Il lavoro è centrale nella vita delle persone, costituisce un valore primario e un diritto, oltre che un bisogno, definendo il posto che una persona e la sua famiglia occupa nella società. Il lavoro integra e sviluppa, mentre la disoccupazione emargina e staziona le persone in un'eccedenza sociale, fino a farle sentire inutili e invisibili. Si parla di "sindrome di invisibilità”, il sentirsi fuori dal sistema dei consumi, il non valere in una società sempre più competitiva. Avere o non avere un lavoro, oltre alla oggettiva diminuzione delle entrate, condiziona non solo la salute fisica e psicologica perchè viene a mancare l’ indipendenza e il controllo personale ma anche i ruoli sociali e, quindi, una parte dell'identità personale. L’impiego serve per strutturare il tempo, avere una routine, serve a relazionarsi, avere degli obiettivi che vanno al di là del proprio sé, aiutano la formazione dell’identità, la crescita personale oltre che professionale. Anche il tempo libero cambia significato, in quanto ha senso sociale solo se sussiste lavoro. Chi lo perde vive un senso di fallimento, e insicurezza spesso banalizzata, con perdita dell’autostima. In associazione all'esperienza del degrado sociale, vi è la vergogna o il senso di colpa poiché ci si sente responsabili. Ciò provoca chiusura e disagio psichico somatizzato. Per i giovani, mette a dura prova anche i processi di identificazione e di appartenenza ad una comunità che ad oggi si sviluppano soprattutto all’interno del nucleo lavorativo. Per i meno giovani attiva la spiacevole sensazione di “sentirsi fuori dai giochi”. Passando dalla confusione e incredulità, alla rabbia, alla passività e diminuzione di socialità preparando il terreno per la depressione. Sembra un paradosso ma il fatto che la maggior parte dei lavori hanno bisogno, per la loro realizzazione, di una interazione con altre persone, spiega perché la perdita del posto di lavoro suppone per molti una situazione di isolamento sociale e di inattività.
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