disagio psicofisico

 

Negli ultimi anni è emersa la necesità di uno spazio di accoglienza, ascolto e consulenza, specifico per quelle situazioni - oggi così frequenti - in cui il disagio psicofisico della persona è dato da una dipendenza, un disturbo dell'ansia, dello stress o da problematiche relazionali.

Accanto alle classiche dipendenze da droghe, negli ultimi anni sono proliferate nuove dipendenze da attività legali, dette “New Addictions” (Nuove Dipendenze).
Le cosiddette “New Addictions” sono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica. L’oggetto della dipendenza è, in questi casi, un comportamento o un’attività lecita e socialmente accettata.

Le nuove dipendenze (New Addicitons), o dipendenze comportamentali, si riferiscono ad una vasta gamma di comportamenti; tra esse le più note e maggiormente indagate sono il gioco d’azzardo patologico (GAP), lo shopping compulsivo, la dipendenza da internet connessa all’utilizzo delle nuove tecnologie, situazioni di dipendenza da lavoro e da studio, da sport per il miglioramento della forma fisica ed il raggiungimento di canoni estetici (esercizio fisico e palestra, chirurgia estetica), le dipendenze relazionali (situazioni di dipendenza affettiva).

Tutti questi comportamenti, pur considerati normali abitudini della vita quotidiana, possono diventare per alcuni individui delle vere e proprie dipendenze, che sconvolgono ed invalidano l’esistenza del soggetto stesso e del suo sistema di relazioni.

Anche se non c’è assunzione di sostanze chimiche, il quadro fenomenologico è molto simile a quello della tossicodipendenza e dell’alcolismo. Spesso le “New Addictions” si combinano tra loro, o si accompagnano alle dipendenze da sostanze; molto frequente è, per esempio, l’associazione di gioco d’azzardo patologico e dipendenza dall’alcol. Si riscontrano, inoltre, passaggi da una dipendenza ad un’altra, la quale diventa sostitutiva di quella precedente. Per esempio, un soggetto che riesce ad uscire dalla tossicodipendenza, che cessando l’uso delle droghe sviluppa un’incontrollabile bisogno di giocare d’azzardo, non è realmente guarito; ha solamente spostato sul comportamento di gioco l’oggetto della propria dipendenza.

 

Il gioco d’azzardo patologico (GAP)

Il gioco d’azzardo patologico (GAP) viene classificato dal “ Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM V)  come un “comportamento persistente, ricorrente e maladattivo tale da compromettere le attività personali, familiari lavorative”.
Il giocatore compulsivo non gioca per guadagno materiale, ma per il piacere che gli deriva dal giocare. La perdita di controllo e la pervasività del gioco nella vita del soggetto determinano il deterioramento dei rapporti affettivi, familiari, lavorativi. Il gioco d’azzardo patologico inizia in età adolescenziale e colpisce circa lo 0,2-2.0% nella popolazione europea. La stessa percentuale si riscontra in Italia prevalentemente tra gli adolescenti dove la diffusione sembra essere quattro volte più elevata rispetto agli adulti (dal 4 al 7 %) e coinvolge soprattutto gli uomini, riferiti al quadro italiano i dati a disposizione sono ancora limitati, si ritengono necessari ulteriori dati epidemiologici nazionali su larga scala per avere un’analisi più dettagliata.

Una diffusione più ampia si rileva in soggetti con comorbidità di disturbi di tipo psichiatrico o dipendenze da sostanze d’abuso. La modalità del disturbo può essere regolare o episodica e il decorso del disturbo è cronico nel qual caso ne compromette in modo significativo tutta la vita . E poiché l’ accessibilità al gioco d’azzardo e il numero dei giocatori sono aumentati sensibilmentenegli ultimi vent’anni è venuto a configurarsi sempre di più un comportamento problematicosia dal punto di vista sociale che del benessere individuale.

Generalmente vi è una progressione della frequenza del gioco d’azzardo, delle somme scommesse e dell’eccessiva dedizione al gioco e alla ricerca di denaro con cui giocare, portando ad un allontanamento della famiglia, di abbandono solitudine e anche di problemi legali. L’impulso e l’attività di gioco d’azzardo generalmente aumentano durante periodi di stress o di depressione.

La complessità psicofisica dell’organismo umano quando l’equilibrio s’incrina produce una serie di ulteriori disagi e patologie che impegna interventi psicologici e sanitari verso i quali la comunità scientifica è orientata insieme alla comunità sociale.

