e basta.
Andando avanti nella psicoterapia, arriveremo a chiederci quale è il senso di portarsi dentro, per anni tonnellate di rabbia o di rancore, vivere con la costante preoccupazione che da un momento all'altro possa accadere qualcosa di terribile e non saremo in grado di fronteggiarla.
Alcuni esempi di pensieri patologici.
- Ansiogeni: "chissà se..., non vorrei che ..., e se poi ...., cosa potrà pensare di me ....". Sono alcuni esempi di pensieri che generano insicurezza e fragilità emotiva. Qui non si riesce ad accettare l'imprevedibilità della vita. L'ansia è l'imperiosità del dubbio, che si spinge fino a mettere in "dubbio" le stesse capacità di fronteggiamento.
- Catastrofici: "è terribile non riuscire a..., sono certo che andrà male ..., è inutile, ormai non c'è più niente da fare ..., perderò tutto, lo sento ...". Sono pensieri che condannano senza possibilità di appello. Chi ha questo tipo di pensieri, di fronte alla imminente catastrofe, si percepisce inerme.
- Paranoici: "lo ha fatto apposta..., non mi ha mai potuto vedere ..., non mi ha mai amato ..., mi guarda con odio ..., la vita è contro di me" . Il portatore di questi pensieri, è come se avesse bisogno di un nemico, per sopravvivere a sè stesso, al suo melessere, al suo disagio, che viene cosi proiettato all'esterno. Cosi da poter dire sto male per colpa di qualcuno, io sono vittima e non responsabile del mio disagio.
- Depressivi: "a che serve, tanto ormai ..., un altro giorno, ma come deve passare..., non vedo l'ora di andare a letto..., mi sento in colpa per tutto..., provo pena per tutti..." Questa visione triste e dolorosa della vita, porta le persone a chiudersi, ad isolarsi. L'energia è spenta, al punto da non provare nemmeno invidia o rabbia, verso chi riesce ad essere felice.
- Assolutisti: "deve essere cosi e basta.., devi fare come dico io..., non è il modo giusto di volere bene una persona ..., ti ho detto cento volte che devi sistemare le cose in questo modo..., non è possibile che tu, ogni volta...". Ci troviamo di fronte ad una persona estremamente rigida, ma al tempo stesso molto insicura, ogni variazione delle appertenenze le causa forte ansia, che viene subito trasformata in condotte aggressive.
- Ossessivi: "non posso fare a meno di pensarci, è più forte di me, mi sveglio con quel pensiero, vado a letto con quel pensiero, è diventato un tormento, non ci riesco..."
Si ricorre alla psicoterapia quando questi pensireri si autonomizzano, viaggiano dentro di noi indipendentemente da noi, dalla nostra volontà. Si va in terapia per imparare come non nutrire più questi pensieri, come abbandonarli, come farli morire non alimentandoli.
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