L’identità di genere, identità sessuale, non necessariamente coincide con il sesso assegnato alla nascita, ma può essere definita come il risultato di una complessa interazione di fattori cognitivi, culturali, educativi, psicologici che si struttura a partire dall’infanzia e tramite l’adolescenza arriva fino all’età adulta.
Inoltre, l’identità di genere è un concetto fluido e in divenire, non prevedibile ad una precisa età (possibilità di identificazioni transitorie per il DSM 5). Non esiste, infatti, un’età giusta, migliore o più valida per acquisire consapevolezza della propria identità e/o iniziare una transizione.
Essa non implica un orientamento affettivo o sessuale, concetto a sè stante e indipendente, nè tantomeno implica un’espressione di genere, definita come “Il modo di presentarsi di un individuo, in riferimento ad apparenza fisica, all’abbigliamento, agli accessori preferiti e ai comportamenti che riflettono aspetti dell’identità o del ruolo di genere” (APA, 2015).
Il ruolo, definito come “pattern di atteggiamenti, personalità e comportamento che in una data cultura è associato all’essere uomo/maschio o donna/femmina” (APA, 2015), e l’espressione di genere, infatti, variano nel tempo e nelle culture (basti pensare a qualsiasi raffigurazione maschile Settecentesca quanto discosti dai nostri attuali canoni di “virilità”!).
In molte culture il genere è concepito come un costrutto binario identificabile tramite le categorie mutuamente esclusive di maschio o femmina, ma non in tutte.
Il genere non binario è riconosciuto in diversi contesti storico-culturali e documentato nel corso dell’intera storia del genere umano (Scandurra, Mezza & Bochicchio, 2019) ed è pertanto fondamentale comprendere che esso non è indice di confusione transitoria né il riflesso di incertezza e precarietà dei tempi attuali.
L’identità sessuale, quindi è definibile come un continuum a cui estremi si situano il genere maschio e il genere femmina. Si parla di identità binaria se ci si identifica completamente in uno dei due poli, mentre con il termine ombrello non binario (non-binary), viene coperto un vasto range di esperienze differenti: da coloro che sentono di non avere un genere a coloro che sentono di appartenere a più di un genere, a un genere alternativo, a coloro che respingono l’idea binaria di genere e si rifiutano di assumere un’etichetta categoriale.
Nella versione ancora rilevante dell'ICD (ICD10, F64*; Disturbi dell'identità di genere), il transgenderismo è considerato una malattia mentale che comprende un ampio spettro di disturbi. Ciò solleva due sfide principali nella pratica quotidiana. In primo luogo, l'etichetta di malattia mentale stessa è una fonte di stigmatizzazione, che, a sua volta, colpisce la salute transgender. In secondo luogo, in quasi tutti i paesi, l'accesso alle cure dipende dalla ricezione di una diagnosi psichiatrica ufficiale. Ciò solleva domande sull'etica di richiedere diagnosi psichiatriche prima che le persone transgender possano ottenere cure mediche e riassegnazione ormonale-chirurgica [2-4].
Tuttavia, in alcuni paesi, come ad esempio la Francia, il processo medico può essere avviato con successo senza considerare una diagnosi psichiatrica come prerequisito. Le prove a sostegno della depsichiatrizzazione dimostrerebbero che le caratteristiche essenziali dei disturbi dell'identità di genere, vale a dire il disagio psicologico e la compromissione funzionale, non sono né necessarie né sufficienti.
Nello studio di Askevis-Leherpeux e colleghi del 2019 ,ad esempio, i risultati non supportano una concezione psichiatrica o binaria del transgenderismo. Il disagio psicologico e la compromissione funzionale, infatti, non sono stati segnalati da tutti i partecipanti e possono derivare dal rifiuto e dalla violenza provenienti da colleghi e compagni di scuola.
Questo dovrebbe essere trasmesso dall'etichetta scelta per ICD-11 e quindi mette in discussione la proposta di "incongruenza di genere". Inoltre, l'etichettatura e la definizione della diagnosi non dovrebbero essere limitate al punto di vista medico, ma dovrebbero anche tenere conto dei diritti umani e delle prospettive culturali, linguistiche, legali e sociali.