Le terapie  finora in uso consistono in metodi Cognitivo Comportamentali individuali e di gruppo , interventi farmacologici, di riabilitazione attraverso la Ristrutturazione Cognitiva  o, in casi estremi, nella rete ospedaliera.

Da varie fonti informative apprendiamo che non esistono farmacoterapie specifiche mentre , anche recentemente, è stato evidenziato che, là dove vengono somministrati farmaci, la loro combinazione con la Terapia Cognitiva porta a risultati superiori rispetto al solo trattamento farmacologico.

Nello scegliere l’approccio terapeutico più adeguato emerge la necessità di tenere presente numerosi elementi tra cui, oltre alla comorbidità già accennata, e la presenza di dipendenza da sostanze di abuso, la familiarità e le caratteristiche individuali .

I giocatori d’azzardo in generale possono essere considerati “emozionalmente vulnerabili” ed avere profili psicologici e di personalità caratterizzati da stati di umore alternati, stili di coping poco funzionali ed eventi di vita avversi.

Inoltre, i Gambler riportano un elevato numero di eventi di vita stressanti  ed altrettanti livelli di Ansia.

Gli eventi stressanti frequentemente riscontrati in questa tipologia di soggetti sono: morte del partner, aumento dell’ emarginazione sociale, problemi economici, crisi identitaria dopo il pensionamento, esordio di una patologia cronica.

L’esordio e la persistenza del GAP risulta predetto dallo Stress, dall’Ansia ,dai disturbi dell’umopre , da un’incapacità di controllo degli impulsi, dal disturbo post-traumatico da stress quindi potremmo concludere che, così come alcuni disturbi d’Ansia sono predittivi al GAP allo stesso tempo il GAP può predire l’insorgenza di disturbi d’Ansia generalizzata ecc.

Sul rapporto tra Gambling e uso di sostanze è un dato certo come il setting del gioco in generale costituisca un terreno molto favorevole : prima di giocare si fa uso di alcol, di cocaina, di nicotiva, in quanto si spera nell’effetto disinibitorio e durante lo svolgimento del gioco alle stesse sostanze sembra vengano attribuite capacità defaticanti o di ridurre i freni inibitori e i sensi di colpa ; finito il gioco le stesse sostanze si trovano a svolgere una funzione di modulazione dello stato d’animo amplificando l’euforia della vincita o lenendo l’angoscia della perdita.

Naturalmente sul piano emozionale la prima esperienza di gioco è assai diversa dalla prima assunzione di sostanze.

 

Lo shopping compulsivo o “compulsive buying”

Lo shopping compulsivo o “compulsive buying” è una forma patologica caratterizzata da preoccupazioni e impulsi intrusivi e ricorrenti rivolti alla ricerca e all’acquisto eccessivo di beni spesso superflui o di valore superiore alla propria disponibilità economica.
Lo shopping impegna la persona per un tempo superiore a quello preventivato e comporta una grave compromissione del funzionamento sociale e lavorativo ma viene perseguita nonostante le conseguenze negative (sentimenti di colpa e vergogna, problemi familiari, problemi economici).
A differenza delle comuni attività di acquisto che possono rappresentare un momento di condivisione con il partner o gli amici, lo shopping patologico è un’attività che viene svolta prevalentemente da soli, una sorta di piacere privato.

Black (2007) distingue 4 diverse fasi attraverso cui si manifestano le condotte patologiche di acquisto: anticipation, preparation, shopping, spending.
Nella prima fase (anticipation) la persona sviluppa un pensiero, un impulso, una preoccupazione relativa all’acquisto di un oggetto; questo momento è spesso preceduto da sentimenti depressivi, ansia, noia o autosvalutazione.
Nella seconda fase (preparation) il soggetto organizza e prepara l’attività dello shopping individuando l’area o il negozio, gli oggetti da acquistare , la modalità di pagamento.
La terza fase (shopping) è caratterizzata dall’intensa eccitazione e gratificazione che il soggetto prova mentre sta acquistando e che culmina nell’acquisto (quarta fase “spending”). Questa fase è seguita spesso da sentimenti di depressione, vergogna e colpa.

