Buongiorno,mi presento: ho 22 anni e sto cercando di capire cosa mi stia succedendo. Sono la prima di 3 figli, mio padre è un medico e soffro molto per non riuscire ad avere un bel rapporto con lui. Ho sempre sentito un forte “obbligo“ nei suoi confronti e penso sia cominciato tutto (o almeno io ho iniziato a vederla così) quando la mia scelta universitaria non è stata quella che lui avrebbe voluto per me, cioè medicina; ho una sorella a cui sono molto legata ma abbiamo sempre avuto caratteri diversi. Io ero quella più responsabile, quella più quieta che non doveva combinar danni. Lei la “monella“, quella che durante l'adolescenza ne ha combinate tante. Ad oggi, il rapporto con i miei, anche con mia madre che da sempre era mia “complice“, si è incrinato. Mia sorella ha voluto seguire le orme di mio padre e l'ha reso davvero felice. Io invece ho dovuto sopportare lui che per i primi mesi di università non mi rivolgeva la parola. Non sono invidiosa di lei, ma del rapporto che riesce ad avere con i miei. Sono bloccata, non ho più un dialogo con loro e quando parliamo tutto finisce sugli studi e mi sento in colpa per non aver fatto quello che loro desideravano. Anche mia madre ora mi attacca dicendo che sono esaurita e che “sclero“ per niente. Ultimamente è come se per loro io non esista più. Se notano la mia presenza è solo per dirmi di tornare a studiare. Mio padre soffre di depressione da tempo e per me era questa la causa del suo malessere, dei suoi modi “duri“ di relazionarsi con noi. Ma ora vedo che si comporta così, come se non fosse orgoglioso, solo con me. Ho sempre sfogato il nervosismo piangendo, mi sono odiata per questo. Soprattutto ora mi capita spesso di discutere con loro anche di cose non riguardanti l'università (come ad esempio il fatto di voler andare a trovare il mio ragazzo che studia in un'altra città) e quando vedo che non mi appoggiano, scoppio in lacrime e non riesco più a discutere perchè ora anche mia sorella mi da della bambina per la reazione che ho. So di essere un po' confusionaria, ma spero di aver reso l'idea di quello che mi sta succedendo. Mi chiedo: cosa posso fare? Mi rifugio nello studio solo per poter andare via da questa casa il prima possibile, ma dai problemi non si scappa, quindi? Come posso affrontare queste situazioni? E non mostrarmi “debole“ davanti a loro, quando piango? Grazie davvero tanto!
Buonasera Milly,
leggendo ciò che scrivi ho immaginato di sentire un conflitto tra il bisogno di approvazione che vorresti dalla tua famiglia e il bisogno di renderti autonoma che ha comportato la scelta di una facoltà diversa da quella che, secondo te, tuo padre avrebbe scelto per te. In particolare, il forte obbligo che nutri nei suoi confronti sembra impedirti di vivere con serenità le tue scelte di vita, accademiche e non, e simultaneamente sembra innescare in te senso di colpa, che emerge soprattutto quando parli della depressione di tuo padre, di cui tendi ad attribuirtene la responsabilità. Tutta questa emotività, alla quale tu non permetti alcuno sfogo poiché dici di odiarti per le tue lacrime, è esasperata anche dai recenti cambiamenti nelle dinamiche relazionali della tua famiglia. Tua sorella, ribelle quando eravate più piccole, ora è colei che rende fiero papà seguendone le orme professionali, apparentemente “rubandoti” il ruolo e l’approvazione di tuo padre e la complicità di tua madre e accusandoti di assumere un comportamento infantile quando tu, sopraffatta dalla tua emotività (a cui non concedi uno sfogo) rifiuti il dialogo e piangi. Immagino quindi che da una parte hai una forte spinta a diventare un’adulta autonoma, evidenziata anche nel punto in cui ammetti che dai problemi non si scappa. Tuttavia, la tua voglia di autonomia va in conflitto con la paura di perdere l’amore e l’approvazione della tua famiglia che tu senti non approva le tue scelte, né accademiche né di altro tipo e questo ti rende molto insicura e paralizzata. Oltre a continuare a portare avanti le scelte che tu hai determinato e che possono aiutarti a definirti come individuo autonomo (per esempio lo studio), potresti cercare qualche attività che ti aiuti a sfogarti emotivamente in un modo che sia da te percepito come più accettabile e meno infantile (anche una bella corsa due o tre volte la settimana è di grande aiuto - tuttavia questa è solo la mia opinione). Più importante, potresti trarre grande beneficio chiedendo un aiuto professionale per lavorare sulla gestione di tutto questo stress, del conflitto che ti sta paralizzando e per aumentare la sensazione di sicurezza necessaria nelle fasi di grandi cambiamenti di vita come quello che stai vivendo ora.
