Negli ultimi anni il termine bullismo compare sempre con maggior frequenza fra le notizie di cronaca, spesso (erroneamente) associato a fenomeni di criminalità e violenza inaudita, presentandoci dei nuovi adolescenti, capaci di gravi condotte sociali e sempre più vittime di disagio e abbandono scolastico. La scuola sembra il palcoscenico ideale per l’espressione di questi fenomeni: insegnanti ed operatori intravedono sempre più spesso i segnali di comportamenti violenti e prepotenze che, pur non trattandosi di crimini veri e propri, rischiano di minare profondamente la sicurezza e la fiducia di sé delle vittime. Il contesto scolastico si fa allora portavoce di una difficoltà e di una conseguente richiesta di intervento che miri a ridurre la diffusione e l’inasprimento di tali fenomeni.
Con il termine bullismo vengono definite tutte quelle azioni aggressive o quei comportamenti di manipolazione sociale tipici dei gruppi di pari, che sono perpetrati in modo intenzionale e sistematico da una o più persone ai danni di altre. Recentemente sono state individuate alcune caratteristiche che definiscono in maniera più marcata i confini di questo fenomeno (Olweus, 1999; Menesini, 2000):
- I comportamenti fisici, verbali o psicologici tipici del bullismo sono messi in atto intenzionalmente, con il preciso scopo di offendere e arrecare danno o disagio;
- L’interazione bullo-vittima è caratterizzata dalla ripetitività di comportamenti di prepotenza e quindi dalla persistenza nel tempo;
- L’interazione tra bullo e vittima è caratterizzata da un rapporto asimmetrico, si fonda sul disequilibrio e sulla disuguaglianza di forza;
- Le aggressioni possono essere perpetrate direttamente, con modalità fisiche e verbali, o indirettamente, con modalità di tipo psicologico quali l’esclusione o la diffamazione.
Gli studi sul bullismo hanno in genere focalizzato la loro attenzione sui singoli individui e sui loro correlati psicologici, trascurando il contesto relazionale in cui questi individui sono inseriti, ovvero non prendendo in considerazione i processi relazionali, organizzativi e culturali che definiscono il rapporto individuo contesto (Grassi, 2003). Il risultato di queste ricerche sono dei profili di personalità che descrivono il bullo come una figura ostile, che utilizza l’aggressività per soddisfare un presunto bisogno di dominio sugli altri, incapace di provare empatia.
Le vittime possono invece essere descritte facendo ricorso a due tipologie di personalità: la “vittima passiva”, fondamentalmente timida e sensibile, con un opinione negativa di sé; la “vittima provocatrice”, con problemi di attenzione e iperattività, ansiosa e aggressiva. Per quanto riguarda gli adulti, la letteratura corrente sul bullismo vede nella loro assenza e incapacità di intervenire una diretta conseguenza dell’instaurarsi della relazione bullo-vittima. È opinione comune infatti che il compito degli adulti di fronte a manifestazioni di comportamenti aggressivi dovrebbe essere quello di richiamare all’ordine con fermezza, far rispettare le regole e portare i ragazzi ad un confronto non aggressivo.
Diverse ricerche invece hanno enfatizzato la natura di gruppo del fenomeno e dimostrato che comportamenti di vittime e bulli si cristallizzano in una “presa di ruolo”, anche grazie al rinforzo reciproco tra i partecipanti. Nel contesto scolastico questo fenomeno è inoltre facilitato dall’obbligo di condividere con gli stessi compagni l’intero percorso scolastico. Gli studi osservativi di Craig e Pepler (1997) hanno rilevato che la maggior parte degli episodi di bullismo avviene in presenza di coetanei, i quali possono assumere ruoli diversi all’interno del gruppo, ponendosi dalla parte del bullo, intervenendo a sostegno della vittima o rimanendo semplici osservatori. Il gruppo dei pari assume quindi un ruolo importante nel mantenimento o nella riduzione del problema: il ruolo di coloro che circondano il bullo (sostenitori e maggioranza silenziosa) risulta determinante nell’accrescere o diminuire il suo potere (i bulli sono spesso i membri più popolari del gruppo classe).
Le notevoli variazioni dell’entità del fenomeno, tra una classe ed un’altra e tra scuole in quartieri con caratteristiche socioculturali diverse, sembrano inoltre confermare a livello indiretto gli effetti del gruppo e del contesto sociale più ampio sull’incidenza del bullismo. Osservando le dinamiche e il clima interni al gruppo-classe è possibile infatti riconoscere gli effetti che il contesto istituzionale più ampio può avere in relazione alla presenza del fenomeno. Lo stile di conduzione della classe da parte dell’insegnante, le regole e i valori proposti dalla scuola come sistema educativo, possono quindi essere considerati fattori che influenzano il fenomeno del bullismo in maniera significativa. In questo senso, Di Maria e Di Nuovo (1984) hanno provato a considerare i fenomeni di aggressività come degli epifenomeni che appartengono ai “climi ambientali” e alle modalità relazionali e comunicative.
L’elemento fondamentale che in queste ricerche e interventi sul bullismo viene messo a fuoco (Di Maria, Lavanco, 1999; Grasso, 2001; Carli, 2001) è dunque il contesto scuola, con i suoi specifici processi relazionali, organizzativi e culturali. Per l’elaborazione di interventi efficaci ,il fenomeno del bullismo andrebbe quindi riconsiderato come un processo strettamente ancorato al contesto scolastico.
Bibliografia di riferimento
Di Maria, Lavanco (1998), “Compagni di scuola, compagni di niente?L’aggressività in classe”, Psicologia e Scuola, xviii(93), pp. 3-15
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento