Cara Christelle,
dalla sua lettera accorata traspare che lei ha, per così dire, tutti i pezzi del suo puzzle davanti, ma non “riesce” a metterli insieme per completare la figura, ma non perché non le sia chiara quest’ultima, anzi! E’ proprio accettare la figura finale che le sembra creare, da ciò che lei scrive, lo sforzo maggiore.
Le è chiaro, infatti, magari lei non ne è davvero consapevole eppure lo dice e lo pensa, che i suoi problemi con il maschile nascono da un problema col femminile, un femminile materno, per di più.
Anche suo padre, da parte sua, l’ha spinta a cambiare il suo tipo di rapporto con sua madre, ma lei dal suo tentativo di farlo ricava solo senso di colpa e nostalgia…
Il senso di colpa ci sta tutto: è tipico in questi casi – mi creda, la sua non è una situazione unica, se questo dato di fatto le cambia qualcosa – di madri infantili. Nel momento in cui il figlio cerca di allontanarsi per seguire la propria vita questi si sente “come se” e sottolineo “come se” abbandonasse la madre a se stessa, dimenticando che quella madre è la stessa persona adulta che l’ha messo al mondo e che ha comunque gestito la propria vita da prima che il figlio nascesse.
Più insidiosa, nel suo caso, del senso di colpa, però, mi pare la sua nostalgia. Conosce l’origine della parola nostalgia? E’ il dolore/desiderio del ritorno a qualcosa che è lontano ma non tanto nella distanza quanto nel tempo. Un ritorno impossibile quindi, in realtà, e quando proviamo nostalgia in fondo siamo coscienti della sua insensatezza ma questo è il sentimento e come tale lo proviamo. Perché siamo umani.
Quindi la sua nostalgia è il desiderio di tornare indietro nel tempo a… Quando? Da quel che lei scrive, il rapporto con sua madre è sempre stato così come lei lo descrive oggi.
Forse però da piccola lei aveva ancora la non completa visione delle cose e, implicita, anche la speranza di riuscire a farsi accettare lei da una madre così altalenante nei suoi modi di fare e di essere.
C’è un altro dettaglio, nascosto tra i suoi pezzi di puzzle sparsi: se è vero, come immagino sia vero, che sua madre fa difficoltà ad accettarla – probabilmente è il suo desiderio di separarsi che non accetta – è pure vero che anche lei fa fatica ad accettare sua madre per quello che lei effettivamente è e non per come lei vorrebbe che fosse.
Se ci riuscisse avrebbe probabilmente meno difficoltà a prendere le distanze da lei perché la vedrebbe per quello che è: una donna che ha le sue difficoltà e non riesce ad accettarle né ad affrontarle – ricordi i suoi suggerimenti di una terapia che lei ha respinto perché, dice, non ne ha bisogno.
Ma non è rimanendole accanto che la aiuterà a risolvere i suoi problemi, anzi! C’è il rischio paradossale che la sua vicinanza dia a sua madre quel tanto di sicurezza – nonostante tutto – da farle davvero ritenere di non aver bisogno di aiuto.
La invito quindi a seguire il consiglio di suo padre e a cercare un diverso modo di voler bene a sua madre. E anche a lei stessa. Si, lei per prima dovrebbe imparare a volersi un po’ più bene, ad accettarsi lei per prima un po’ di più. Questo le permetterebbe di non sovraccaricare le sue relazioni – che sono poi il motivo che l’hanno spinta a scrivere - di continue richieste di attenzioni e di repulsioni. Ancora una volta il suo intuito le suggerisce bene: lei di fatto replica nelle sue relazioni lo stesso comportamento di sua madre. Ottenendo per altro ciò che sua madre per prima ha ottenuto, cioè che suo padre si allontanasse.
Non è replicando la vita di sua madre che le starà più accanto, al più sarà vittima dei suoi stessi naufragi esistenziali.
Cerchi un aiuto, se lo sente utile per lei stessa. E impari prima di tutto ad amare ciò che lei è. Impari ad essere per lei ciò che sua madre non è stata capace di essere. E mi rendo conto, mi creda, che solo rinunciare a questa illusione di ritorno sia già un bello scoglio. Ma è la via più sana, se lei vuole, come dice, costruirsi una vita relazionale e personale il più possibile sana, e vorrei dire felice, ma immagino questa parola suoni alle sue orecchie, ora come ora, come la proverbiale fenice che tutti nell’antichità dicevano esistere ma che nessuno pareva aver mai vista.
Però mi permetta, e con questo mi congedo da lei, di ricordarle che la fenice, per quanto creatura mitica e leggendaria, aveva però la non trascurabile caratteristica di saper rinascere dalle proprie ceneri. Lei è ancora giovane, ha tutto il tempo per ricostruirsi e diventare davvero la donna che potrebbe essere. La donna che dentro di lei, da qualche parte, già esiste. Deve solo crederci.
Con i miei migliori auguri di tutto