Secondo il dr. Lorrin Koran (direttore della Stanford University), lo shopping si configura come un disturbo del comportamento quando si verificano queste condizioni:

• Quando il denaro investito per lo shopping è eccessivo rispetto alle proprie possibilità economiche;
• Quando gli acquisti si ripetono più volte in una settimana;
• Quando gli acquisti perdono la loro ragione d’essere: non importa che cosa si compri, se abiti, CD, profumi, lampade o prosciutti; ciò che conta è comprare, soddisfare un bisogno inderogabile e imprescindibile che spinge a entrare in un negozio e uscirne carichi di pacchi;
• Quando lo shopping risponde a un bisogno che non può essere soddisfatto, per cui il mancato acquisto crea pesanti crisi di ansia e frustrazione;
• Quando la dedizione agli acquisti compare come qualcosa di nuovo rispetto alle abitudini precedenti.

Al primo posto tra gli oggetti della “febbre da acquisto”, per quanto riguarda le donne, ci sono i capi d’abbigliamento, seguiti da cosmetici, scarpe e gioielli: tutti elementi riconducibili all’immagine. L’uomo, invece, predilige simboli di potere e prestigio come telefonini, computer portatili e attrezzi sportivi. In entrambi i casi, comunque, si tratta di oggetti in grado di aumentare l’autostima e la buona percezione di sé, aspetti che in tutte le forme di addiction risultano spesso fortemente compromessi.
Lo shopping compulsivo causa problemi significativi quali stress, interferenze con il funzionamento sociale e lavorativo, disagi familiari e coniugali e gravi problemi finanziari.

   

La dipendenza affettiva

La “love addiction” altro non è che una patologia del sentimento e del comportamento amoroso e, nel mondo contemporaneo, è sempre più diffusa.
E’ assolutamente normale che in una relazione, in particolare durante la fase dell’innamoramento, ci sia un certo grado di dipendenza e di fusione destinati a diminuire con lo stabilizzarsi del rapporto.

Le persone si incontrano, si relazionano sostenendosi reciprocamente con un coinvolgimento che avviene a livello mantale e neurale. In questo processo le emozioni giocano un ruolo fondamentale. (Solomon 2011 pag.101).

Nelle relazioni tra persone in cui prevale un attaccamento sicuro  (cfr. De Lia infra) la comunicazione e le modalità di interazione appaiono chiare e coerenti assolutamente empatiche.

Là dove l’attaccamento è da definirsi insicuro e cioè, quando nella storia personale, nel vissuto, i bisogni emozionali di base e i legami affettivi non sono stati soddisfatti adeguatamente i componenti della coppia  rinnegano le emozioni di attaccamento con il loro  significato psicologico e biologico ed invece di di costruire un legame affettivo speciale entrano frequentemente   in competizione. Gli scambi amorosi non avvengono per le difficcoltà che si verificano nel dare e nel ricevere per esempio empatia, ascolto, contatto, risonanza diadica. Non si verifica cioè, la possibilità di un interscambio col nucleo essenziale delle proprie e altrui emozioni.

Ulteriore ostacolo allo sviluppo di un sano legame affetivo, sentimentale, romantico è la provenienza da traumi precoci o lutti irrisolti in quanto si creano  pattern disfunzionali alla realizzazione di relazioni intime in età adulta.

All’instaurarsi di tali dinamiche lo stare insieme viene ostacolato ; si innesca un meccanismo mentale automatico che agisce senza  la presenza di consapevolezza e con un programma confuso e sostanzialmente distruttivo.

Se questi studi sopra citati, come numerosi  altri, hanno dimostrato che lo sviluppo di caratteristiche inerenti alla regolazione delle emozioni, alle capacità sociali è correlato ai diversi tipi di attaccamento stabiliti durante l’infanzia in età adulta, altrettanti studi ci dicono che la relazione esclusiva con una persona significativa coinvolge il proprio sentimento soggettivo di sicurezza e fornisce la possibilità di cercare il supporto dell’altro quando si è in difficoltà (M. Main, 1993, Hofer, 1984).

Nella dipendenza affettiva, invece, il desiderio fusionale perdura, inalterato ,nel tempo e si tende continuamente ed esasperatamente a “fondersi nell’altro” che ci consente l’autoregolazione del Sé.

Volendo tracciare il profilo psicologico del dipendente affettivo potremmo dire che è una persona che non si sente libera di amare un’altra persona per quella che è veramente e, nello stesso tempo, non è in grado di farsi amare per quella che è la sua vera natura; sostanzialmente il dipendente sta insieme all’altra persona per colmare le proprie paure, i propri bisogni. e non riesce a godere dei veri e propri aspetti positivi dei rapporti umani, obnubilato dalla possessività, dall’ansia di separazione e dalla paura per un possibile abbandono, con uno schema di personalità sostanzialmente sottomessa ed oblativa.

