Milano – Bambino di nove anni si toglie la vita per una nota sul diario.
Como – Tragedia alla periferia di Como, un bambino di undici anni si impicca, lascia un biglietto alla mamma nel quale la ringrazia. Apparentemente il bambino non aveva particolari problemi e a scuola andava bene.
Questi sono solo alcuni dei fatti di cronaca avvenuti recentemente. Fare prevenzione non è semplice, ma la famiglia e la scuola devono esercitare una stretta azione di controllo se un adolescente manifesta anche deboli segnali di disagio.
Grande attenzione bisogna dare, ad esempio, ai casi di tentato suicidio, anche quando appaiono compiuti come atto dimostrativo e non con una reale intenzione di uccidersi. Questo perché chi mette in atto un comportamento suicidiario è comunque una persona con un livello di depressione ben al di là del sentimento depressivo fisiologico dell’adolescenza o con altri problemi psichiatrici che necessitano di un’adeguata presa in carico.
Alcuni dati indicano che il 10% degli adolescenti che hanno tentato il suicidio morirà di morte violenta entro i 10 anni successivi. Circa un terzo dei suicidi ci avevano già provato almeno una volta. Mai banalizzare, come a volte possono fanno i genitori o familiari e gli stessi medici anche per ridurre inquietudini e sensi di colpa. Sebbene questo fenomeno non sia facilmente prevenibile è comunque importantissima una individuazione precoce dei soggetti e delle situazioni a rischio, perché è estremamente difficile che un ragazzo si tolga la vita in stato di completo benessere. Il suicidio avviene usualmente in un ambito temporale limitato e strettamente legato a un fattore precipitante acuto, spesso apparentemente banale, ma che ha un potenziale traumatico particolarmente rilevante per il soggetto.
L’ipotesi più condivisa è che l’adolescente che tenta il suicidio sia in quel momento incapace di effettuare un adeguato esame di realtà e che, nonostante stia progettando o mettendo in pratica azioni al fine di uccidersi, non abbia una corretta percezione del fatto che l’azione che sta per compiere può determinare la sua morte.
Una ricerca condotta presso il Crises Center di Milano, ambulatorio deputato al trattamento di adolescenti che abbiano tentato il suicidio e al sostegno educativo dei suoi genitori, ha confermato su circa quaranta adolescenti presi in carico l’importanza prevalente della patologia narcisistica nel determinismo dei tentativi di suicidio. E’ la depressione narcisistica la regista della scelta suicidale: la fragilità narcisistica degli adolescenti che tentano il suicidio mette le premesse per esporli al dolore dell’insuccesso, della mortificazione, dell’umiliazione dell’abbandono amoroso, dello scherno dei coetanei, della diversa relazione affettiva col padre e la madre della loro adolescenza.
Il contesto affettivo e relazionale in cui prende corpo l’istanza suicidale appare, quindi, più correlato all’atroce dolore della vergogna che al più cupo ma maggiormente trattabile sentimento di colpa. “Ne uccide più la vergogna della colpa” come suggerisce il buon detto popolare.
La fragilità narcisistica dell’adolescente che progetta la manovra suicidale lo espone a decodificare sul registro dell’oltraggio e dell’insulto narcisistico intollerabile anche le rotture sentimentali, che più che suscitare dolorosi sentimenti di colpa, per la propria incapacità di difendere la relazione d’amore e stabilizzarla, suscita una sconvolgente reazione di vergogna.
L’insuccesso scolastico parzialmente imprevedibile, lo scherno giocoso dei compagni, il voltafaccia dell’amico del cuore, il grave litigio familiare sono registrati dalla dolente permalosità dell’adolescente narcisisticamente fragile come capaci di suscitare crisi acutissime di vergogna, che repentinamente aprono la strada a sconvolgenti vissuti di umiliazione, fino alla rappresentazione non sostenibile di essere mortificati.
La vergogna acuta o la condizione di mortificazione derivante dalla percezione di eventi sociali o relazioni umilianti determina una repentina ed invincibile inibizione delle altre funzioni mentali, che rendono più facile e plausibile assecondare, in quel momento particolare, l’istanza che sempre fa seguito al vissuto straziante della vergogna: il bisogno urgente di scomparire. Scomparire subito, far sparire il proprio corpo, nascondersi sotto terra, blindarsi in una bara.
Il suicidio di un adolescente è un evento drammatico, difficile da capire, perdonare, elaborare. I genitori sono le vittime della sua decisione di uccidersi e per molti anni la loro vita ne rimane segnata. Gli amici più intimi e fidati dovranno lavorare a lungo su una perdita inspiegabile, su un rifiuto di condividerne i motivi , che è generalmente vissuto come offensivo. I compagni di scuola sono costretti a subire un trauma immane; l’intera comunità scolastica è investita e alcuni suoi componenti entrano in un profondo stato di sofferenza.
La prevenzione primaria
L’elemento principale da cui un programma di prevenzione del suicidio deve partire riguarda il livello di autostima. E’ importante tener presente che l’autostima non coincide con il concetto che ognuno ha di sé, ma ne rappresenta una componente, insieme all’autoaccettazione. In altre parole, il concetto di sé include sia una concezione positiva di se stessi (l’autostima), sia una negativa (l’autoaccettazione, ovvero l’accettarsi per come si è, con tutti i difetti che possiamo avere). Insegnare a promuovere – o a migliorare- il concetto che un giovane ha di sé può quindi aiutarlo ad avere una maggiore fiducia nei propri mezzi e nelle proprie capacità di far fronte a eventi negativi della vita.
La prevenzione secondaria
Prevenzione secondaria significa, innanzitutto, riconoscere i segni premonitori di una condotta autolesionistica e intervenire quando questi gesti assumono una rilevanza preoccupante. Utile e necessario è la presa in carico dell’adolescente che tenti per la prima volta il suicidio. Va tenuto presente che il principale fattore di rischio di morte per suicidio è il fatto di averlo già tentato in precedenza.
Un altro fattore di rischio concerne l’effetto di “induzione” che può scatenare in una comunità giovanile il suicidio o il tentato suicidio di uno dei suoi membri. In questo caso i “sopravissuti” sono esposti al rischio di idealizzare il compagno scomparso ed il suo gesto. Che è così glorificato, facendo correre il rischio a qualche ragazzo coinvolto in vincoli di amicizia o ad altri narcisisticamente fragili di voler emulare il compagno.
Molti dati statistici impongono di prendere sul serio questa prospettiva; sono ampiamente documentate vere e proprie epidemie di tentati suicidi o suicidi in comunità giovanili che debbono essere considerate esposte al rischio di contagio psichico o meglio di induzione, nel senso di “agire” come proprio un vissuto di morte, un desiderio di annientamento che però non gli appartiene.
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