Salve dott., innanzitutto vi ringrazio in anticipo per la disponibilità. Da un poco di tempo a questa parte mi trovo molto insoddisfatto della mia situazione personale: pur reputandomi una persona normale con una sufficiente autostima e pur avendo una fidanzata al mio fianco, mi sento abbastanza in difficoltà nello stringere relazioni solide di amicizia o almeno instaurare rapporti con gli altri. Non mi sento allontanato nè discriminato dagli altri, sono abbastanza loquace e estroverso, tuttavia c'è qualcosa che non riesco a capire nel mio comportamento per cui poche persone mostrino il desiderio di vedermi come amico. Mi sento poco “desiderabile“ (sono desiderato razionalmente, ho una buonissima famiglia e una splendida ragazza) e non riesco a impostare le relazioni come vorrei io, ovvero non dover essere costretto a farmi sentire spessissimo io per stare con gli altri. Ripeto, non sono antisociale, mi sento solo “diverso“, e questa sensazione (che mi porto appresso da quando ero piccolo) mi rende inquieto. Sto andando in terapia per questo motivo, vorrei solo chiedervi quali possono essere le motivazioni per questa mia situazione e quali approcci converrebbe adottare; inoltre, è possibile modificare la personalità, nel mio caso annullare la componente che impedisce di instaurare un rapporto al di là della conoscenza amichevole? Gentilissimi
Gentile Giovanni, è sostanzialmente fuori strada, mentre la risposta è evidente per la psicologia clinica: il suo atteggiamento è compensativo di un profondo e radicato ‘complesso di inferiorità’ (che no significa affatto e in alcun modo ‘essere oggettivamente inferiori’, ma soltanto ‘sentirsi soggettivamente ed emotivamente inferiori’) del quale non ha consapevolezza ma che, nel tempo, presumibilmente appunto dall’infanzia ed a partire dal contesto familiare (nel senso che di uno stile di vita e di un indirizzo che i Suoi genitori Le hanno inconsapevolmente dato attraverso il quale costruire la sua sovrastruttura ben lontana dal ‘Vero Sé’, come direbbe Winnicott), ha cercato una compensazione al senso di inferiorità sempre più diffuso e generalizzato dentro di Lei, come è inevitabile in casi del genere, costruendosi faticosamente una struttura superficiale, come una corazza, che è divenuta via via nel tempo sempre più un habitus irrinunciabile e indispensabile. Un’analisi del ‘profondo’ e un ‘lavoro sulle emozioni’ sono la soluzione, mirante a ristrutturare la sottostante base di ‘sabbie mobili’ e quindi rendere non più necessario il ‘meccanismo di difesa’ della superiorità, fondato sulla paura e sulla recitazione di (infiniti) ruoli attoriali in una vita ridotta a recita sul palcoscenico della vita, impedendole di vivere ed esternare quel calore e quella empatia che pure ribollono dentro di Lei, come confermano la sofferenza e l’inquietudine che la problematica che qui sottopone le comporta. Cordiali saluti.
Gentile Giovanni. Intanto complimenti perchè a 20 anni avere un buon rapporto con l' idea di rivolgersi ad uno psicoterapeuta e chiedere aiuto e consigli professionali in generale, depone a suo favore sia nella risoluzione del problema, sia fa pensare a buone possibilità di raggiungere buoni livelli di maturazione emotiva. Detto questo per affrontare al meglio un rapporto terapeutico bisogna fidarsi, affidarsi e saper aspettare, nonchè se il suo terapeuta le da i compitini a casa le conviene eseguirli.
Prima di decidere se un percorso sia quello giusto bisogna concedersi di percorrerlo.
Cari saluti