Oltre a ciò, è auspicabile l’utilizzo di buone pratiche, sia nella vita di tutti i giorni sia, soprattutto, tra i professionisti che si occupano di salute mentale, per cercare di evitare o minimizzare il rischio di disagio e soffrenza psicologica legati soprattutto alla stigmatizzazione sociale, all’incomprensione e al conseguente isolamento di queste persone.
Queste “buone pratiche” consistono inanzitutto nell’assumere consapevolezza delle norme culturali implicite del contesto di riferimento e delle proprie aspettative, credenze e bias rispetto al genere e alla varianza di genere in modo da anticiparne e prevenire spiacevoli conseguenze legate ad esse, per questo è necessario possedere una formazione e un expertise specifici prima di poter lavorare con utenti TGNC (Transgender and Gender Nonconforming). In secondo luogo, essere in grado di assumere un certo grado di umiltà culturale, per la quale: imparare che la persona è esperta di sé stessa; essere apert* alle sfumature uniche di ogni esperienza di genere; considerare le narrative e le traiettorie di vita come uniche e personali e non cadere in narrative preconfezionate (“Nati in un corpo sbagliato”??); non categorizzare la persona come “Cosa” ma concepirla come “Chi”, valorizzando l’unicità del soggetto che diventa protagonista della propria esperienza all’interno del suo specifico contesto di vita.
È bene inoltre, normalizzare la varianza assumendo un approccio affermativo. Un atteggiamento non giudicante contrasta lo stigma e fornisce un ambiente sicuro per l’esplorazione dell’identità e le decisioni circa l’espressione di genere. Le espressioni alternative a quelle normative, infatti, NON sono di per sé sinonimo di patologia o sofferenza e non c’è necessariamente un obiettivo finale predefinito, ogni persona ha un proprio obiettivo e un personale percorso di vita e l’incertezza può fare parte del processo. L’identità di genere, infine, non deve essere per forza provata.
Utilizzare un linguaggio corretto/privo di assunti impliciti fa la differenza! A tal proposito non fare assunzioni rispetto al genere basandosi sull’aspetto; normalizzare l’esplicitazione dei pronomi con i quali la persona si identifica, a partire dai propri; assicurarsi di conoscere i nomi e pronomi preferiti e rispettarli; chiedere scusa nel caso si commettano errori, riconoscendoli invece di fare finta di nulla, rappresentano delle pratiche fondamentali affinchè si possa aiutare la persona a raggiungere una congruenza di genere, ovvero possa arrivare a sentirsi a proprio agio con le caratteristiche di genere del corpo; dare un nome al proprio genere che corrisponda adeguatamente al senso interno di chi siamo; esprimere se stessi e il proprio genere attraverso vestiti, manierismi, interessi e attività ed essere vist* consistemente dall’Altr* per chi ci sentiamo di essere.
Bibliografia
² American Psychological Association. (2015). Guidelines for Psychological Practice with Transgender and Gender Nonconforming People. American Psychologist, 70 (9), 832-864.
² American Psychological Association, Boys and men guidelines group. (2018). APA Guidelines for Psychological Practice With Boys and Men. Retrieved from: https://www.apa.org/about/policy/boys-men-practice-guidelines.pdf
² American Psychological Association; Conover, K. J., Matsuno, E., & Bettergarcia, J. (2021). Pronoun fact sheet [Fact sheet]. American Psychological Association, Division 44: The Society for the Psychology of Sexual Orientation and Gender Diversity.
² Barker, MJ (2019). Good Practice across the Counselling Professions 001: Gender, sexual, and relationship diversity (GSRD).
² Cruz TM. Assessing access to care for transgender and gender nonconforming people: a consideration of diversity in combating discrimination. Soc Sci Med 2014;110:65–73, doi:http://dx.doi.org/10.1016/j.socscimed.2014.03.032.
² Lev AI. Disordering gender identity. J Psychol Human Sex 2006;17:35–69, doi: http://dx.doi.org/10.1300/J056v17n03_03.
² Thomas M-Y, Espineira K. Le « transsexualisme », entre normes sociojuridiques, normes de santé et normes de genre. Nouv Prat Soc 2016;28:34, doi:http://dx. doi.org/10.7202/1039172ar
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