In questi soggetti si può sviluppare nel tempo un vero e proprio quadro psicopatologico contraddistinto da depressione, ansia generalizzata, disturbi del sonno, irritabilità, problemi alimentari, ossessioni e compulsioni.

Chi è afflitto da dipendenza affettiva soffoca sul nascere ogni suo interesse, desiderio, amicizia, rapporto con altre persone e familiari, così come restringe al minimo gli impegni lavorativi fino a trascurare e a manomettere tutto ciò. Da un punto di vista comportamentale il dipendente infatti dedica completamente tutto sé stesso all’altro, al fine di perseguire esclusivamente il benessere del partner e non anche il proprio, come dovrebbe essere in una relazione “sana”.

In colui che è affetto da dipendenza relazionale il partner assume spesso il ruolo di un salvatore, di un “eroe”, che diviene lo scopo unico dell’esistenza, e la cui assenza anche temporanea da al soggetto la sensazione di “non esistere” (DuPont, 1998).
Un rapporto che genera dipendenza è una condizione che intorpidisce mentalmente la persona e la rende incapace di esprimere i propri sentimenti minacciando gravemente la salute e il benessere psicologico.

La scarsa autostima è il punto di partenza della dipendenza affettiva e solitamente è il retaggio di difficoltà vissute nell’infanzia: esperienze di abbandono, violenze fisiche e psichiche, maltrattamenti e soprusi emotivi lasciano un segno doloroso nella mente del bambino che, una volta raggiunta l’età adulta, collocherà la propria autostima all’esterno, nelle relazioni. Ciò significa che avremo individui estremamente dipendenti dal giudizio e dalle valutazioni altrui al fine di stare bene con se stessi e che cercheranno disperatamente qualcuno in grado di dar loro quel senso di autostima che manca. Tutte queste persone diventeranno dunque “ostaggi” nelle mani di chiunque dimostrerà loro approvazione o affetto.

Riepilogando i principali sintomi della dipendenza affettiva sono:

·                     Paura di perdere l’amore, dell’abbandono, della separazione

·                     Paura della solitudine e della distanza

·                     Paura di mostrarsi per quello che si è

·                     Paura di amare l’altro per quello che è

·                     Senso di colpa

·                     Senso d’inferiorità nei confronti del partner

·                     Gelosia e possessività

·                     Rabbia

Alla luce di questo quadro non stupisce che questo tipo di personalità dipendente scelga partner “problematici”, portatori a loro volta di altri tipi di dipendenza (droghe, alcol, gioco d’azzardo, ecc…). Ciò sempre al fine di negare i propri bisogni, perchè l’altro ha bisogno di essere aiutato. Ma è un’aiuto “malato” in cui si diventa “codipendenti”, anzi si rafforza la dipendenza dell’altro, perchè possa essere sempre “nostro”.

                                    

 

Qualità della vita e indicatori positivi di salute

Con il concetto di qualità della vita l'OMS pone l'accento sulla qualità del vivere e non sulla sola durata della vita.
Il costrutto di qualità della vita è un costrutto ad ampio spettro che include cinque ambiti principali:

lo stato fisico e le abilità funzionali
lo stato psicologico ed il benessere soggettivo,
le interazioni sociali
stato e fattori economici e/o professionali
fattori di ordine religioso e/o spirituale.
Dal momento che la salute non può essere più valutata semplicemente sulla base di criteri fisici, diviene essenziale l'identificazione di indicatori psicosociali e comportamentali di salute, utili ai fini della valutazione diagnostica e sul piano dell'intervento psicoeducativo.

Fra gli indicato di salute, si possono ricordare:

competenza sociale
buona stima di sé
problem solving
percezione accurata (attribuzione, codifica), controllo e appropriata espressione delle emozioni.
Vanno ricordate, inoltre, le ricerche sulla hardiness (Kabasa, 1979), termine che si definisce attraverso i suoi tre caratteristici tratti costitutivi:

controllo: fiducia di poter controllare gli eventi (sicuro senso di controllo personale)
impegno: la sensazione di avere uno scopo nella vita
sfida: tendenza a vedere i cambiamenti come incentivi od opportunità di crescita, piuttosto che minaccia alle proprie sicurezze.
 