Se hai bisogno puoi scrivermi in privato. Un caro saluto,
Gentile Milly, il pianto non indica debolezza ma sensibilità. La sua situazione non è semplice. Penso che il problema non sia come comportarsi, se farsi vedere piangere dai familiari o meno, penso che la questione sia come elaborare questa sorta di delusione che pensa di aver inferto ai suoi genitori. Il primo passo con cui si comincia a crescere è quando si decide di seguire la propria strada, anche sapendo che non è quella sognata dai genitori. Lei non ha fatto nulla di male, se lo ripeta con forza.... Si dedichi ai suoi studi con soddisfazione, con desiderio, per costruire il suo futuro, non per fuggire dalla realtà. Cerchi di perseguire il suo benessere e la sua felicità... Vedrà che col tempo i suoi genitori, vedendola felice di fare ciò che desidera con autenticità, capiranno..... e gioiranno con lei. Un saluto affettuoso
Ciao Milly, hai riportato molto chiaramente la tua situazione che credo sia davvero complessa quanto molto comune, direi. E' chiaro e comprensibile il tuo vissuto di confusione, così come lo è la tua disperazione per il "non essere vista" da tua padre... il bisogno di riconoscimento e di approvazione dei genitori è fondamentale per un giovane adulto in fase di svincolo, come lo sei tu. Capirai bene che non sia semplice, nè possibile darti "istruzioni per l'uso" per agire al meglio, non ci sono ricette prestampate, ma di certo è utile che tu ti faccia accompagnare in questo percorso di "uscita dal nido" nel migliore dei modi e ricucendo, per quanto possibile, lo strappo con la tua famiglia di origine per meglio garantirti l'uscita. Il punto non è mostrarti "debole" o "forte", ma mostrarti consapevole delle tue scelte. Immagino che anche i tuoi genitori, da quanto emerge dal tuo racconto, avranno delle personali difficoltà che li porta a "cristallizzarsi" sul raggiungimento di uno status sociale per le figlie "ad ogni costo", anche se forzata e a scapito della costruzione di un progetto di vita che sia invece liberamente scelto. Ciò, a onor del vero, sacrifica e "imprigiona" non solo te nel tuo senso di colpa, ma paradossalmente anche tua sorella che ora "non lo vede", né lo ammette... ma se ci trovassimo a parlarne... verrebbe fuori materiale interessante, sai, ma il tutto in un contesto "protetto" quale quello terapeutico.
Sento di consigliarti di intraprendere un percorso di psicoterapia sistemico-familiare, l'unico che a mio avviso potrebbe esserti davvero utile. Resto a tua disposizione per qualsiasi delucidazione o consulenza.
Spero di aver, almeno in parte, soddisfatto la tua richiesta.
Un caro saluto,
"Ci vuole molto più coraggio nel portare le lacrime che nel trattenerle".
Inizio con questa frase, colpita dalle sue ultime parole. Non sempre chi piange è debole, anzi. Se sente di piangere ha tutto il diritto di farlo.
Ho letto con attenzione la sua domanda, non è stata confusionaria, anzi è stata molto chiara e completa. In prima analisi sembrerebbe che lei abbia messo sempre da parte se stessa per essere ciò che gli altri significativi (mamma, papà) avrebbero voluto che lei fosse. Si è mai data il permesso di essere se stessa?
Mi sembra di capire che lei si sia fatta carico di un ruolo importante nella sua famiglia, si sia fatta carico dei sogni e delle aspirazioni dei suoi genitori (o del papà nella fattispecie) al fine di conquistare la loro approvazione, il loro riconoscimento emotivo. “Sono una persona degna di essere amata da loro solo se soddisfo le loro aspettative”. Sono dinamiche sistemiche, che non dipendono solo da lei, ma dall’intero sistema famiglia in interazione. Dinamiche più o meno consce, ruoli che si assumono inconsapevolmente ma che spesso portano sofferenza, perché se trasgrediti suscitano un forte senso di colpa. E’ su questo senso di colpa che deve lavorare (possibilmente in un percorso terapeutico), per riuscire a liberarsi con serenità da questi “vincoli emotivi” che la tengono imprigionata, in tutti i sensi.
Lei è la persona più importante della sua vita, si conceda il permesso di poter essere se stessa.
I migliori auguri.