Ogni qualvolta si cammina per strada e si inciampa e poi si cade il primo pensiero é guardarsi intorno per vedere se si é stati visti. In realtà, la paura del "ridicolo" é un'emozione comune a condizione che non degeneri in "fobia sociale".
Aver paura é bloccarsi quando si parla in pubblico, scambiare una persona per un'altra e sentirsi in uno stato di profondo disagio, ritrovarsi dopo una corsa che l'autobus sta ripartendo o scoprire di avere la camicia sbottonata o la cerniera abbassata. Queste sono tutte situazioni che generano "vergogna" e, potenzialmente potrebbero suscitare negli altri ilarità.
Il sentirsi "ridicoli" attecchisce sia le persone timide, introverse che quelle sicure, estroverse e si inserisce in questo stato il pudore o più comunemente la vergogna.
É evidente che chi vive con un super-io piuttosto rigido, sempre braccato dalle regole, teme maggiormente di essere sotto osservazione. Bisogna distinguere il concetto di "ridicolo" dal "senso del ridicolo", e dalla "paura del ridicolo". Il concetto indica un "qualche cosa" che per la sua particolarità, la sua goffaggine suscita il riso; il "senso del ridicolo" é da intendersi come la paura, il timore di essere per gli altri oggetto di disprezzo, di derisione.
Per dirla in termini comuni, la sensazione é quella di impedimento per paura di "perdere la faccia". La "paura del ridicolo" é l'espressione estrema che blocca la persona e che sfocia in "fobia sociale", inteso nel DSM 5 come "disturbo di ansia sociale".
È' evidente che un senso esagerato del "ridicolo" di fatto é presente in una persona insicura, che ha poca fiducia in stessa e con un forte senso di inferiorità e che ha il timore profondo che gli altri scoprano "qualche cosa", un difetto, quest'ultimo elemento, resta un pensiero esclusivo della sua fantasia. Tuttavia, il sentirsi "ridicoli" annida le sue origini nella prima infanzia, a causa di espressioni di insicurezza o di aspro rimprovero al bambino manifestate, del tipo "tu non capisci mai", "stai zitto, perché dici cose sbagliate" o "non parlare, altrimenti niente gelato".
Queste modalità espressive sono, comunque, inadeguate e presentano un aggravante a livello psicologico se ripetute.
Infatti, su questi soggetti, alla fine, lo psicoterapeuta deve lavorare intensamente per ristrutturare un "io" sicuro e indipendente. C'è da aggiungere un altro aspetto che é quello di un bambino felice che diventa un adulto timoroso ed ansioso, quando il passaggio dall'infanzia all'adolescenza viene vissuto in modo traumatico considerando, alla fine, la sua esistenza come una lotta in cui egli si sente sempre sotto esame ed osservato.
Rispetto a tutto il problema che si incentra sul "ridicolo" é opportuno intervenire quando non si riesce a vivere le relazioni in serenità ed anche i rapporti sociali lavorando sulla propria autostima, su un rilassamento psico-fisico, sulla possibilità di poter sbagliare, ma di potersi migliorare e su degli obiettivi da prefissare, per es. parlare in una riunione, o chiedere ad una persona che interessa di uscire o proporre con determinazione una propria idea.
Se non si riesce a concentrarsi su questi aspetti da solo, si deve ricorrere al terapeuta.
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