 

Gestione dello stress

Si parla di gestione dello stress (stress management) perché lo scopo è di ridurre lo stress e di fronteggiarlo efficacemente, non di eliminarlo.
Cosa fare per ridurre lo stress?

La desensibilizzazione sistematica
L’esposizione in vivo
La ristrutturazione cognitiva: modificare il sistema di convinzioni del paziente e rendere più chiare le sue interpretazioni cognitive delle esperienze; ciò in base all’assunto che le nostre capacità intellettive influenzano il nostro modo di sentire e di comportarci. Per ridurre lo stress si è dimostrato utile fornire alle persone informazioni tese diminuire l’incertezza e aumentare il senso di controllo. L’addestramento alle capacità comportamentali: poiché è naturale sentirsi frustrati quando non si possiedono le capacità per eseguire un compito, la gestione dello stress comprende spesso anche l’incremento dell’autoefficacia, attraverso, per esempio, l’apprendimento e la pratica delle abilità necessarie a per eseguire i compiti, nonché l’acquisizione di abilità più generali, come un’efficace organizzazione della risorsa tempo e la capacità di definire in maniera efficiente le proprie priorità.

                                                 

Il processo che conduce all’assertività

Dopo essere riusciti a fare emergere i propri pensieri automatici negativi e aver compreso la differenza intercorrente tra pensieri, emozioni e situazioni i pazienti sono finalmente pronti a riconoscere i propri pensieri negativi e ad avviarsi verso risposte adattive e pensieri assertivi.

L’esamina di pensieri automatici non significherà certamente dimostrare al paziente che i suoi pensieri sono sbagliati ma la valutazione deve emergere dall’atteggiamento di empirismo collaborativo tra terapeuta e paziente. Lavorando insieme per testare la validità e l’utilità di un pensiero negativo e procedere a risposte assertive alle situazioni problematiche.

La guida alla consapevolezza farà sì che il paziente sia estremamente facilitato a riconoscere in tempi brevi i pensieri negativi e automatici e ad una loro opportuna sostituzione.

L’inserimento, nel trattamento, di alcune tecniche di rilassamento attraverso l’impiego del training autogeno di Shultz o del rilassamento progressivo di Jacobson possono completare l’intervento suindicato e aprire così la strada di ricomposizione di un Io conflittuale.

 

Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva è quella capacità che ci consente di avere una chiara cognizione del proprio stato d’animo e di orientare volontariamente i comportamenti a favore di obiettivi individuali o comuni.
Goleman dimostra come una carenza di questa capacità intellettuale crea le basi per una vita vissuta all’insegna delle paure esistenziali, della frustrazione, del dolore, dell’insuccesso in ambito affettivo, professionale e personale.

Daniel Goleman indica cinque caratteristiche che contraddistinguono coloro che fanno uso dell’intelligenza emotiva:

Essere consapevoli di sé: questo permette di produrre risultati riconoscendo le proprie emozioni e pensieri.
Riuscire a dominare se stessi: è la capacità di utilizzare i propri sentimenti per un fine.
L’essere motivati: l’abilità di scoprire i motivi profondi che spingono all’azione.
La capacità di avere empatia: capacità di intuire i sentimenti, le aspirazioni e le emozioni altrui per entrare in contatto.
Abilità di socializzazione: la capacità di stare con gli altri e di percepire i movimenti che avvengono tra le persone
La proposta del progetto “L’albero della vita” incrocia questi bisogni e intende fornire in prima battuta un punto d’ascolto gratuito per l’utenza (attivato presso spazi appositamente scelti secondo criteri di opportunità strategica favorenti l’affluenza dell’utenza interessata, concordando tutto ciò con l’Amministrazione Comunale). Il coinvolgimento anche se solamente formale degli Assessori della Giunta Comunale trova secondo noi il suo vero significato nelle comunicazioni dell’OMS attraverso le quali si viene a sapere il rischio emergente dallo sviluppo di queste patologie, di un vero e proprio danno sociale che investe la salute dei cittadini, l’economia individuale soggettiva, l’economia pubblica. Oggi la popolazione – valutando soltanto quella dedita al gioco d’azzardo – rappresenta il 49% della popolazione totale, percentuale che riguarda sia gli adulti che i minori e se prendiamo in esame lo stato di comorbilità in cui viene a trovarsi, l’altro dato allarmante ci viene dalla previsione che segnala un crescente delle forme depressive ed un aumento delle recidive delle stesse, tale da consentire alla patologia di scavalcare la posizione in graduatoria delle cardiopatie.

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